vanity, 23 agosto 2010
La Fiat sulle prime pagine
• La Fiat è di nuovo sulle prime
pagine dei giornali per una vicenda che riassumiamo così:
– Nel corso di uno sciopero nello stabilimento di Melfi (in provincia di
Potenza) tre operai – due dei quali sindacalisti della Cgil – hanno bloccato
con le mani il carrello comandato elettronicamente che trasportava il materiale
verso gli altri lavoratori, con questo gesto obbligando a star fermi anche
quelli che volevano continuare a lavorare;
– La Fiat ha quindi licenziato i tre, che si chiamano Giovanni Barozzino,
Antonio Lamorte e Marco Pignatelli;
– I tre hanno fatto ricorso al tribunale del lavoro e lo scorso 10 agosto il
giudice Emilio Minio ha ordinato alla Fiat di reintegrarli;
– La Fiat ha presentato ricorso contro il provvedimento del giudice (udienza il
prossimo 6 ottobre);
– La Fiat ha intanto intimato agli operai di starsene a casa: fino al 6 ottobre
riceveranno lo stipendo, ma l’azienda non intende avvalersi delle loro
prestazioni;
– La Fiom-Cgil vuole invece che i tre possano rientrare in fabbrica e
riprendere il lavoro di prima, «la mattina mi voglio alzare e voglio sentirmi
un uomo con la mia dignità, i miei diritti e i miei doveri», eccetera.
– Il giorno della verità è oggi ore 12, cioè pochi minuti dopo la
consegna di questo articolo. Il sindacato annuncia che
Barozzino-Lamorte-Pignatelli si faranno accompagnare ai cancelli dalla polizia.
Sarà dunque un delegato a dover decidere sul merito di un contenzioso che, dal
punto di vista giuridico, appare di interpretazione non semplice (per esempio:
che cosa reintegra il giudice quando reintegra? L’azienda ha o non ha il
diritto di decidere che cosa debbano o non debbano fare i lavoratori? A che
punto comincia il mobbing?).
È bene sapere che anche il giudice Minio ha ammesso la verità dei fatti, quale
raccontata dall’azienda: i tre hanno effettivamente bloccato il carrello. Solo
che – per il magistrato - potrebbero averlo fatto per sbaglio, oppure nella
concitazione della lotta sindacale. Nel qual caso il licenziamento può apparire
un provvedimento eccessivo.
La linea dura del Lingotto è facile da interpretare: la Fiat vuole produrre
senza problemi le sue Panda a Pomigliano (e le altre vetture affidate agli
stabilimenti italiani), e intende sconfiggere in modo definitivo la logica del
conflitto permanente in fabbrica. Nel peggiore dei casi, avrà una motivazione
forte per sostenere che in Italia non si può lavorare e che è meglio aprire
stabilimenti in Polonia, Serbia o negli Stati Uniti. Facile anche la lettura
della linea Fiom: i contratti flessibili che si stipulano fabbrica per
fabbrica, o azienda per azienda, sono la vera peste sociale dei tempi moderni.
Si deve tornare invece al contratto nazionale, cioè alla contrattazione
centralizzata che restituisce al sindacato nazionale e alle sue articolazioni
tutto il potere che ne giustifica la sopravvivenza. [Giorgio Dell’Arti]