La Gazzetta dello Sport, 1 giugno 2011
Continuano a tenere banco la vittoria di Pisapia a Milano e quella di De Magistris a Napoli, la sberla ricevuta alle elezioni amministrative da Bossi e Berlusconi, la discussione su che accadrà adesso, eccetera
Continuano a tenere banco la vittoria di Pisapia a Milano e quella di De Magistris a Napoli, la sberla ricevuta alle elezioni amministrative da Bossi e Berlusconi, la discussione su che accadrà adesso, eccetera. Berlusconi ha cominciato la giornata con una battuta: «Ho fatto una riunione, volevo fissare la data del mio funerale, ma nei prossimi giorni ho troppi impegni e quindi rimanderemo». Più tardi, il capo del governo ha incontrato i figli a palazzo Grazioli (quattro su cinque, mancava Eleonora), quindi è andato al Quirinale alla festa del 2 giugno (duemila invitati) e ha discusso per qualche minuto con Napolitano. In serata incontro con Bossi e, oggi alle 18, ufficio di presidenza per esaminare il voto. Il Cav ha continuato a dire che il governo è forte, lui non si dimette, farà le riforme - fisco, istituzioni e giustizia - milanesi e napoletani si pentiranno di aver votato come hanno votato, e così via. Bossi è un po’ meno sicuro. Alla domanda sulla riforma del fisco risponde: «Dipende da cosa si intende per riforma del fisco». Il governo tiene? «Per ora va avanti. Tranquillamente? Questo non lo so. Per ora andiamo avanti». I ministri leghisti, compreso Bossi, ieri hanno incontrato Tremonti. Maroni ha detto: «Mia nonna dice che le sberle fanno male ma alla lunga fanno rinsavire. Adesso cerchiamo di capire se questa maggioranza ha la capacità di reagire, oppure se rimane inerte». Interessante anche il ragionamento di Matteo Salvini, che doveva diventare vicesindaco di Milano con la Moratti: «La Lega non è nata a destra e non morirà a destra, figuriamoci se morirà per Berlusconi. Non siamo disposti a morire per nessuno». La Moratti probabilmente rinuncerà a fare il consigliere comunale (così come, ovviamente, Berlusconi). Alemanno è, tra gli esponenti del Pdl, uno dei più attivi. Ha detto che bisogna cambiare nome al partito (sulla sigla “Pdl” ha un diritto anche Fini) e tenere aperta la porta a quelli del Fli. Quanto ai vincitori, Pisapia – sollecitato anche da un gruppo di donne (quelle del “Se non ora quando”) che vogliono un vice-sindaco femmina – ha promesso che metà della giunta sarà rosa. De Magistris, dopo aver detto che spera di governare Napoli per dieci anni, ha annunciato che chiederà al governatore della Campania, Caldoro, la revoca del bando di gara per il termovalorizzatore di Napoli Est.
• Sono molto incuriosito da tutti
questi che sono scesi in piazza per festeggiare a Milano e a Napoli e non
avevano bandiere rosse o viola, ma arancioni. Chi diavolo è questo popolo
arancione?
Beh, naturalmente questa è l’ultima incarnazione di
un movimento di opposizione al premier piuttosto vasto, che non intende
radicarsi in nessun partito conosciuto, che è cresciuto attraverso le
manifestazioni studentesche e quella, per esempio, delle donne di qualche
settimana fa («Se non ora quando») e che insomma adesso ha due leader coerenti
con le impostazioni di partenza. La sinistra alla Vendola ha la fortuna (in
questo caso) di non essere presente in Parlamento, De Magistris poi non
rappresenta assolutamente nessuno. Paradossalmente non rappresenta in fondo
nemmeno l’Italia dei Valori.
• Ma perché l’arancione?
L’anno scorso tassisti e ambulanti di Firenze, volendo
protestare contro Matteo Renzi, si vestirono di arancione. Ai cronisti
incuriositi da quel colore risposer «I colori sono ormai esauriti, il rosso
non si può più usare, l’azzurro è berlusconiano, il verde leghista e c’è pure
il popolo viola».
• Come mai alla
fine erano arancioni sia Pisapia che De Magistris?
Se è per questo hanno scelto l’arancione anche
quelli di Micciché per le amministrative dell’anno scorso. De Magistris, che
gira con bandana e laccetto al polso arancioni, parla di «energia arancione»,
capace di andare «oltre il sistema del partito unico». Però ha adottato il
colore prima Pisapia: s’è presentato in arancione alle primarie contro Stefano
Boeri, grazie a un’intuizione del suo coordinatore, il maestro elementare Paolo
Limonta (lo abbiamo visto l’altra sera da Gad Lerner, e aveva effettivamente un
giubbotto arancione).
• Però, come
colore politico, non l’ha inventato Pisapia.
No, direi che i primi sono stati gli ucraini di
Yushenko, quando contestarono il voto per le presidenziali del 2004 vestendosi
in arancione. Gli portò fortuna: la Corte Suprema invalidò la votazione, fissò
nuove elezioni e alla fine risultò presidente proprio Yushenko.
• Si può parlare di un partito
arancione?
Direi di no. Questi arancioni che spuntano qua e là
(era arancione anche la lista di Stefano Aldrovandi a Bologna) hanno nel loro
codice genetico un elemento anti-sistema o comunque apartitico, dunque c’è
nelle loro cellule almeno un cromosoma anarchico… L’idea di organizzarli, di
rinchiuderli in una definizione troppo stretta è in contraddizione con la loro
natura. Massa sfuggente, perciò, che oggi sta con te e domani può correre chi
sa dove.