Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  ottobre 06 Lunedì calendario

Il Papa e la crisi

• Le Borse vengono giù in un modo tale che a un certo punto è intervenuto il Papa, improvvisando un discorsetto al Sinodo dei vescovi: «Vediamo adesso nel crollo delle grandi banche che i soldi scompaiono, che sono niente, e tutte queste cose che sembrano vere in realtà sono di secondo ordine. Lo ricordi chi costruisce solo sulle cose che sono visibili, come il successo, la carriera, i soldi. Solo la parola di Dio è una realtà solida».
Bisogna spiegare la crisi dividendola in tre: c’è la crisi americana, c’è quella europea, c’è quella italiana. Sono interconnesse, sono anzi la stessa cosa, ma il copione viene recitato in modo sostanzialmente diverso nei tre teatri.

• Stati Uniti: il governo ha ottenuto con molta difficoltà il sì del Congresso al piano da 700 miliardi. In che consiste questo piano? Alla fine in questo: lo Stato comprerà dalle banche titoli tossici per 700 miliardi di dollari. Si definiscono ”titoli tossici” quei pezzi di carta che il mondo si scambia da vent’anni sostenendo che valgono molto e che invece – s’è scoperto ora – non valgono niente. Nessuno vuole questi titoli, il denaro perciò sta fermo nelle casseforti e sostanzialmente le banche non hanno un soldo. In America è in corso un gran dibattito sull’opportunità che lo Stato intervenga così pesantemente nell’economia nazionale. Comprando i titoli tossici, infatti, il ministero del Tesoro vorrà anche pezzi di banche. Cioè nazionalizzerà il sistema del credito, cosa inaudita nella storia di quel Paese che è nato e vissuto per due secoli e mezzo esaltando la proprietà privata, il mito della frontiera e l’uomo solo contro tutti. Infatti c’è un forte movimento di opinione contrario che ha fatto bocciare una prima volta il piano alla Camera e che adesso tuona in favore dell’opportunità, casomai, di aiutare le famiglie a pagare i mutui, in modo che il mercato immobiliare – il segmento da cui è partita la valanga – si ritiri su e aiuti la ripresa. Solo che questo tipo di intervento richiede tempo, e a quanto pare il problema delle banche va invece risolto qui e ora: Lehman Brothers è saltata più o meno in dieci minuti. Ma c’è un altro punto: qualcuno dovrà essere chiamato a decidere, per conto del governo, come spendere i 700 miliardi e qualcun altro invece dovrà attrezzarsi (con documenti eccetera) per incassare. Sulla persona che dovrà decidere come spendere, è in corso una lotta furibonda perché Paulson – un ex Goldman Sachs – vorrebbe nominare qualche suo amico banchiere e questo creerebbe un conflitto di interessi pazzesco. Ci vorrebbe uno come Paul Volcker, che ha diretto la Fed prima di Greenspan, ed è autenticamente al di sopra di tutti. Solo che ha 81 anni... Quanto a chi dovrà incassare i 700 miliardi, si tratta naturalmente della banche, che venderanno in cambio i loro titoli tossici. Quindi, in questo momento, c’è una certa convenienza a procurarsi titoli tossici in modo da aver roba da rifilare allo Stato. Infatti Citigroup e Wells Fargo sono venuti alle mani (cioè stanno in tribunale) per stabilire chi abbia il diritto a comprare Wachovia, banca già fallita. E sono in caccia anche Bank of America e JP Morgan Chase. I soldi dello Stato - divenuti improvvisamente la panacea generale – producono infatti inevitabilmente corruzione e malaffare. E quella parte dello spirito bancario che tende all’associazione a delinquere (una parte piuttosto consistente) è naturalmente prontissima ad approfittarne, con buona pace di Benedetto XVI.

