vanity, 25 gennaio 2008
Iniziano le consultazioni
• Mentre Napolitano comincia le consultazioni, la crisi appare di esito molto incerto, anche se le posizioni di tutti sono stranamente chiarissime:
• Prodi: dice che non vuole reincarichi, se ne torna a Bologna, sostiene di voler fare solo il nonno. In una riunione del Pd, tenuta subito dopo la crisi, pronuncia un discorso cauto, in cui ammette che andare alle elezioni sarebbe un guaio (quando era ancora in sella aveva sostenuto il contrario, minacciando che avrebbe persino fatto lista a sé).
• Berlusconi: vuole le elezioni immediatamente e, almeno per quanto se ne sa fino a questo momento, non sente ragioni. I sondaggi dànno al centro-destra un vantaggio minimo di dieci punti, una maggioranza sicura alla Camera, una maggioranza al Senato che può arrivare a 30 seggi. In una dichiarazione dice anche che, una volta riconquistato Palazzo Chigi, sarà disponibile anche a un governo di «responsabilità nazionale», cioè è pronto a chiamare a farne parte anche qualcuno della sinistra (qui c’è l’esempio di Sarkozy, che in Francia ha insediato una commissione allargata a personalità dell’opposizione per studiare le riforme necessarie all’ammodernamento dello Stato: questa commissione, che ha finito il suo lavoro in 90 giorni, è presieduta da Jacques Attali).
• Veltroni: vuole un governo istituzionale che cambi la legge elettorale prima del referendum e modifichi almeno certi punti del regolamento della Camera. Pur di evitare le elezioni, ha fatto sapere che accetterebbe anche un governo Letta, cioè un governo diretto da Gianni Letta, il braccio destro di Berlusconi, mediatore instancabile e già sottosegretario alla presidenza del Consiglio nella scorsa legislatura. Avendo Berlusconi risposto: «Non se ne parla nemmeno», il segretario del partito ha preparato un piano B, da far scattare se si andrà alle elezioni anticipate. Qui le opzioni sono due: o rifare la grande ammucchiata cementata dall’antiberlusconismo che portò alla stentata vittoria del 2006 (linea di Prodi prima della crisi); oppure correr da soli, secondo l’annuncio di sabato 19. I cavalli di razza del partito, all’inizio assai perplessi, stanno convergendo su quest’ultima posizione, con questa sola correzione, proposta da Fassino-D’Alema e accettata da Veltroni: noi facciamo il programma e se qualcuno ci sta venga con noi. Quello che deve finire – dicono – è la straziante mediazione tra decine di formazioni che poi produce programmi da 280 pagine impossibili da applicare.
• Casini: vuole un governo di responsabilità nazionale che faccia le riforme eccetera. Il vero scopo è guadagnare tempo per mettere insieme la famosa Cosa Bianca, il partito di centro con Pezzotta, Mastella, forse Montezemolo, partito che potrebbe evitargli di risalire (mestamente) sulla barca del Cavaliere. Berlusconi non ha nessuna intenzione di concedergli questo tempo, e Veltroni nemmeno. Con Veltroni si sono sentiti di continuo e quando il segretario del Partito democratico gli ha chiesto se avrebbe appoggiato un governo di transizione, Casini ha risposto: «Se Berlusconi non ci sta, no. Non posso spingermi fino a questo punto». Gli elettori dell’Udc, infatti, sono comunque italiani di destra.
• Bertinotti: vuole un “governo di scopo” (ognuno indica con un’espressione diversa la stessa cosa) che faccia la riforma elettorale eccetera. Obiettivo n. 1: evitare il referendum. Obiettivo n. 2: riunire gli altri tre partiti della sinistra (Verdi, Diliberto, Mussi). Le elezioni quindi gli vanno benissimo, anche se ancora non lo dice. Con lo scioglimento delle Camere, infatti, il referendum sarà rinviato di un anno e, vigendo l’attuale legge elettorale, le quattro formazioni rosse saranno costrette a far lista comune, per non disperdere voti (tranne separarsi subito dopo, se nel frattempo non sarà riuscito a far cambiare il regolamento della Camera). Anche Bertinotti esclude di far causa comune con Veltroni. Vuole – è l’obiettivo n. 3 – recuperare tutta la sua capacità di manovra nel sociale. [Giorgio Dell’Arti]