vanity, 11 agosto 2008
Russi contro georgiani
• A Pechino cominciavano le Olimpiadi e in Europa – proprio lo stesso giorno – scoppiava una guerra vera, con bombardamenti, invasioni di carrarmati, battaglie e blocchi navali. Russi contro georgiani e, al momento in cui scriviamo, non si riesce a stabilire con certezza chi abbia cominciato e non è neanche troppo evidente come se ne uscirà e quale sarà lo sbocco finale.
• La Georgia è un’ex repubblica sovietica diventata indipendente con la fine del comunismo. Dopo varie vicende, nel 2004 è stato eletto presidente Mikheil Saakashvili, un giovane uomo politico di 41 anni, il quale ha inaugurato una politica fortemente filoamericana, ricevendo in cambio finanziamenti (cinque miliardi di dollari l’anno) e addirittura l’offerta – che vorrebbe tanto accettare – di entrare nella Nato. Bisogna prendere una cartina geografica e guardare la posizione della Georgia per capire quanto, dal punto di vista russo, una simile prospettiva suoni provocatoria, tanto più che si accompagna a un’analoga offerta-richiesta riguardante l’Ucraina e tanto più che fanno già parte della Nato – e con gran fastidio di Mosca – la Romania, la Bulgaria e la Turchia. Bush ha inoltre chiaramente detto di voler costruire uno scudo anti-missili in Polonia (dieci batterie) e nella Repubblica Ceca (stazione radar), orientato a fermare attacchi iraniani, ma comunque a un passo dalla Russia. In questo quadro, Putin può legittimamente chiedere a ogni intervista: che diavolo vogliono gli americani?
• La politica filo-occidentale dei georgiani ha poi reso possibile la costruzione di un oleodotto e di un gasdotto che non adoperano petrolio e gas russo e che non passano per il territorio di Mosca. Il grande tubo Baku-Tbilisi-Ceyan, detto Btc, e soprannominato “la via della seta del XXI secolo”, e la pipe-line Baku-Tbilisi-Erzurum, detta Bte, partono dall’Azerbaijan, passano in Georgia e sbucano in Turchia. Come forse i lettori ricorderanno (caso della chiusura dell’oleodotto di Druzhba, all’inizio del 2007, per ricattare i bielorussi), Putin adopera l’energia di cui è ricco per tenere sotto scacco la maggior parte dei suoi clienti e tra questi clienti c’è naturalmente l’Europa a cui i russi vendono il 70% delle proprie risorse energetiche. Ora naturalmente gli europei si riforniscono anche, e molto volentieri, dai due tubi georgiani e questo è, per lo zar del Cremlino, molto, molto fastidioso. Ma c’è di più: il ricatto che ha potuto piegare la Bielorussia l’anno scorso non è troppo replicabile con la Georgia: i georgiani, grazie al materiale che arriva dall’Azerbaijan, possono, in quanto a energia, far da sé. Questo fa capire che rimettere sotto in qualche modo la Georgia può essere per Putin davvero tentante.
• L’occasione che ha dato origine alla guerra non ha naturalmente niente a che vedere – ufficialmente – né con la politica estera di Saakashvili né con il petrolio. Esistono in Georgia due province – l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud – che si proclamano da sempre filo-russe, vogliono essere autonome, hanno loro governi capaci anche di contrastare la politica che si decide al centro (la capitale della Georgia è Tbilisi), hanno fatto sapere che potrebbero, prima o poi, proclamarsi indipendenti e allearsi definitivamente con Mosca. L’Ossezia del Sud ha anche l’esempio del suo stato gemello al di là del confine: l’Ossezia del Nord è infatti – con l’Alania – una delle 22 repubbliche che compongono la Federazione russa (la capitale è Vladivakvaz, città dove s’è fatto portare Putin quando ha lasciato Pechino dopo l’inaugurazione dei Giochi). Dunque: mentre il governo nazionale georgiano sta con gli Stati Uniti, due importanti province della medesima Georgia stanno con i russi. La proclamazione d’indipendenza del Kosovo – fatta unilateralmente pochi mesi fa a dispetto della Serbia e accettata come fatto compiuto dalla comunità internazionale – ha dato alle mire separatiste di abkhazi e osseti un argomento forte. Se i kosovari hanno potuto difendere la loro identità di albanesi proclamandosi autonomamente indipendenti dalla Serbia – e a parte qualche strillo nessuno ha potuto farci niente – perché lo stesso diritto non dev’essere riconosciuto agli abkhazi e agli osseti ove i due governi decidessero di proclamarsi indipendenti dalla Georgia?
