vanity, 29 marzo 2010
Elezioni regionali
• Alle nove della sera si profila questo risultato delle elezioni regionali: sono certamente rimaste al centro-destra la Lombardia (presidente Formigoni) e il Veneto (presidente Luca Zaia, leghista e ministro dell’Agricoltura, che subentra al berlusconiano Giancarlo Galan); sono certamente rimaste al centro-sinistra: l’Emilia-Romagna (resta presidente Vasco Errani), la Toscana (Enrico Rossi che sostituisce alla presidenza Claudio Martini), l’Umbria (Catiusca Marini al posto di Maria Rita Lorenzetti), le Marche (rimane governatore Gian Mario Spacca). Dunque 4 a 2 per Bersani. Le schede scrutinate sono ancora troppo poche per pronunciarsi con certezza su Campania, Calabria, Puglia e Basilicata (nelle prime due è in vantaggio il centro-destra, nelle altre due il centro-sinistra). È molto difficile che la Liguria non resti al centro-sinistra e al suo governatore uscente Claudio Burlando. Lotta all’ultimo voto infine nelle due regioni chiave, il Piemonte e il Lazio. In Piemonte, giunto a metà dello scrutinio, Cota (centrodestra) risulta in vantaggio di uno 0,4 sul governatore uscente Mercedes Bresso, del centro-sinistra. Ugualmente risicato, nel Lazio, il vantaggio della radicale Bonino sulla finiana Polverini: 50,1% a 49,3% a metà delle schede scrutinate.
• Se il finale fosse questo, avremmo due vincitori certi: Umberto Bossi e Beppe Grillo. La lista piemontese che si ispira a Grillo (Movimento 5 stelle) ha infatti sottratto al centro sinistra almeno un 3,5% dei voti alla Bresso, mandando in consiglio regionale uno o due deputati. Ancora più netta l’affermazione in Emilia-Romagna, dove 5 stelle ha preso quasi il 7% dei voti. Anche senza il quadro completo dei risultati, è già chiaro che questo è un successo molto significativo. Al Nord la Lega non ha preso più voti del Pdl, ma ha comunque ottenuto un successo importante: nel Veneto il candidato del centro-sinistra è stato battuto 60 a 30, in Emilia Bossi ha preso quasi il 14%, comunque vada a finire, Cota in Piemonte ha ottenuto più o meno gli stessi voti del centro-sinistra. Nel complesso il governo esce bene dalla prova, certo molto meglio di quanto si pensava alla vigilia. Unico neo – per ora – il Lazio, dove la Bonino è rimasta sempre in vantaggio e ha ancora, alle nove di sera, un piccolo margine sulla Polverini. La vittoria della radicale sarebbe per il governo fonte di grande imbarazzo. Come sarebbe possibile non imputare alla dabbenaggine del partito e alla sua incapacità di iscriversi alla gara, la sconfitta in questa regione? E con una radicale, abortista e anticlericale, seduta sul soglio di Roma, in faccia al Vaticano! Il risultato del centro-sinistra è fino a questo momento di difficile lettura. La vittoria a Roma, se arriverà, sarà stata ottenuta mettendosi alla retroguardia di una radicale combattiva e non troppo in linea con le tesi di Bersani. La perdita del Piemonte sarebbe molto amara. In ogni caso i governatori del centro-sinistra scendono, come minimo, da undici a nove e lasciano sul campo una regione importante come la Campania, la seconda per numero di elettori tra quelle al voto. È la resa dei conti, amara, dei dieci anni di sottogoverno bassoliniano, una storia di moderno malaffare che si conclude.
• La prima dichiarazione della giornata è di Umberto Bossi: «Non ho ancora sentito Berlusconi. Mi complimenterò con lui per la tenuta del Pdl. Ma la Lega è scatenata».
• L’unico dato certo su cui fare ragionamenti è quello dei votanti: meno 9 per cento in media rispetto alle regionali del 2005, con punte del meno 12 nel Lazio e del meno 13 a Roma. Si dirà che il giorno 28 marzo era una bellissima giornata, forse la prima di primavera. E tuttavia, in una logica tutta italiana, sono percentuali gravi, che confermano – genericamente - disaffezione, sfiducia, stanchezza. Sentimenti ulteriormente alimentati da una campagna elettorale che ha visto le varie bande imperversanti nel Paese (e tra queste noi mettiamo anche la banda dei giudici) massacrarsi vicendevolmente e senza sosta, in un gioco estraneo al 99,9 per cento dei cittadini sfiniti, e tuttavia dominante nella rappresentazione quotidiana fornita da giornali, radio e televisioni. Il fenomeno dell’astensionismo è peraltro europeo, dato che anche gli elettori francesi hanno disertato le urne nel corso delle regionali di quel Paese. E possiamo certamente considerare valide anche per l’Italia le motivazioni che qualche astensionista ha dato al quotidiano Le Monde: «Il mio partito ha vinto ampiamente le elezioni. Ma non ci ascolta nessuno. Che tristezza» (un Louis di 20 anni), «A cosa serve votare? Tanto poi i politici fanno quello che vogliono. L’ultima volta che l’ho fatto, ho detto no al trattato europeo di Lisbona, come la maggioranza dei francesi. Ma chi ci governa ha fatto di testa sua» (una Chantal cinquantenne). [Giorgio Dell’Arti]