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 2006  luglio 03 Lunedì calendario

La questione licenze e altro

• Forse nei prossimi giorni sarà impossibile trovare un taxi. Forse il governo cadrà prima della fine di luglio.

• Il governo ha emanato due decreti legge, provvedimenti che entrano in vigore subito e che il Parlamento deve poi approvare (convertire in legge) entro 60 giorni. Il primo di questi decreti ha suscitato una quantità di polemiche perché colpisce, tra gli altri, tassisti, farmacisti e banche, cioè tre lobbies, o categorie, molto potenti in Italia e che finora nessuno aveva osato toccare. Il provvedimento di Prodi e soprattutto del duo Bersani-Visco stabilisce tra l’altro che: chiunque possieda una licenza di taxi può andare in Comune e comprarsi altre licenze da distribuire tra i suoi dipendenti; le aspirine e gli altri farmaci che non hanno bisogno di ricetta potranno essere venduti anche in spazi appositi dei supermercati, però da farmacisti regolarmente assunti; le banche non potranno modificare i contratti con i loro correntisti senza averli informati per iscritto 30 giorni prima e dovranno inoltre adeguare automaticamente i tassi non solo quando a Francoforte salgono, ma anche quando scendono: i clienti avranno facoltà, se non sono d’accordo, di rescindere il contratto con la banca senza costi.

• Naturalmente tassisti, farmacisti e bancari si sono arrabbiati moltissimo. I tassisti sembrano i più arrabbiati di tutti. Permettere a chiunque abbia una licenza di mettere su un’impresa con tanto di dipendenti significare aumentare teoricamente all’infinito (cioè fino a quando ci sarà spazio sul mercato) il numero di taxi a disposizione. I tassisti dicono di guadagnare solo quarantamila euro l’anno di media, che la loro vita è un inferno, che la moltiplicazione delle licenze li ridurrà sul lastrico. Il governo ha risposto che in Italia c’è un taxi e mezzo ogni mille abitanti e all’estero invece 7. I taxisti annunciano uno sciopero di 24 ore in tutt’Italia per l’11 luglio, ma scioperi spontanei e blocchi ci sono già stati a Roma, Milano e Torino.

• Le banche lamentano un aumento dei costi, i farmacisti dicono che la salute non può essere tutelata nei supermercati. Il decreto Bersani-Visco liberalizza inoltre le panetterie (altre proteste, i panettieri sono sicuri che in questo modo il pane diventerà cattivo), impone alle compagnie di assicurazione di pagare direttamente i clienti anche quando hanno torto, permette di vendere l’auto senza passare dal notaio, abolisce il tariffario minimo dei professionisti (ognuno farà pagare quello che vuole, che è il principio fondante della concorrenza).

• Come abbiamo detto, trattandosi di decreto-legge, le norme sono già in vigore. E perciò tutti hanno sostenuto che il governo ha inflitto un grave vulnus alla democrazia, mettendo le varie categorie di fronte al fatto compiuto e non adottando il metodo della cosiddetta concertazione. Qui Bersani ha dato una risposta talmente forte che avrebbe dovuto far parte del programma dell’Ulivo: Sulle regole non ci può essere concertazione.

• A parte le categorie interessate, tutte più o meno mugugnanti, il provvedimento ha suscitato un mucchio di reazioni positive. Intanto le associazioni dei consumatori (le famiglie si ritroveranno in tasca almeno 500 euro in più l’anno, perché la concorrenza indotta da queste nuove regole farà abbassare i prezzi). Poi i giornali. E infine anche l’opposizione. L’Udc ha addirittura fatto capire che potrebbe votarlo, Il Foglio ha scritto: sono provvedimenti che il governo Berlusconi avrebbe dovuto adottare il primo giorno. Gli attacchi sono venuti, casomai, sulla parte del provvedimento più propriamente finanziaria, quella che fino all’altro giorno si temeva fosse una manovra pesante sulle nostre tasche. Il governo, con una serie di misure minime (tra cui la decisione di far pagare l’Ici sulle proprietà non di culto anche alla Chiesa), ha invece realizzato una micromanovra di poco superiore al miliardo di euro. Cosa che ha fatto gridare l’opposizione: allora non è vero che i conti che vi abbiamo lasciato non erano a posto!

• C’è poi il secondo decreto, quello che stanzia 488 milioni per le 28 missioni militari italiane all’estero, tra cui l’Afghanistan. Sette senatori del centrosinistra hanno dichiarato che non lo voteranno mai. L’Udc, che appartiene al centro-destra, ha invece dichiarato che lo voterà. Il voto (la conversione in legge) è previsto per metà luglio. Se il decreto dovesse passare con il voto di un partito del centro-destra e il voto contrario dei parlamentari della sinistra radicale, si dovrebbe prendere atto che il governo si regge su una maggioranza diversa da quella che gli ha dato la fiducia. Prodi dovrebbe dimettersi e gli scenari possibili a quel punto impegnano molto più spazio di quello di cui dispongo oggi. Non bisogna credere che la caduta di Prodi sia un’ipotesi tanto peregrina: a sinistra infuria una lotta tremenda per accapararsi una quota di elettorato che viene valutata nel 15%. Marco Ferrando, il trotzkista che era stato eletto nelle liste di Rifondazione, ha lasciato Bertinotti e fondato il Partito comunista dei lavoratori. Nel Pdci Cossutta è allo scontro frontale con Diliberto, ha lasciato la presidenza del partito e non esclude di da dar vita a un’altra formazione politica. Idem quelli del Correntone diessino: Cesare Salvi ha già detto che, di fronte a certe scelte, sarà meglio lasciare i Ds. Andarsene – per intenderci – significa andarsene su posizioni di sinistra. E dare soldi ai soldati italiani che stanno in Afghanistan non è sicuramente di sinistra. [Giorgio Dell’Arti]