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 2010  novembre 02 Martedì calendario

Nei commenti italiani all’elezione di Dilma Rousseff presidente del Brasile si sente un filo di imbarazzo: il nostro sistema ha un bassissimo numero di parlamentari donna – in confronto agli altri Paesi – e non è stato capace di portare ai vertici delle istituzioni, in tutto il dopoguerra, che Nilde Jotti e Irene Pivetti, presidenti della Camera

Nei commenti italiani all’elezione di Dilma Rousseff presidente del Brasile si sente un filo di imbarazzo: il nostro sistema ha un bassissimo numero di parlamentari donna – in confronto agli altri Paesi – e non è stato capace di portare ai vertici delle istituzioni, in tutto il dopoguerra, che Nilde Jotti e Irene Pivetti, presidenti della Camera. Mai una donna presidente del Senato (seconda carica dello Stato), mai presidente della Repubblica neppure come candidato. Mai presidente del Consiglio. Sono mai esistite donne-segretario di partito in formazioni di una certa consistenza? No. C’è la presidente del Pd, Rosy Bindi, che nel 2007 ha tentato la corsa alla segreteria contro Veltroni, senza peraltro la minima speranza. E poco altro.

Come mai?
Nell’America latina le quote rose hanno funzionato. In Brasile, dal 2000 a oggi, il numero delle parlamentari è aumentato del 35%. Le nostre quote rosa – ammesso che abbiano senso – sono state boicottate, quando arrivarono in Parlamento, sia dai maschi di destra che di sinistra. In generale, credo però che da noi la questione delle donne al comando sia un sotto-problema della questione più generale riguardante il ricambio della classe dirigente, in tutti i settori di responsabilità, pubblici e privati. Le stesse facce occupano le stesse caselle da un sacco di tempo e non c’è modo di rimuoverle. Badi, è proprio il nostro sistema che è concepito per favorire chi occupa già una poltrona. Sarà interessante vedere che cosa accadrà adesso nel Pd con l’offensiva di Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che ha organizzato una tre giorni nella sua città (da domani) e il cui obiettivo è semplicissimo: applicare senza eccezioni la regola dello Statuto che impone l’uscita di scena dopo tre mandati parlamentari. Se gli riuscisse, alle prossime politiche dovrebbero restarsene a casa quasi tutti i democratici che sono in Parlamento adesso. Alle scorse elezioni, benché la regola fosse già in vigore, le eccezioni sono state talmente numerose da renderla insignificante. Parliamoci chiaro: Renzi punta in alto, vuole vincere le (eventuali) primarie e candidarsi alla presidenza del Consiglio. È giovane, ha 35 anni, ben venga.

Però è un maschio.
Già, già. C’è anche questo fatto: le donne che abbiano davvero voglia di menar le mani e mettersi a far politica sono poche. Sono poche per colpa loro? Sono poche perché i maschi gli tagliano le gambe già nei primi cinque minuti? Sono poche perché sanno che in una società maschilista eccetera non c’è nessuna possibilità? Sono poche perché sono più sagge e sanno che sbattersi per una poltrona, o magari un predellino, non vale la pena? Non so rispondere.

Come ha fatto la brasiliana a diventare presidente della Repubblica?
La Roussef aveva un curriculum politico molto esile: un ministero dell’Energia, una presidenza della Casa Civil, una specie di nostra presidenza del Consiglio. Un anno fa, dovendo scegliersi un successore, Lula puntò su questa sconosciuta. Vicende varie, tra cui qualche caso di corruzione, gli avevano tolto di mezzo tutti i delfini disponibili. Alla Roussef – 62 anni, figlia di un avvocato bulgaro e di una maestra elementare brasiliana, piuttosto ricca di famiglia (ha ereditato sedici immobili), ex guerrigliera («non ho mai sparato un colpo»), incarcerata per tre anni e torturata, poi in politica col partito socialista, sposata e con una figlia di nome Paula – i bookmaker non davano all’inizio la minima possibilità. Poi è intervenuto Lula, cioè il popolarissimo presidente uscente, che si è speso per lei in prima persona, contravvenendo allegramente a un mucchio di regole.

Alla fine, dietro la presidentessa c’è un uomo.
Càpita. Anche dietro la Kirchner, presidentessa argentina vedova da pochi giorni, c’era in realtà il marito Nicolas, presidente prima di lei. È un discorso delicato. Qualche volta la fortuna delle donne in politica è costruita – volenti o nolenti - dai loro uomini: sarebbero mai esistite Evita e Isabelita senza Perón? E Hillary senza Clinton? Però la Merkel è la Merkel per meriti tutti suoi, anzi ha politicamente ucciso con le proprie mani il suo scopritore e protettore, il maschio Helmut Kohl. Idem per la Chinchilla Miranda, presidente del Costa Rica. Idem per la Timoschenko, in Ucraina.

La bellezza conta?
Conta anche per i maschi. Dilma ha comunque perso dieci chili, cambiato pettinatura, tolto gli occhiali e messe le lenti a contatto. E ha seguìto un corso di dizione per perdere l’accento del Sud. Se sarà un fantoccio nelle mani di Lula oppure no, si vedrà. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 2/11/2010]