• Vero che i georgiani hanno mire normalizzatrici sulle due province ribelli. E aspettano da un pezzo l’occasione per metterle in riga. Come ha spiegato il professor Stefano Silvestri: «In teoria la Georgia ha la sovranità per ristabilire l’ordine in Ossezia del Sud, però esistono risoluzioni Onu e Osce che indicano soluzioni negoziali, e sulla cui base sono presenti in Ossezia, come pure in Abkhazia, truppe russe». Queste truppe russe passano per “forza d’interposizione”, stanno cioè in Ossezia del Sud e in Abkhazia a nome della comunità internazionale per mantenere la pace (peacekeeping). In questo quadro confuso, che permette a tutti di aver ragione, ci sono stati in luglio numerosi incidenti di frontiera, un aumento di profughi, una qualche violazione dello spazio aereo georgiano da parte di apparecchi di Mosca e, insomma, a un certo punto (questa sembra al momento la ricostruzione più credibile) i georgiani hanno attaccato l’Ossezia del Sud e fornito ai russi un magnifico pretesto per intervenire.
• La diplomazia mondiale è all’opera, ma il quadro è fosco. Un dispaccio dalla Casa Bianca – ore 7.10 di lunedì 11 agosto – dice: «Il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ha definito ”inaccettabile” la violenza della Russia contro la Georgia. Il vicepresidente Cheney ha detto che “l’aggressione della Russia non può restare senza risposta” e che “la sua continuazione avrebbe serie conseguenze nelle relazioni con gli Stati Uniti”». All’Onu c’è stato uno scontro molto violento tra il rappresentante americano e quello russo. I russi dicono che stanno combattendo solo per costringere la Georgia a trattare e che ci sono volontari «impossibili da fermare». Mosca pretende che l’Onu sancisca ufficialmente, con una risoluzione, la responsabilità georgiana nell’inizio delle ostilità. Sarkozy è partito per Mosca e il suo ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, è già a Tbilisi da domenica notte: ha presentato a Saakashvili un piano in tre punti che prevede la cessazione delle ostilità, l’integrità della Georgia, il ritorno allo status quo ante. A un certo punto i georgiani hanno annunciato di essersi ritirati dal’Ossezia e Berlusconi ha allora telefonato a Putin pregandolo di «limitare le operazioni». La Merkel ha dichiarato che le ostilità devono cessare. Londra s’è schierata contro Putin e con gli americani. Mercoledì s’è riunito il Consiglio d’Europa: i polacchi vorrebbero un vertice di tutti i capi di Stato e/o di governo della Comunità. probabile che Putin sia disposto ad accettare la mediazione di Bruxelles, mentre è certo che non permetterebbe mai ad un americano di far da arbitro. L’Abkhazia (dove il contingente russo è salito a novemila unità e dove è stato dichiarato lo stato di guerra) e l’Ossezia del Sud si preparano a proclamarsi indipendenti, sul modello kosovaro. La flotta russa presidia il Mar Nero e almeno cinquanta aerei di Putin bombardano il territorio georgiano. I morti sono fino a questo momento duemila. Condoleeza Rice s’è sentita al telefono con il nostro ministro degli Esteri Franco Frattini. Gli ha detto di essere pessimista. [Giorgio Dell’Arti]