2 giugno 1946
Melusina e i bruti
Nello stretto corridoio della buca – quello in cui mangiavano allineati con le spalle al muro tre o quattro clienti più poveri o più sparagnini – fu vista passare in fretta e avviarsi verso la scala a chiocciola che portava laggiù nel mondo dei canti, della luce e della buona cucina, una signora dal seno piatto e dalle gambe robuste, non alta, vistosamente elegante, un tubino piumoso e un po’ in tralice sulla chioma rossastra; e al suo seguito, ossequiosi, un uomo grigio e monocoluto e un monturato in divisa nera, col “pipistrello” buttato addosso con negligenza e tra le mani un fascio di giornali e uno staffile.
– La signora Pinzauti – disse pallido di ammirazione uno degli uomini del corridoio piegando il berretto basco su una zuppa di lampedrotto.
– Mrs. Bedford – corresse un cliente grasso, piuttosto sorpreso.
– Donna Odilia Caponsacchi – rettificò un giovane calvo e occhialuto ch’era giunto da poco da Roma.
– O meglio Berta Chimichi, se non vi spiace – insinuò un avventore che portava un panama abbassato sugli occhi e su un tegamino di trippa e zampa.
– Oh! – protestarono gli altri. – Che dite mai? Avete voglia di scherzare?
– No, veramente – disse il guastafeste –. Si chiamava Albertina, detta Berta, quando la conobbi io molti anni fa. Eh, una donna deliziosa.
Il garzone del trattore, il “ministro”, passò nel corridoio versando due dita di aleatico nel bicchiere degli agenti. Dalla porta di fondo s’intravedeva la strada buia. La guerra era cominciata da poco e la vita notturna della città si svolgeva all’oscuro.
– Raccontate, raccontate – disse un poliziotto, che assisteva con interesse alle contestazioni dei quattro clienti.
– Una donna chic – confermò l’uomo del panama. – Un temperamento così – (e aprì le mani come se sostenesse una grossa sfera) – La conoscevo bene; eravamo compagni di scuola. Sposò a ventott’anni l’industriale Ferralasco. Era un uomo dedito al lavoro, che non le faceva mancare nulla ma non rispettava la sua personalità. Su questo punto c’era stato un patto fra i due (un covenant, diceva lei) ma Ferralasco mancò all’impegno. Lei intendeva essere come la ninfa Melusina che sposandosi chiedeva di riserbarsi un giorno ogni settimana, il sabato, per potersi trasformare in sirena. Nei giorni di sabato il marito non doveva vederla né farsi vedere.
– Capisco… capisco – disse benevolmente il primo preopinante. – E il marito volle saperne di più.
– Non subito, intendiamoci. Era assente per affari ben più di un giorno alla settimana. Quando c’era pretendeva, però, di farsi sentire e di controllare le sue spese. Ci furono grossi dissidi. Dicono che un bel giorno il Ferralasco la trovasse tra le braccia di non so quale architetto che doveva costruire un padiglione nel loro giardino, al Pian dei Giullari.
– Un sabato? – chiese con ansia il giovane calvo. – Bella pretesa! Una donna simile in quelle mani. Non conosco il marito, ma…
– Pare si trattasse di un venerdì – disse l’uomo del panama. – Comunque con un bruto come quello c’era poco da discutere. Fortuna volle che il Ferralasco morisse pochi giorni dopo senza avere fatto testamento.
– E allora – interrogò il mangiatore di lampedrotto – secondo voi il matrimonio col Pinzauti avvenne dopo? E lei aveva già più di ventott’anni?
– Non so quel che può essere accaduto dopo. Sono stato in Africa alcuni anni.
– Era l’architetto questo Pinzauti? – insinuò l’altro agente in borghese.
La saracinesca fu alzata rumorosamente, passarono uno strillone di giornali e un uomo che reggeva una sbarra di ghiaccio infarinata di segatura. Poi tornò il “ministro” che dispose sui tavoli alcuni piattini di fagioli, li condì col fiasco, senza esuberanza, e versò agli agenti un’altra mescita di morellino. Dal sottosuolo una voce rauca cantava «funiculì funiculà».
