vanity, 8 settembre 2008
Il braccialetto al polso
• La storia delle manette è questa. A due anni dal’indulto, le carceri italiane sono di nuovo al limite del sovraffollamento, con qualche concreto rischio di rivolta. In poche parole: quelli che sono usciti, nella gran maggioranza dei casi, hanno ricominciato a delinquere e sono presto tornati dentro. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha perciò pensato di svuotare le celle ricorrendo al braccialetto elettronico. Sarebbe applicato a settemila detenuti, tra immigrati da rimandare a casa (dove finirebbero di scontare la pena) e italiani condannati a meno di due anni che, col braccialetto al polso, potrebbero starsene ai domiciliari. Il ministro dell’Interno Maroni ha subito detto che non se ne parla. Ossia: che se ne può parlare solo se la garanzia di non-evasione è al cento per cento. Alfano dice che ormai questi strumenti sono sicurissimi, ma la sperimentazione fatta da noi - molto distrattamente - in questi ultimi cinque anni darebbe risultati sconfortanti. I volontari che si sono fatti mettere il braccialetto per prova sono tutti evasi in poco tempo, il braccialetto è per legge di costruito con un materiale morbido facile da tagliare, se pure il danneggiamento dell’aggeggio fa scattare l’allarme in questura questo allarme serve a poco perché dal braccialetto non partono segnali che permettano di individuare il luogo dove l’evaso si nasconde. Ci vorrebbe il monitoraggio dal satellite, ma questo, secondo quanto ha fatto sapere la Comunità europea, lederebbe fondamentali diritti dell’Uomo. Maroni, con i suoi dubbi, ha l’aria di avere ragione. [Giorgio Dell’Arti]