6 giugno 1945
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Lettera di Primo Levi
• Kattowice, 6 giugno 1945: «Bianca carissima, finalmente mi si presenta un’occasione di comunicare con l’Italia con una certa garanzia di arrivo a destinazione. Io non accompagno il latore della presente che viaggia con mezzi suoi solo perché le finanze non me lo permettono, ed inoltre perché il giorno del rimpatrio collettivo sembra prossimo. Come i pochi compagni italiani superstiti, io sono vivo per miracolo. Al momento in cui i tedeschi hanno abbandonato l’Alta Slesia, io ero convalescente di scarlattina nell’Ospedale di Monivitz con altri ottocento malati; pare che i tedeschi avessero ordine di ucciderci (come fecero altrove in altre circostanze) e forse non ne ebbero il tempo. Sono riuscito a sfamarmi alla meglio, per dieci giorni sfuggendo a un tremendo bombardamento, poi il 27 gennaio, sono arrivati i russi. Dopo parecchi pellegrinaggi, sono finito qui, in un campo cosiddetto “di attesa”. Effettivamente, tutti gli stranieri che hanno soggiornato qui sono stati smistati verso le relative patrie, solo gli italiani attendono ancora. Di coloro che partirono con me da Fossoli siamo ora qui in sei. Degli inabili al lavoro (donne, vecchi, bambini) non abbiamo che pochissime notizie, risulta purtroppo certo che Vanda Maestro è morta. Luciana Nissim partì in settembre per Breslavia: forse si è salvata. Di noi 95 del campo di Monivitz, 75 sono morti colà di fame e di malattia; quattordici furono deportati dai tedeschi in fuga (fra questi Alberto della Volta di Brescia, Franco Sacerdoti di Torino, l’ing. Aldo Levi di Milano, Eugenio Gluecksmann di Milano). Di loro non si hanno notizie sicure, ma corrono voci assai preoccupanti sulla loro sorte. Restiamo noi sei. Qui non si sta male. Si mangia in abbondanza (ma la cucina russa richiede stomaci appositi) si dorme bene, non si lavora, si gode una certa libertà, per cui con un po’ di iniziativa si può circolare, pagarsi il lusso di qualche alimento extra, di qualche cinematografo, o almeno qualche visita economica turistica alla città. Siamo ora più di mille italiani, fra prigionieri di guerra, politici e “rastrellati”. La popolazione è molto benevola, i russi anche. Non credere a quanto ho potuto scrivere da Monovitz; l’anno passato sotto le SS è stato spaventosamente duro a causa della fame, del freddo, delle percosse, del pericolo costante di essere eliminato in quanto inabile al lavoro. Porterò (spero) in Italia il numero di matricola tatuato sul braccio sinistro, documento di infamia non per noi, ma per coloro che ora cominciano ad espiare. Ma la maggior parte dei miei compagni portano nelle carni più gravi segni delle sofferenze patite. Spero di poter salire presto la tradotta: ad ogni modo tieni presente che il servizio postale non è ancora regolare e ti sarei gratissimo se tu cercassi di affidare ad un polacco o un russo rimpatriante anche sommarie notizie delle mie carissime e di Voi tutti. Con l’incarico una volta giunto in Polonia di scriverle indirizzando a, presso il Comitato Ebraico di qui. CENTRANLY KOMITET ZYDOW POLSKICH - KATOWICE ULICA MARIAWKA 21. Viviamo qui con l’ansia terribile di qualche vuoto al nostro ritorno: se fossimo rassicurati su questo, non ci sarebbe grave l’attesa. Ti prego tenta tutte le vie: Croce Rossa, Svizzera, i partiti: pensate alla nostra tremenda incertezza. Il mio cuore è con Voi. Primo Levi». [Torino, Archivio Ebraico “B. e A. Terracini”, Delegazione per l’assistenza agli emigranti ebrei. (Delasem), Privati, enti diversi. Fascicoli nominativi (L) 1945-1946, n. 82 sottofascicolo 62; Primo Levi, Domenica di Repubblica 24/1/2010]