vanity, 18 agosto 2008
La guerra in Georgia
• La guerra in Georgia è finita senza essere finita. I russi hanno accettato il cessate il fuoco, ma non si sono ritirati dal Paese e anzi hanno continuato a sparare e a tenere a bada i suoi abitanti. Lasciando Igoeti hanno fatto saltare un ponte, Gori è quasi una città disabitata (60 mila profughi almeno solo qui e ridotti alla disperazione), le truppe stanno, ancora mentre scriviamo, a 45 chilometri dalla capitale. Di fatto, il Paese è occupato ed è facile prevedere che sarà tenuto in scacco il più a lungo possibile. Il presidente Medvedev ha garantito che le truppe avrebbero cominciato a ritirarsi martedì 19 agosto a mezzogiorno. Ma altri esponenti russi hanno subito precisato che «questo dipende anche dai georgiani, che frappongono ogni tipo di ostacoli». Il bilancio della guerra resta fino a questo momento di duemila morti – molti dei quali giacciono ancora sul terreno – e centomila profughi. Gli interventi umanitari risultano estremamente difficili. Sciacalli e banditi imperversano.
• Questa cosiddetta tregua è stata resa possibile da un piano in sei punti di Sarkozy in cui si prevede che tutti ritornino alle posizioni di prima e che si apra un tavolo internazionale di dibattito sulla situazione. Il piano è stato scritto in modo abbastanza generico per consentire a Mosca di accettarlo. Sarkozy, presidente di turno della Ue, è andato in Russia apposta e ci teneva a far la figura del pacificatore che in pochi minuti risolve un nodo molto intricato. Ma, a quanto si capisce, le interpretazioni su ciascuno dei sei punti sono già contrastanti e – come capita quasi sempre – la versione in russo non è perfettamente coincidente con quella che si legge nelle capitali del mondo. Il nodo non sembra troppo risolto, alla fine.
• Dal punto di vista diplomatico la situazione è al momento questa: Bush, che non è intervenuto e a quanto pare non può intervenire, tuona che i confini della Georgia devono restare intatti, che quindi Abkhazia e Ossezia del Sud non si sognino di dichiararsi indipendenti, che senza un ritiro immediato delle truppe i rapporti tra Stati Uniti e Russia saranno compromessi per sempre. Ha sostenuto queste sue minacce con un’ulteriore apertura di tipo militare a quella fascia di paesi che furono parte integrante dell’Urss oppure retti da governi fantoccio filosovietico (Ucraina, Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia). La guerra ha infatti avuto l’effetto di terrorizzare queste repubbliche, le quali si sono rivolte agli Stati Uniti per chiedere ancora più protezione. La settimana scorsa la Polonia s’è precipitata a firmare l’accordo per lo scudo spaziale, che permetterà agli Stati Uniti di piazzare dieci missili intercettori sul suo territorio, ma ha preteso, prima, anche una batteria di patriot e il rammodernamento del sistema di difesa. Gli ucraini hanno lanciato questo appello: «Siamo pronti a collaborare con chiunque ci aiuti a impiantare un sistema di difesa antimissile». una preghiera rivolta agli Stati Uniti senza che gli Stati Uniti, per prudenza, siano nominati. I russi hanno risposto che «la Polonia apre la possibilità di un attacco militare contro il suo territorio. Questo, al cento per cento» (generale Anatolij Nogovozyn) e facendo sapere che doteranno la flotta di stanza nel Mar Baltico di testate nucleari. Il Times, seguito da tutti i giornali del mondo, ha dichiarato che è ricominciata la guerra fredda.
• L’Europa, che aveva inizialmente dato l’impressione di comprendere le ragioni di Mosca (effettivamente assediata dalle armi americane), s’è via via irrigidita e da ultimo la Merkel, in visita a Tbilisi per sostenere il piano Sarkozy, ha dichiarato che se la Georgia vuole entrare nella Nato «è liberissima di farlo». A quello che si capisce, sarà l’Italia ad opporsi e con un argomento semplice: per essere ammessi nell’Alleanza atlantica non bisogna avere conflitti etnici al proprio interno. Si deve ricordare che se un membro della Nato è attaccato, tutta l’Alleanza deve mobilitarsi e mandar soldati. Ma anche se si resta fuori dalla Nato, nulla impedisce a uno Stato di trasformarsi – militarmente parlando – in una mega-base americana. Infine, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud si proclameranno quanto prima indipendenti e la comunità internazionale, che non ha fatto una piega quando la dichiarazione di indipendenza l’ha fatta unilateralmente il Kosovo ai danni della Serbia, non potrà farci niente. [Giorgio Dell’Arti]