• Europa: in Europa è in atto una guerra tra stati, il cui bottino sono i correntisti. Ha cominciato l’Irlanda quindici giorni fa dichiarando che i conti individuali dei suoi depositi saranno d’ora in poi garantiti al cento per cento. Che cosa significa? In ogni Paese le banche contribuiscono a un fondo che garantisce i clienti in caso di fallimento: la banca A salta per aria e il fondo rimborsa i correntisti. Non però al cento per cento: in tempo di pace si stabilisce un tetto oltre il quale il cliente perde tutto (questo tetto in Italia è da sempre uno dei più alti: 200 milioni di lire, 103 mila euro). In tempo di guerra, gli argini saltano: se una banca irlandese salterà per aria lo Stato coprirà per intero la somma qualunque sia il suo importo. La conseguenza di questa dichiarazione è che gli inglesi, profittando del fatto che le banche irlandesi sono a un passo, hanno tolto i soldi agli istituti britannici e li hanno trasferiti su quelli di Dublino. La cosa deve aver provocato movimenti anche in Germania - dove il pericolo di crac a catena è altissimo – perché domenica sera la Merkel, rientrando dal vertice parigino dove si sono discussi questi problemi, ha annunciato che il governo tedesco coprirà anche lui al cento per cento tutti i depositi. Si tratta di un impegno da 570 miliardi di euro. A questo punto (erano le 11 di lunedì mattina) i governi svedese e danese hanno comunicato ufficialmente che pure loro copriranno eccetera eccetera. In pratica i singoli stati nazionali stanno mettendo in tavola una somma superiore ai 700 miliardi americani, in una forma però democraticamente discutibile e con effetti che potrebbero risultare molto gravi se il sistema cominciasse a venir giù sul serio. Il fatto è che una riunione tenutasi nel weekend a Parigi tra Berlusconi, Sarkozy, Gordon Brown e la Merkel non ha prodotto risultati apprezzabili perché gli europei – a differenza degli americani – non hanno un’istituzione centrale che governa le banche. La Bce ha titolo sulla moneta, ma non sulla vigilanza che è rimasta in mano ai governatori nazionali. Uno tsunami sul Continente non avrebbe perciò un nocchiero dotato di poteri sufficienti per affrontarlo efficacemente che in questo caso significa una sola cosa: velocemente.

• Unicredit: la spina italiana si chiama Unicredit, la grande banca che Profumo ha portato in cima alle classifiche mondiali acquisendo nel 2005 la tedesca Hpv e che nel momento in cui scriviamo è leader in una ventina di paesi europei. Gli operatori di Borsa hanno passato l’estate a vendere azioni Unicredit a mucchi e il titolo viaggia adesso tra i due euro e mezzo e i tre euro. L’anno scorso, a domanda, Profumo disse che un’Opa sulla sua creatura sarebbe stata ragionevole almeno a 9 euro. Che cosa è successo? Non lo sa nessuno con certezza, ma a giudicare dalle mosse compiute si direbbe che l’istituto è a corto di soldi oppure che teme di trovarsi molto presto a corto di soldi. Un primo consiglio d’amministrazione ha stabilito di bloccare tutti i premi e gli aumenti di stipendio fino al 31 dicembre 2009 (il sindacato interno non ha fiatato). Un secondo consiglio d’amministrazione, tenuto domenica pomeriggio, vale a dire prima della riapertura dei mercati (dal punto di vista della comunicazione una scelta pessima), ha deciso di fare cassa vendendo la partecipazione in Generali del 3,5% e varato due aumenti di capitale per un totale di 6 miliardi di euro. Il primo aumento di capitale servirà a produrre azioni per pagare il dividendo. Cioè: i soci incasseranno gli utili 2008 (già tagliati del 25%) non cash, ma in titoli della società. Il secondo aumento di capitale è invece un’iniezione di denaro fresco per 3 miliardi al prezzo di 3,083 euro, molto alto per la quotazione attuale. dunque possibile che i soci si rifiutino di sottoscrivere. In questo caso Mediobanca e Merryl Linch, che curano il collocamento, hanno imposto l’emissione di un’obbligazione. Vale a dire Unicredit dovrà indebitarsi. E che tassi garantisce la banca di Profumo a coloro che saranno disposti a prestarle il denaro? L’Euribor a tre mesi più 450 punti, vale a dire il 9,81%. I giornali scrivono che, per quanto riguarda le obbligazioni, fioccano le prenotazioni. Ma quei tassi lì somigliano molto, purtroppo, a quelli che promettevano gli argentini. [Giorgio Dell’Arti]