18 aprile 1978
Tags : Aldo Moro, il sequestro e l’uccisione
Trentaquattresimo giorno del sequestro Moro
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Un messaggio che annuncia «l’avvenuta esecuzione» di Moro, la polizia che
scopre la base operativa delle Brigate rosse: succede tutto in meno di mezz’ora
e la tensione del Paese torna agli stessi livelli del 16 marzo. Alle 9.30 una
telefonata al quotidiano romano Il Messaggero segnala la presenza di un
messaggio in un cestino dei rifiuti dietro la statua di Gioacchino Belli,
nell’omonima piazza a Trastevere. Dice il Comunicato numero 7: «Oggi 18 aprile
1978 si conclude il periodo dittatoriale della Dc che per ben 30 anni ha
tristemente dominato con la logica del sopruso. In concomitanza con questa data
comunichiamo l’avvenuta esecuzione del presidente della Dc Aldo Moro, mediante
“suicidio”. Consentiamo il recupero della salma, fornendo l’esatto luogo ove
egli giace. La salma di Aldo Moro è immersa nei fondali limacciosi del lago
Duchessa, altezza metri 1.800 circa, località Cartore (provincia di Rieti) zona
confinante tra Abruzzo e Lazio. (...) Inizino a tremare per le loro malefatte i
vari Cossiga, Andreotti, Taviani e tutti coloro i quali sostengono il regime
(...)». Dubbi sull’autenticità: l’intestazione Brigate rosse è diversa dalle
altre, nel testo compaiono tre errori di ortografia, la sigla Dc è puntata, il
volantino, a differenza di tutti gli altri se si eccettua il primo, è stato
fatto trovare in una sola città. Nonostante le perplessità sul messaggio,
cominciano subito le ricerche nell’area segnalata: polizia e carabinieri, con
l’aiuto di elicotteri, uomini del soccorso alpino, finanzieri, vigili del
fuoco, passano al setaccio la zona. Il lago della Duchessa si trova in una
stretta gola montana: difficilmente raggiungibile in questa stagione, è coperto
da una lastra di ghiaccio. Vanno avanti i cani, mentre i sommozzatori cercano
nel vicino lago di Cerasolo. Poi cominciano le immersioni anche nelle acque
della Duchessa. Ma non si trova nulla. Dal carcere di Torino Curcio e
Franceschini dicono che quel comunicato non è delle Brigate rosse. [Cds
19/4/1978]
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Via Gradoli 96, interno 11, secondo piano. Ore 9.42, un idraulico chiama i
vigili del fuoco: c’è una perdita d’acqua dall’appartamento dove abita l’ingegner Vincenzo Borghi
(nome sulla cassetta della posta e sul citofono), ma l’uomo non è in casa. I
pompieri entrano da una finestra e subito si accorgono che non è una normale
abitazione. Nell’appartamento la polizia trova armi (sei rivoltelle con
silenziatore, un mitra Km-I, un fucile a pompa con canna mozza: nessuna però
usata nella strage di via Fani), divise dell’aviazione civile, della Sip, della
Ps e delle poste, esplosivi, targhe e documenti falsi. Borghi o come si chiama,
tipo tarchiato con i baffi, faceva vita molto appartata. Molti dei vicini
ricordano una donna con i capelli rossi, vistosamente bella, che è entrata
anche la sera prima. [Cds 19/4/1978] L’ingegner Borghi: in realtà Mario Moretti, ideatore e principale artefice del sequestro Moro.
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Nei palazzi della politica la giornata scorre tra sconforto e speranza. Dalla
mattina, programmi ribaltati, riunioni interrotte, direzioni in seduta
permanente. Andreotti avverte i ministri di tenersi pronti per una convocazione
straordinaria del Consiglio dei ministri, si parla di un’imminente
proclamazione dello sciopero generale. Nel pomeriggio alla sede della Dc
arrivano Berlinguer, Craxi, Malagodi, La Malfa che esce poi piangendo. Verso le
17 il portavoce della Dc comunica che la certezza che Moro sia morto «non c’è».
[Cds 19/4/1978]