– Macché architetto – confutò il signore dal berretto basco. – Quello sarà stato un semplice episodio. Una donna come quella sposare un artista, un morto di fame! Odilia (l’ho conosciuta con questo nome) sposò il dottor Pinzauti giovanissima. Non capisco perché voi l’avete fatta… cominciare a ventott’anni. Lui era un omeopatico piuttosto ricco, lavorava molto con gli inglesi. Poi fu mandato al confino per ragioni politiche, ma a lei naturalmente non piaceva di essere compromessa. Invece di seguirlo a Lampedusa divorziò in Ungheria dopo qualche tempo. Il marito si addossò le spese piuttosto salate, senza discutere. Era un avaro, badate, un uomo gretto che passava nel suo studio gran parte del giorno.
– Ah, quel cafone lavorava con gli inglesi? – osservò l’uomo grasso carezzandosi il distintivo all’occhiello – forse allora Mr. Bedford sarà stato un amico di casa, un consolatore. È un peccato che non abbia fatto la fine dell’architetto. Poco dopo averla sposata la portò ad Ascona, dove pretendeva di scrivere un’opera sullo stato corporativo italiano. Ammirava molto i progressi del nostro Paese. Ebbero un figlio che lei non voleva e che ora deve essere in Inghilterra. Il signor Bedford aveva divorziato per lei da una prima moglie, ma le nuove nozze non furono felici. Mr. Bedford non capiva affatto la pittura della consorte e neppure voleva che lei frequentasse troppo i nudisti del luogo: le imponeva una vita troppo noiosa per un’artista come lei. Quando la signora gli chiese di fare un viaggio all’estero con un naturista scozzese pare che quell’animale si arrischiasse a darle uno schiaffo. Per farla breve, fecero annullare il matrimonio e le spese furono divise fra Bedford e il suo successore.
– Don Clemente Caponacchi – precisò il giovane calvo e occhialuto che attendeva il suo turno. Ma fu interrotto dall’umido transito di un ostricaro e dall’apparizione di due chitarristi che strimpellarono qualcosa anche per loro e fecero poi la “chetta” con un vassoio in mano. Indi la saracinesca fu alzata e riabbassata e la calma tornò nel corridoio.
– Don Clemente – riprese il quarto informatore asciugandosi i fanali – era negli affari fino al collo, viveva sempre in aeroplano fra Roma e Costantinopoli e le faceva vivere una vita troppo mondana. Donna Odilia avrebbe preferito la solitudine, non le piaceva il trambusto di Roma e detestava gli artisti. Avrebbe voluto avere dei figli, molti figli ma lui non era d’accordo. Curioso, voi dite che dipingeva? Inoltre il marito bazzicava troppi uomini politici, troppi gerarchi. Mentre lei, al tempo che la conobbi io, non so se mi spiego, eh…eh…
– Eh, eh – fecero i due poliziotti in borghese.
– Oh, niente di male, facevo per dire. Insomma Don Clemente non era l’uomo più adatto per una donna così raffinata. Ne seguì una separazione legale ma i due continuarono ad abitare sotto lo stesso tetto. Più tardi fu annullata la separazione benché gli sposi si separassero di fatto. Odilia aveva avuto un forte choc nervoso. In quel periodo credo che il dottor Pinzauti, appunto, l’abbia molto aiutata.
– Forse per riprendersela ? – chiese l’uomo del panama immergendo nella saliera alcuni baccelli sgranati.
– Speriamo di no. Non escludo che volesse salvarla da un bruto come Caponsacchi che nel frattempo si distraeva con una dattilografa, ma sarebbe stato un ricadere dalla padella alla brace.
– ’Na guagliona formidabile – commentò un questurino; e dette una voce all’altro che s’era inoltrato nella tromba delle scale.
– Vengono su – disse il secondo agente emergendo dal sottosuolo. – Vanno al concerto del Comunale. Parlavano ora davanti al manifesto.
– Dirige il maestro Büchenwald. Un concerto interessante – sussurrò colui che aveva conosciuto Mrs. Bedford.
– Degno di lei…
– Di me? – fece il giovane calvo. – Oh scusate, intendete parlare di lei, di donna Odilia. Ma dite perché creature come questa capitano sempre in mano di certi cialtroni che non sanno comprenderle? Mentre noi… io…
– Eccola – annunciò dal fondo l’uomo che aveva osato chiamarla Berta – Chi sarà l’uomo grigio che l’accompagna? Forse Don Clemente?
– Don Clemente naviga per conto suo, caro signore. Eppoi credo che la legge del sabato valesse solo per il primo marito. Buona notte a tutti: non potrei sopportare di vederla in compagnia di un altro bruto. [Eugenio Montale, Il Nuovo Corriere della Sera 2/6/1946]