La Gazzetta dello Sport, 17 aprile 2011
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La sentenza di Torino, che ha condannato, Harald Espenhahn, l’amministratore delegato della ThyssenKrupp, a 16 anni e sei mesi per omicidio volontario con dolo è stata lodata anche dal ministro del Lavoro Sacconi: «La tragedia di Torino impone soprattutto una più diffusa ed efficace azione preventiva, perché anche la sentenza più rigorosa non può compensare la perdita di vite umane e il grande dolore che ha prodotto
La sentenza di Torino, che ha condannato, Harald Espenhahn, l’amministratore delegato della ThyssenKrupp, a 16 anni e sei mesi per omicidio volontario con dolo è stata lodata anche dal ministro del Lavoro Sacconi: «La tragedia di Torino impone soprattutto una più diffusa ed efficace azione preventiva, perché anche la sentenza più rigorosa non può compensare la perdita di vite umane e il grande dolore che ha prodotto. La via maestra rimane la collaborazione bilaterale paritetica tra aziende e organizzazioni dei lavoratori accompagnata da una idonea attività di vigilanza».
• Stiamo parlando del rogo che costò la vita a tanti operai di quella fabbrica, vero?
Sì, la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2008 una violentissima vampata di olio e fuoco si sprigionò sulla linea 5 dell’acciaieria ThyssenKrupp, in corso Regina Margherita a Torino. Una nuvola di liquido caldissimo vaporizzato, come spiegheranno i medici legali, investì un gruppo di operai e fece una strage. Le vittime furono sette. Antonio Schiavone, 36 anni e tre bambini piccoli, l’unico a morire subito, in fabbrica. Roberto Scola, 32 anni, nonostante le ustioni sul 95 per cento del corpo, arrivò cosciente in ospedale e chiese di vedere i due figli, l’ultimo di 18 mesi: spirò all’alba del 7 dicembre. Angelo Laurino, 43 anni e due figli, morì poche ore dopo, Bruno Santino, 26 anni, il giorno seguente: anche per loro ustioni su tutto il corpo («erano intatte solo le piante dei piedi»). Più lunga l’agonia di Rocco Marzo, 54 anni, il capoturno avvolto dalle fiamme mentre si trovava per caso a quell’ora nel reparto: se ne andò all’altro mondo il 16 dicembre lasciando moglie e due figli. Tre giorni più tardi cedette il cuore di Rosario Rodinò, 26 anni, ricoverato subito dopo la tragedia in una clinica di Genova. Giuseppe Demasi, un altro ventiseienne, fu l’ultimo ad andarsene, «senza soffrire e senza riprendere conoscenza» diranno i medici, il 30 dicembre al reparto grandi ustionati del Cto di Torino.
• Che significato ha l’espressione “omicidio volontario per dolo”?
La legge qualifica come “omicidio doloso” non solo quello commesso da chi vuole uccidere, ma anche quello di «chi agisce per uno scopo diverso rappresentandosi che la sua condotta potrà comunque determinare il decesso di ciascuno e accettando il rischio di questo evento» (Grosso). In altri termini: se tu dovevi mettere un certo impianto in sicurezza, e non lo fai, e facendolo sei cosciente che qualcuno può rimetterci la pelle, beh, in questo caso, se qualcuno ci rimette la pelle sei un assassino. È la prima volta che si applica questa definizione a un incidente sul lavoro.
• Si potrebbe dire lo stesso di chi guida ubriaco e ammazza qualcuno.
Sì, e infatti c’è stato un caso in cui il pm ha chiesto l’omicidio doloso per uno che guidando ubriaco aveva ammazzato una persona. Ma il Tribunale del riesame respinse poi questa impostazione. Nel caso della Thyssen invece la giuria ha accettato in pieno la tesi del procuratore capo vicario, Raffaele Guariniello, il quale ha prodotto delle mail da cui si capisce che il vertice dell’azienda era perfettamente consapevole dei rischi che faceva correre agli operai. Non tutti hanno avuto l’omicidio doloso, ma le pese sono state pesantissime, e nel caso di un imputato la giuria ha aumentato gli anni chiesti dall’accusa. La ThyssenKrupp dovrà pagare un milione di euro di sanzione pecuniaria, non potrà accedere a contributi e sovvenzioni pubbliche in Italia per sei mesi e nello stesso periodo non potrà farsi pubblicità. La Thyssen è un colosso della siderurgia, 180 mila dipendenti in una settantina di paesi, utili che s’aggirano intorno ai tre miliardi l’anno e anche di più. Mettere in sicurezza l’impianto di Torino le sarebbe costato ventimila euro.
• E come possono essere stati così imprudenti, oltreché criminali…
La Thyssen voleva andarsene dall’Italia e contrattò con i sindacati la chiusura dello stabilimento di Torino in cambio della conservazione di quello di Terni con i suoi 3.500 dipendenti. Dunque, spendere soldi per Torino non era conveniente, e il rischio venne valutato di probabilità media. L’amministratore valutò poi la probabilità media accettabile e decise di non spendere soldi. Nello stesso tempo, durante il periodo in cui Torino continuava a lavorare, l’azienda spingeva sugli operai perché chiudessero i lavori in tempo, dato che non avevano nessuna intenzione di pagare penali. Così, quegli operai a fine carriera facevano pure gli straordinari. Questo fino al momento della tragedia.
• L’amministratore delegato è già stato portato in carcere?
No, la sentenza è di primo grado. I tedeschi dovranno pagare qualche milione di euro in sanzioni e risarcimenti. Ma non alle famiglie, a cui hanno versato, prima di questa sentenza, 15 milioni. Una somma che ha provocato tante polemiche e molte incomprensioni tra i parenti delle vittime e l’opinione pubblica. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 17/4/2011]