Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 25 Lunedì calendario

Ieri da Fazio Marchionne ha detto: «Se togliessimo l’Italia dai risultati, la Fiat farebbe meglio

Ieri da Fazio Marchionne ha detto: «Se togliessimo l’Italia dai risultati, la Fiat farebbe meglio. Nemmeno un euro dei due miliardi dell’utile operativo previsto per il 2010 arriva dall’Italia. Fiat non può continuare a gestire in perdita le proprie fabbriche per sempre».

È un attacco a Berlusconi?
No, Berlusconi non c’entra niente. È prima di tutto la morale che si ricava dai numeri. Nel terzo trimestre del 2009 la Fiat ha venduto in Europa 197.800 vetture contro 193.600 nel resto del mondo. Gli analisti, vedendo le curve delle due voci, hanno commentato: il sorpasso è solo rinviato. La 500 costruita a Toluca apparirà nelle vetrine Chrysler da marzo (obiettivo di vendita per l’anno prossimo: 50 mila pezzi). Poi ci saranno le nozze con la casa americana. Infine, i camion Iveco e i trattori di Cnh vendono soprattutto in Cina e in America. Questo per quanto riguarda il confronto tra macchine vendute, i cosiddetti “volumi”. Quanto alla redditività, il resto del mondo fa guadagnare più dell’Europa già adesso. La Fiat ha avuto anche una mano dal mercato delle valute: il real brasiliano è cresciuto rispetto all’euro e il Brasile è oggi il primo mercato del Lingotto. Il quadro europeo le fa capire che l’Italia non è effettivamente più strategica. L’Europa non brilla e questo è il posto dove, relativamente parlando, le vendite vanno peggio. Il 70 per cento degli italiani compra macchine straniere.

E la frase: «Fiat non può continuare a gestire in perdita le proprie fabbriche per sempre»?
Allora era stato più duro a Rimini, alla festa di Comunione e liberazione di fine agosto. Aveva detto: «In Italia ci manca la voglia e abbiamo paura di cambiare». Ieri in televisione ha illustrato meglio il concetto: «L’Italia è al 118° posto su 139 per efficienza del lavoro e 48° posto per la competitività del sistema industriale. Siamo fuori dall’Europa e dai Paesi a noi vicini, il sistema italiano ha perso competitività anno per anno da parecchi anni e negli ultimi dieci anni l’Italia non ha saputo reggere il passo con gli altri Paesi». Poi ha aggiunto: «Non è colpa dei lavoratori».

E allora di chi?
Io credo che ce l’abbia col sistema nel suo complesso: classe politica senza distinzione tra questi e quelli, management e sistema delle consorterie, lobbisti, famiglie, corporativismi, sindacati, giornalisti e giornalismi. Ieri ha detto: «Leggo il giornali tutti i giorni alle sei, ne escono di tutti i tipi, c’è una varietà di orientamenti politici e sociali incredibile, tutti parlano e non si capisce dove va il Paese». Altra volta aveva detto che da noi sono state aperte tutte le gabbie e ne sono scappati tutti gli animali.

Quindi bisogna buttarsi al fiume?
Nonostante tutto, dice che «si può avere fiducia nell’Italia, credo di sì, ci sarebbero soluzioni più facili, ma credo sia possibile costruire qui una condizione diversa, sennò non mi sarei mai impegnato. In Italia le potenzialità ci sono, i problemi ce li creiamo noi». Marchionne non lo dice, ma credo che consideri la sua esperienza italiana esemplare. In pratica si tratterebbe di decidere una linea e poi di tener duro. Tra le tante inefficienze italiane c’è quella dei mercanteggiamenti continui, ipocritamente chiamati “compromessi” o addirittura “mediazioni”. Ma non vale neanche la pena di fare la lista di quello che non va da noi, credo che chi è in buona fede la sappia a memoria.

Su Pomigliano e il resto?
Adesso è in piedi una questione sulle due pause da venti minuti che dovrebbero sostituire le tre da dieci a Pomigliano e a Melfi. «È un sistema già adottato a Mirafiori per ridisegnare il processo di produzione. I dieci minuti di pausa che si perdono vengono pagati». Sui salari s’è impegnato personalmente «Se si raggiungeranno i livelli necessari di competitività, il Gruppo Fiat è pronto a portare i salari ai livelli dei Paesi che ci circondano. Stiamo cercando di creare le condizioni per aumentare questi 1.200 euro e il dialogo con i sindacati è assolutamente chiaro su questo». Ha ricordato che i 6.100 polacchi producono in un anno tante macchine quante i ventimila italiani. Non s’è tirato indietro nemmeno sulla storia dei tre operai di Pomigliano, ribadendo la solita tesi: «Quando tre operai fermano la produzione è anarchia e non democrazia». Ha confermato che più della metà dei dipendenti Fiat non è iscritta a nessun sindacato e che la Fiom, che gli fa la guerra, mette insieme appena il 12,5% dei lavoratori. «Quando il 50% dei dipendenti si dichiara ammalato in un giorno specifico dell’anno vuol dire che c’è un’anomalia». Quale giorno? ha chiesto Fazio. «Dipende da che partita c’è» ha risposto Marchionne. Il quale ha chiarito che non ha nessuna intenzione di entrare in politica: «Che scherziamo? Faccio il metalmeccanico, produco auto, camion, trattori». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 25/10/2010]