vanity, 20 aprile 2009
La Fiat e la Chrysler
• La Fiat può effettivamente diventare padrona della Chrysler, secondo un percorso che si sta sviluppando da parecchie settimane e di cui non abbiamo potuto dar troppo conto per via del terremoto. Gli americani, che avevano ricevuto aiuti per quattro miliardi a Natale, ne vorrebbero altri sei il prossimo 30 aprile. Ma Obama ha bocciato il loro piano di ristrutturazione e imposto non solo l’ingresso della Fiat (su cui a Detroit erano già d’accordo) ma addirittura la leadership di Marchionne. «La Chrysler ha bisogno di un partner – ha detto il presidente degli Stati Uniti – ci vuole un accordo solido che protegga i consumatori americani. So che la Fiat è pronta a trasferire la sua tecnologia di punta alla Chrysler e, dopo aver lavorato in stretta collaborazione con il mio team, si è impegnata a costruire motori e nuove auto a basso consumo di carburante qui in America». Una dichiarazione clamorosa e senza precedenti. I lettori ricorderanno che tra Fiat e Chrysler era già stato firmato un accordo non vincolante in base al quale Fiat avrebbe ricevuto un quarto di Chrysler senza esborso di denaro ma solo in cambio del trasferimento in America delle sue piattaforme produttive e del suo know how (ingegneri eccetera). Avrebbe poi potuto salire fino al 55% sborsando 25 miliardi. Obama, pur spalancando le porte ai torinesi, ha preteso un po’ meno invadenza: il 20% subito e nessuna ulteriore scalata all’azionariato fino a quando i 10 miliardi di aiuti non saranno restituiti. Adesso la partita è alle battute finali. Marchionne ha fatto su e giù con Washington, lavorando a stretto contatto con i tecnici della Casa Bianca per approntare un piano che meriti l’approvazione del Presidente. La questione principale, a questo punto, sembra soprattutto finanziaria: le banche, che hanno crediti verso Chrysler per sette miliardi di dollari, dovrebbero accontentarsi di riceverne solo uno. I sindacati, che nel corso dei decenni hanno reso Detroit una Mecca operaia, dovranno accettare licenziamenti, taglio dei salari e un’assistenza sanitaria poco più che nulla. Insomma, dovranno adeguarsi agli standard che quelli della Toyota praticano nei loro stabilimenti americani (tutti lontani da Detroit). Fanno resistenza tutti e due: le banche sostengono che a questo punto gli conviene il fallimento, dal quale ricaverebbero almeno 3-4 miliardi; i sindacati fino al momento in cui scriviamo resistono, specialmente quelli che rappresentano i lavoratori canadesi. Ma l’aria è che alla fine cederanno entrambi. Alle banche gli uomini di Obama hanno ricordato che sono state a loro volta aiutate dallo Stato, e molto generosamente: sarebbe dunque incomprensibile un loro atteggiamento negativo, che costerebbe decine di migliaia di posti di lavoro. I sindacati riceveranno, in cambio dei loro crediti sanitari, una quota del 20% della stessa Chrysler, inaugurando un’era davvero nuova nella storia degli Stati Uniti, quella dei lavoratori che si fanno padroni della loro stessa azienda.
• Le due case, insieme, occupano 240 mila persone distribuite in 208 stabilimenti. Una volta unite, la loro forza commerciale sarà davvero imponente. Fiat porta 6.500 concessionati distribuiti in 190 paesi. Chrysler 4.900 in 125 paesi. Fiat venderà negli Stati Uniti la 500 e i modelli dell’Alfa Romeo, un’auto che laggiù è un mito (Dustin Hoffman ne Il laureato guidava una Duetto). Per vedere la prima automobile Chrysler-Fiat bisognerà aspettare almeno due anni. Non è semplice tentare di immaginarla: loro sono specializzati nei macchinoni, tipo gip o suv, auto che consumano e inquinano. Noi, tutto l’inverso. [Giorgio Dell’Arti]