29 dicembre 1908
Tags : 1908 – Messina e Reggio, il nostro tsunami
La fame, la sete, i saccheggi
Messina, scrivono alcuni dispacci, è in preda a bande di
malviventi e di carcerati in fuga che rubano il possibile dalle case distrutte,
dai corpi. Ma spesso è la fame, la mancanza di ogni genere di prima necessità a
muovere il saccheggio. Acqua potabile non ce n’è quasi più, col sottosuolo
sprofondato tutti i condotti sono otturati o distrutti. «Si facevano gargarismi
di acqua salata per liberarsi della polvere che invade le vie respiratorie. Le
ferite stesse erano lavate con acqua di mare. Tutti bevevano acqua di mare: non
c’era altro», racconta Bruno Aliotti-Rosso, un fiorentino residente a Messina,
giunto a Palermo sul piroscafo inglese Ebe insieme a parecchi feriti il 30
dicembre. «A un tratto – continua – mentre il piroscafo lascia la plaga della
sventura, nuove grida colpiscono i nostri orecchi: poi assistiamo esterrefatti
a una scena selvaggia, a una di quelle manifestazioni di follia criminale
collettiva che solo le stragi, le epidemie, le guerre, i flagelli più crudi
possono appena giustificare. Una turba di persone di ogni ceto, di ogni età,
nude, semivestite, lacere, irrompe verso gli uffici della dogana, disposta alla
strage, al saccheggio, al delitto pur di ottenere qualche cosa, pur di avere
commestibili, pur di aver bende, vestiti, qualche cosa per scaldarsi, per far
tacere l’urlo della fame. I doganieri non sanno e non possono resistere
all’orda selvaggia che irrompe. La dogana è invasa; improvvisamente echeggiano
colpi sinistri. Vengono esplosi colpi di revolver da fratelli contro fratelli
per contendersi un pugno di legumi, un po’ di pane, di riso, di cereali (...)».
[Cds 31/12/1908]