5 maggio 1978
La confessione di una sconfitta
C’è un postscriptum al comunicato numero nove delle Brigate rosse (quello del gerundio): «Le risultanze dell’interrogatorio ad Aldo Moro e le informazioni in nostro possesso, ed un bilancio complessivo politico-militare della battaglia che qui si conclude, verrà fornito al Movimento Rivoluzionario e alle OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti) attraverso gli strumenti di propaganda clandestini». È la confessione di una sconfìtta. Già anticipata nel comunicato numero sei, questa decisione di destinare soltanto alla diffusione clandestina le «risultanze» del processo a Moro assume, nel comunicato che dà per certa l’esecuzione della sentenza, un senso di più evidente e sinistra menzogna: a nascondere, appunto, la sconfitta. Nel comunicato numero tre avevano detto: «niente deve essere nascosto al popolo ed è questo il nostro costume»; lo avevano ribadito, in maiuscole, nel comunicato numero cinque; nel sei, pur avendo già scelto la diffusione clandestina, vagamente promettevano: «tutto sarà reso noto al popolo». Ma nel nove questa promessa sembra del tutto dimenticata. Ci sono o non ci sono «le risultanze dell’interrogatorio ad Aldo Moro»? E, domanda ancora più grave, c’è ancora il popolo cui «niente deve essere nascosto»? Forse si può rispondere con un no ad entrambe le domande. L’interrogatorio a Moro non gli ha lasciato nulla in mano che possa esplodere come rivelazione, servire come accusa; e la decisione di ucciderlo è ovvio agisca in loro, inconsciamente, ad accrescere il senso e il sentimento di una separazione, di un isolamento, di una chiusura sempre più stretta in quella monade che ormai ha solo dei sotterranei, segreti passaggi – passaggi che a conveniente momento, e non da loro, saranno chiusi (...). Leonardo Sciascia [da L’affaire Moro, Palermo 1978]