vanity, 8 maggio 2006
La politica italiana
• Le camere riunite stanno votando per il presidente della Repubblica e a quanto si capisce in questo momento (lunedì 8 maggio, ore 10) il nuovo capo dello Stato potrebbe essere Giorgio Napolitano oppure Massimo D’Alema oppure Giuliano Amato oppure nessuno di questi tre ma una quarta personalità da scegliere tra Dini, Marini e Mario Monti. Ciampi ha rinunciato dopo che il Polo lo aveva candidato ufficialmente e il centrosinistra aveva reagito quasi facendo spallucce (“se lui è d’accordo...”). La rinuncia ha avuto una conseguenza politica molto importante: Romano Prodi non ha ancora avuto l’incarico di formare il governo e dovrà aspettare, per insediarsi, il nuovo presidente. Potrebbe anche passare parecchio tempo.
• L’elezione è stata finora dominata dalle mosse di Massimo D’Alema. D’Alema prima ha imposto a Fassino il suo nome: se i Ds hanno un candidato per il Quirinale, quel candidato non posso che essere io. Con questo mandato, Fassino è andato da Prodi e gli ha fatto presente: che i diessini sono il primo partito della coalizione; che i diessini finora non hanno avuto niente; che D’Alema, il numero uno dei diessini, s’è fatto da parte per consentire a Bertinotti di diventare presidente della Camera; che il prossimo governo Prodi, senza i voti dei diessini, è morto prima ancora di nascere. Prodi ha fatto notare che forse sarebbe stato opportuno proporre alla Casa delle libertà una rosa di nomi, in modo da tentare la strada del presidente condiviso. Fassino ha risposto con una frase di D’Alema: “Le rose non vanno bene perché hanno le spine”.
• Come si ricorderà, in Forza Italia è nata, per iniziativa del Foglio e di Giuliano Ferrara, una corrente di dalemiani. Costoro sostengono che il presidente diessino dovrebbe essere candidato direttamente e coraggiosamente dalla destra perché è l’unico, nello schieramento avverso, ad aver mostrato volontà e capacità di dialogo. Dell’Utri e Fedele Confalonieri, in due interviste, si sono detti d’accordo. Forzisti come Gabriella Carlucci hanno dichiarato di aver votato D’Alema durante l’elezione di Bertinotti alla presidenza della Camera. Berlusconi, mentre tuonava contro l’idea di un comunista a Montecitorio con annessa arroganza del centrosinistra che si prende tutto, non ha però mai nominato, nei suoi attacchi, D’Alema. Berlusconi avrebbe voluto e vorrebbe: D’Alema presidente e poter dire di aver subito una prepotenza. Poi, domenica pomeriggio, 7 maggio, è cominciata l’offensiva degli antidalemiani.
• Gli antidalemiani stanno sia a destra che a sinistra. A destra: Fini e Casini, ai quali pare che l’ascesa di D’Alema al Quirinale creerebbe un asse D’Alema-Berlusconi destinato a farli sparire definitivamente di scena. Per quello che riguarda in particolare Casini, c’è poi la posizione dei cattolici, ufficializzata dal quotidiano Avvenire, che non vogliono D’Alema a nessun costo. Questa medesima posizione dei cattolici muove anche Rutelli, l’altro antidalemiano. Come Casini e come Fini, Rutelli vive l’asse D’Alema-Berlusconi come una potente alleanza capace di ridurne drasticamente il ruolo. Domenica pomeriggio è dunque cominciata la controffensiva. Il Polo ha fatto sapere all’Unione di esser disposta a trattare sul presidente. L’Unione ha accettato un incontro a Palazzo Chigi. Si sono visti (di domenica): Fini, Casini, Letta (in rappresentanza di Berlusconi), Fassino, Rutelli e Ricardo Franco Levi (in rappresentanzza di Prodi). Il Polo ha proposto quattro nomi: Amato, Dini, Marini, Mario Monti (in ordine alfabetico). Fassino, non sentendo nomi di diessini, s’è offeso. Fini gli ha spiegato che il diessino non c’era per riguardo a D’Alema, che risulta, per il Polo, improponibile. Finisce che lo stesso D’Alema, più tardi, suggerisce di mandare avanti Giorgio Napolitano, un diessino di 81 anni, che è stato presidente della Camera e che perciò potrebbe dare al Polo la scusa istituzionale per votarlo. Fassino però avverte: se il Polo non accetta Napolitano, allora si torna su D’Alema. La questione si chiarirà nel segreto dell’urna.
• Votano per il presidente 1010 grandi elettori e cioè: 630 deputati, 322 senatori, 58 delegati regionali (scelti quasi ovunque col sistema: due della maggioranza, uno dell’opposizione). Dopo i primi tre scrutini ci vuole, per essere eletti, la maggioranza assoluta dei voti (506). Il centrosinistra ha a disposizione 541 voti e può teoricamente, se vota compatto, eleggere il Capo dello Stato da sola. [Giorgio Dell’Arti]