La Gazzetta dello Sport, 19 ottobre 2010
Occupiamoci di Lea Garofalo, 35 anni, la donna che aveva collaborato con la giustizia rivelando parecchi fatti di ‘ndrangheta e che alla fine è stata rapita, uccisa e sciolta in 50 chili d’acido
Occupiamoci di Lea Garofalo, 35 anni, la donna che aveva collaborato con la giustizia rivelando parecchi fatti di ‘ndrangheta e che alla fine è stata rapita, uccisa e sciolta in 50 chili d’acido. Oltre all’orrore per la vicenda, c’è da fare anche una considerazione – per dir così - politica: il crimine non è avvenuto in Calabria o in Sicilia, come al solito, ma a Milano.
• È l’ennesima prova che la criminalità calabrese domina ormai anche al Nord?
Sì, certo. Il mandante dell’omicidio è il suo ex convivente, Carlo Cosco, padre di sua figlia Denise. Costui ha trovato a Milano – se la ricostruzione dell’Antimafia è corretta – il furgone dove rinchiudere la sequestrata (pare se lo sia fatto dare dai cinesi di via Sarpi), il terreno con capannone dove interrogarla (a Monza San Fruttuoso: gli assassini avevano bisogno di sapere che cosa avesse rivelato ai giudici) e dove ucciderla poi con un colpo di pistola e quindi scioglierne il corpo. Ieri i siti mostravano un video dove si vede all’opera un’escavatrice: rovesciava la terra, ma senza risultato. A quanto si capisce il corpo di Lea è stato disintegrato dall’acido, per una ragione simbolica e per una ragione pratica. Ragione simbolica: degli infami che raccontano quello che non devono raccontare non deve rimanere nessuna memoria, essi vanno polverizzati e perfino il loro nome deve essere cancellato dal ricordo degli uomini. Questo come ammonimento a chi fosse tentato di tradire. Ragione pratica: non trovandosi il corpo, sarebbe stato più difficile risalire agli assassini. Anzi si sarebbe pensato che la collaboratrice di giustizia era sparita per sua volontà, per sottrarsi alle vendette.
• Non era protetta?
Lea aveva cominciato a collaborare nel 2002 dando una mano all’Antimafia che indagava sulla faida di Petilia Policastro (Crotone) tra i Garofalo e i Mirabelli. Si sa che aveva dato notizie sul delitto Comberiati (1995) coinvolgendo anche il fratello Floriano (ammazzato poi nel 2005) e Giuseppe Cosco, detto Smith, fratello del Carlo Cosco padre di sua figlia Denise e che ne ha ordinato adesso l’assassinio. Per proteggerla, l’Antimafia aveva trasferito lei e la figlia a Campobasso. Nel 2006 il programma di protezione viene sospeso – ufficialmente perché quello che sta dicendo non è rilevante (se ne sono accorti dopo quattro anni) - Lea ricorre al Tar, e perde, poi al Consiglio di Stato, e vince. Il programma di protezione viene riattivato nel 2007, ma nell’aprile del 2009 chiede lei stessa che la smettano di proteggerla. Un passo pericoloso e che fatico a capire. Un mese dopo l’ex convivente cerca di ammazzarla, mandandole a casa un falso idraulico. Lei, vedendo come maneggiava male i ferri del mestiere, capisce: «Se devi ammazzarmi, fallo subito». Quello le salta alla gola, lei si difende con un coltello e con qualche mossa di karatè, arriva la figlia diciassettenne a darle manforte e finalmente lo mettono in fuga. Il falso idraulico era Massimo Sabatino, 37 anni, in questo momento in galera.
• Dopo un fatto simile non ha chiesto di nuovo la protezione?
No. Anzi, ha continuato a vedere il compagno. E lo ha incontrato ancora il 24 novembre 2009, a Milano, in uno stabile di via Montello 7, detto la “casa dei calabresi” perché ci vanno di solito ad abitare parecchi esponenti della ‘ndrangheta. La scusa era discutere il futuro della figlia, che era presente. Alla fine il padre ha mandato la ragazza dagli zii dicendo a Lea: «Ci vediamo alla stazione». Un posto dove Lea non arriverà mai. Ci sono dei video che la mostrano dalle parti di via Montello e poi al cimitero monumentale. La si vede salire su una macchina. L’ultimo viaggio.
• Che dimensioni ha questa ramificazione settentrionale della ‘ndrangheta?
Forse bisognerebbe rovesciare la domanda. A quanto pare, la testa pensante della ‘ndrangheta si trova qui a Milano e la ramificazione, casomai, è quella calabrese. È un punto su cui discutono gli stessi malavitosi: Carmelo Novella, al secolo compare Nuzzo, che aveva la responsabilità del Nord, venne ammazzato il 14 luglio del 2008 perché andava in giro dicendo che ormai si poteva fare a meno di quelli di Reggio, Vibo e Crotone.
• La famosa offensiva di Maroni?
In fondo i sei sono stati arrestati. Anzi: due si trovavano già in carcere. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 19/10/2010]