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 2010  ottobre 09 Sabato calendario

Uccisi quattro alpini

• Gianmarco Manca, Francesco Vannozzi, Sebastiano Ville, Marco Pedone: sono i nomi dei quattro alpini uccisi in un agguato con sparatoria nel distretto del Gulistan, duecento chilometri a oriente di Farah. Il più vecchio aveva 32 anni, il più giovane 23. Stavano scortando una colonna di 70 camion civili che rientrava dall’aver trasportato materiale per la costruzione di una base operativa. I talebani, che hanno poi rivendicato l’assalto con un comunicato sul sito di al Qaeda, dopo aver provocato l’esplosione con uno ied (un ordigno fatto in casa), hanno poi attaccato la colonna, venendo respinti dagli stessi italiani. Il contingente italiano in Afghanistan ammonta adesso a 3.500 unità che diventeranno poco meno di 4.000 entro la fine dell’anno. L’Italia conta, con questo, trentaquattro morti dall’inizio della guerra, con un trend che al momento pare ascendente: le vittime del nostro Paese furono nove l’anno scorso, sono già dodici a questo punto dell’anno. Nell’azione di sabato sono rimasti feriti altri due uomini, gli alpini Luca Cornacchia (31 anni) e Michele Miccoli (28).

• I morti del Gulistan hanno riacceso la polemica sul senso della guerra afghana in generale e della nostra presenza laggiù in particolare. Sul versante della politica italiana non ci sono novità: le forze di maggioranza e quelle sensibili alle esigenze americane sostengono che il terreno non può essere abbandonat ci sono impegni internazionali, c’è comunque, in quel sito, l’origine prima del terrorismo islamico. Gli oppositori dicono che nessuno è mai uscito vincitore da quelle montagne e che non si vede come Stati Uniti e Nato possano venire a capo di una popolazione frammentata, dominata da criminalità, capi-tribù, sceicchi e ras del terrorismo mondiale. In ogni caso, Obama – alle cui esitazione un certo numero di commentatori attribuisce la maggiore responsabilità di queste tragedie – ha detto e confermato in più occasioni che nel luglio dell’anno prossimo comincerà a ritirarsi. Noi, intanto, ci accingiamo a mandare altri mille militari entro la fine dell’anno. Molti di questi avranno il compito di addestrare soldati e poliziotti afgani perché, una volta spariti gli occidentali, siano capaci di far da sé. In realtà il ritiro non sarà totale: le basi Usa del Nord resteranno in piedi, l’aviazione statunitense appoggerà l’esercito afgano, un presidio occidentale terrà comunque a bada il lato del Paese che confina con l’Iran. La situazione è resa ancora più complicata dall’interesse delle mafie mondiali, a cui giova una condizione di instabilità perenne. Solo se le potenze continueranno a dar battaglia, tentando di venire a capo di un rebus all’apparenza insolubile, la multinazionale dell’eroina e dell’oppio potrà continuare indisturbata la coltivazione del papavero, il fiore che dà in questo momento da mangiare a una gran parte di quel popolo. [Giorgio Dell’Arti]