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 2010  ottobre 16 Sabato calendario

Da un paio di giorni, le città italiane sono tormentate dalle manifestazioni che riguardano la scuola: l’altro giorno quelli dell’università, ieri i Cobas del personale non insegnante, ma anche docenti e studenti delle secondarie

Da un paio di giorni, le città italiane sono tormentate dalle manifestazioni che riguardano la scuola: l’altro giorno quelli dell’università, ieri i Cobas del personale non insegnante, ma anche docenti e studenti delle secondarie. Secondo i sindacati, fra Torino, Roma, Napoli, Palermo e Cagliari si sono mobilitate centomila persone, per un’adesione pari al 30 per cento della forza lavoro. Il ministero dice invece che non si è presentato a scuola appena il 3,1% di professori e personale non docente.

Chi ha ragione?
Non è una grande percentuale neanche il 30%. Lo sciopero è molto politico, la scuola è un terreno di battaglia privilegiato della sinistra e le picconate della Gelmini sono rivolte a un sistema che è stato costruito dalla sinistra, con gonfiamento degli organici e messa in atto di programmi abbastanza cervellotici. Con i risultati che conosciamo (parlo delle classifiche internazionali, che ci piazzano sempre in fondo). Del resto già all’inizio dell’anno la Gelmini aveva annunciato che non avrebbe incontrato i precari della scuola, con l’argomentazione sottintesa che «tanto è inutile».

E sull’università?
Discorso completamente diverso. Intanto l’università è adesso pretesto di una battaglia tutta politica: messa in calendario alla Camera per il 4 di ottobre, è stata fatta slittare al 14 – giovedì scorso – e poi rinviata alla fine dell’anno. La Gelmini aveva inserito la sistemazione di 9 mila ricercatori, da promuovere ad associati, e Tremonti ha bloccato tutto: non ci sono i soldi adesso (900 milioni) e si cercherà di trovarli invece nel famoso decreto milleproroghe, cioè il decretone che ha sostituito la finanziaria e che è ormai la vera diligenza a cui dare l’assalto.

Dove sta la battaglia politica?
Le dico le ipotesi che fanno i bene informati: la Gelmini, sempre più nel cuore del Cavaliere, potrebbe diventare, quando Berlusconi si deciderà a buttar fuori Verdini, Bondi e La Russa, uno dei tre coordinatori del Pdl. Tremonti gliele canterebbe con questi sistemi per farle abbassare le ali. Seconda ipotesi: Tremonti cerca l’incidente su cui far cadere il governo in modo da poter poi guidare il famoso esecutivo tecnico. Berlusconi sta scongiurando i suoi ministri (tutti a caccia di soldi) di star buoni. L’altro giorno il ministro del Tesoro è entrato in consiglio intimando a Gianni Letta di non far prendere la parola a nessuno. Hanno obbedito tutti. Bondi s’è rifiutato di partecipare. Insomma, il Pdl è a pezzi e le disavventure della riforma universitaria ne sono l’ennesimo segnale.

Che male c’è ad aspettare la fine dell’anno?
Molti pensano che in questo modo la riforma non andrà mai in porto. Quante probabilità ci sono che a Natale il governo sia ancora in piedi? E se si votasse a marzo, che fine farebbe la riforma Gelmini? Inoltre: l’anno accademico sta per cominciare dappertutto e si sperava, grazie alla legge approvata, di mettere in funzione i nuovi meccanismi. Tra i tanti problemi gravi c’è quello dell’insegnamento vero e proprio. I ricercatori possono insegnare, ma non sono obbligati a farlo. Non percepiscono tra l’altro un euro in più per l’attività didattica. Fino all’anno scorso hanno coperto circa il 40% delle ore. Quest’anno si stanno rifiutando di tener lezione e una quantità impressionante di corsi è scoperta. Si tratta di persone la cui età media è di cinquant’anni. Oltre tutto anche la famosa sistemazione che adesso Tremonti e la Ragioneria hanno bloccato non è che promettesse il Paradiso terrestre: contratti a termine, rinnovabili una sola volta…

In che consiste alla fine questa riforma universitaria?
I senati accademici (eletti dai professori) non esisteranno più. Saranno sostituiti da consigli d’amministrazione, formati da chi avrà titolo per nominare un consigliere. In questi consigli potranno entrare i privati, che avranno a loro disposizione un pacchetto del 40% di ciascuna università. Tradotto: gli atenei sono invitati a cercarsi dei finanziatori diversi dallo Stato. Grande potere ai rettori, a cui spetterà di nominare il direttore generale. Non potranno occupare quella posizione, però, per più di due mandati e un massimo di otto anni. Oggi ogni università fa in questo campo come crede, e ci sono rettori che restano in sella una vita. I docenti, che adesso possono restare in cattedra fino a 75 anni, dovranno andarsene a casa a 72. Ogni ateneo dovrà spendere con molta oculatezza, pena la chiusura. Insomma, gli interessi colpiti dalla riforma sono tanti e non è detto che non ci siano manovre – segrete – per affossarla. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 16/10/2010]