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 2009  aprile 11 Sabato calendario

Il bilancio del terremoto d’Abruzzo

• Il bilancio del terremoto d’Abruzzo è di 290 morti, 40 mila senza tetto, quasi mille e cinquecento feriti. Ci sono ancora una decina di dispersi ed è quindi possibile che si superino le 300 vittime. La gran parte di questi sventurati sono stati sepolti nel giorno di venerdì santo, 10 aprile 2009, in una cerimonia officiata dal cardinal Bagnasco davanti a cinquemila persone, un terzo delle quali parenti delle vittime, il governo presente praticamente al completo, l’opposizione pure, Berlusconi singhiozzante. Duecentocinque bare allineate su uno spiazzo quadrato di 1600 metri quadri, davanti alla caserma Giudice dell’Aquila. Qua e là, poggiate sulle casse, i piccoli feretri bianchi dei bambini. Dietro agli edifici, rese invisibili da coloro che si sono occupati della scenografia, le macerie. Durante la cerimonia la terra ha ancora tremato una ventina di volte.

• Il terremoto d’Abruzzo ha riservato agli italiani, che nel corso della settimana non si sono occupati d’altro, le scene di routine delle tragedie come questa: le persone estratte vive ancora a venti o trenta ore dal cataclisma, gli sciacalli venuti a saccheggiare le case abbandonate, la solidarietà di tanti, le madri e i padri in lacrime, i giocattoli disseminati tra le rovine, i politici accorsi sul posto e in cerca di un formidabile palcoscenico mediatico, la televisione e la radio perennemente collegate, pagine e pagine di giornali, fiumi di retorica da ogni parte. Vi sono però, stavolta, un paio di fatti nuovi. Il primo: è andato integralmente distrutto – ed è la prima volta – un centro storico di straordinario valore storico-artistico, quello dell’Aquila. Ci si è dunque finalmente resi conto che l’Italia – un paese a totale rischio sismico se pure in gradi diversi tra una zona e l’altra – avrebbe bisogno di cure specialissime, quanto alle inevitabili catastrofi, non solo per l’ovvia tutela delle persone, ma anche a salvaguardia del più grande patrimonio culturale del mondo. La sollecitudine con cui dall’estero sono arrivate offerte d’aiuto e la pronta messa a disposizione da parte dell’Unione europea di un mezzo miliardo di euro sono anche un richiamo a una responsabilità universale della nostra classe dirigente. Il secondo fatto: i palazzi tirati su negli anni Cinquanta-Sessanta-Settanta, fino a strutture inaugurate alla fine degli anni Novanta – come il disgraziato ospedale San Salvatore di Coppito – vennero edificati alla meno peggio, in economia e avendo come obiettivo da parte dei costruttori il più alto profitto possibile, con sabbia di mare invece che di fiume, in dispregio di ogni prudenza, anche a prescindere dalle norme antisismiche non in vigore. Si dice da parte di alcuni che questo è stato il prezzo pagato alla patrimonializzazione di massa, cioè alla possibilità data all’85% degli italiani di possedere una casa. Risibile risposta, e che non può certo riguardare gli edifici pubblici. L’insieme di questi manufatti risulta perciò, per una parte troppo grande, un monumento all’imperizia, all’inefficienza, al malaffare, un atto d’accusa innanzi tutto verso quei Comuni e quelle Regioni che appena dieci giorni fa si sono arrogati il diritto di ergersi a difensori del territorio contro Berlusconi e il suo piano casa (dove di norme antisismiche, peraltro, non c’era il minimo cenno). La decisione della Procura della Repubblica dell’Aquila di aprire un’inchiesta su tutta questa materia è apparsa quindi doverosa. C’è poi una responsabilità politica generale, al confine tra cretineria e crimine, esemplificata dalla storia delle nostre norme antisismiche: nel 2005, dopo il crollo della scuola di San Giuliano di Puglia, Berlusconi varò una legge che avrebbe obbligato i costruttori a tenere conto dei terremoti (i palazzi possono anche lesionarsi, ma non devono cadere), che però prevedeva un rinvio di 18 mesi all’effettiva entrata in vigore del provvedimento perché le imprese avevano bisogno di tempo per mettersi in regola; Prodi allungò poi questa fase transitoria fino al dicembre 2007, nel gennaio 2008 ritoccò la legge e ne prorogò ancora l’entrata in vigore al giugno 2009; infine Berlusconi, alla fine dell’anno scorso, prorogò ancora questa fase transitoria al 30 giugno 2010. Cinque anni di fase transitoria! Un record che fa bene il paio con il primato stabilito per l’ospedale-fuscello San Salvatore: trent’anni per inaugurarlo e l’uso di un cemento – da parte del costruttore Impregilo – che era stato preparato da una ditta diversa e poi prudentemente fallita.
Berlusconi, che è stato sempre sul luogo della tragedia, ha tenuto una conferenza stampa dietro l’altra, e s’è fatto intervistare da tutte le televisioni più importanti negli orari di massimo ascolto, ha promesso che di queste porcherie non vedremo più neanche l’ombra. Tutto sarà ricostruito a regola d’arte, eccetera. Un’idea nuova è quella delle New Towns, cioè Città Nuove, costruite a fianco di quelle distrutte, con criteri giapponesi e cioè fornite di edifici assai difficili da buttar giù. Le critiche, che si sono subito levate da ogni parte (la gente ha bisogno del suo passato, ricostruiamo negli stessi posti di prima), sono premature: sarà bene, prima di parlare, vedere i progetti, conoscerne la filosofia. Anche perché la ricostruzione delle zone colpite adesso e la necessità di procedere a un rinforzo delle decine di migliaia di monumenti italiani – ipotizzando che i privati si facciano carico di mettersi a norma con i propri soldi – richiede uno sforzo economico enorme. abbastanza semplice immaginare che ci vorranno, per far fronte ai danni del sisma abruzzese, tra i cinque e i sei miliardi di euro e si sta già discutendo di come raccoglierli. Esiste un partito delle una tantum, cioè di una tassa da pagare una sola volta a questo scopo (se ne è fatto promotore Giuliano Amato, che però al momento non ha alcun potere) oppure con provvedimenti di altro tipo. Sembra certo il varo di un terzo scudo fiscale, cioè di quella sanatoria che permette il rientro dei capitali illegittimamete collocati all’estero. I due scudi precedenti fruttarono allo Stato un paio di miliardi, non poco ma neanche tantissimo: e la multa da pagare era di appena il 2,5%. Stavolta si vorrebbe un provvedimento meno favorevole agli evasori e concordato a livello europeo. Ma, in questo modo, l’incasso potrebbe essere meno significativo. [Giorgio Dell’Arti]