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 1861  marzo 20 calendario

Cavour, dimissioni e rimpasto

Torino, Camera dei deputati, primo pomeriggio del 20 marzo 1861

 

Presidente. L’ordine del giorno chiama le interpellanze del deputato Massari al ministro dell’Interno sulle condizioni amministrative del regno di Napoli.

Di Cavour C., presidente del Consiglio. Chiedo di parlare.

Presidente. Ha facoltà di parlare.

Cavour, presidente del Consiglio. (Vivi segni di attenzione) Quando l’onorevole deputato Massari chiedeva alla Camera facoltà di rivolgere al Ministero una interpellanza sulle condizioni delle provincie napoletane, il Ministero si faceva sollecito di aderire a siffatta istanza, giacché importava al Governo che le gravi quistioni che la condizione di quelle provincie può sollevare venissero discusse in cospetto di quest’Assemblea. Un incidente, di cui si ebbe conoscenza, credo, il giorno dopo, o il posdomani dell’annunziata interpellanza (accenno alla rinunzia di un componente del Consiglio della luogotenenza di Napoli), indusse il mio collega il ministro per l’Interno a pregare l’onorevole interpellante e la Camera a voler differire l’annunziata interpellanza, e la Camera e l’interpellante annuirono a quest’istanza.

Altri eventi si compievano dopo quello accennato. L’intero Consiglio di luogotenenza di Napoli rassegnò le sue dimissioni al Principe luogotenente. Questi fatti, presi a maturo esame e dal Principe luogotenente a Napoli, e dal Ministero, portarono nell’animo del Principe e del Ministero la convinzione essere giunto il tempo di operare alcune modificazioni nella costituzione dei Consigli di luogotenenza dell’Italia meridionale, modificazioni intese a togliere a quei Consigli ogni carattere politico, a mettere in relazione diretta i membri dei Consigli, o, per dir meglio, le persone incaricate della direzione degli affari a Napoli e a Palermo, coi capi dei dicasteri a cui spetta di dirigere i vari servizi pubblici dello Stato; modificazioni però da operarsi in modo da non portare verun incaglio al disimpegno degli affari locali, e per forma che sia resa più efficace l’azione delle persone a cui l’amministrazione verrà affidata; intese poi specialmente a far sì che la responsabilità dell’amministrazione di quelle parti del regno possa essere assunta realmente, e non solo di nome, dai consiglieri della Corona. Insomma queste modificazioni avrebbero per iscopo d’ottenere che non vi sia più nello Stato che un solo Governo.

II Ministero aveva in animo di proporre alla Corona di operare questa modificazione da molto tempo. Credeva che epoca opportuna per farla fosse la riunione del Parlamento, riunione che doveva segnare il principio di una nuova èra; tuttavolta, siccome lo stato di guerra non era ancor cessato nell’Italia meridionale, siccome Gaeta cadeva alla vigilia della riunione della Camera, e Messina resisteva tuttora, il Ministero credette più prudente consiglio il differire questa riforma.

Ma lo stato di guerra potendo oramai dirsi cessato, è tempo, o signori, che le cose tornino nello stato normale, ed io credo che sia per riuscirne grande vantaggio specialmente alle provincie meridionali, giacché nelle condizioni attuali il Governo di quelle provincie, misto di uomini politici e di uomini non politici, non riunisce le condizioni necessarie (non rispetto agli uomini, che io altamente onoro e sui quali non voglio far ricadere nessuna maniera di censura), non riunisce le condizioni per poter funzionare regolarmente.

In un paese libero, o signori, non si può governare senza l’aiuto ed il concorso del Parlamento, ed io credo che non vi possano essere uomini abbastanza capaci, abbastanza autorevoli per poter reggere a lungo al governo di uno Stato libero a fronte di una stampa pienamente libera, a fronte di un popolo che può manifestare in tutti i modi le sue opinioni, se questo Governo non ha accanto a sé un Parlamento.

Quindi, non essendovi che un Parlamento, non vi deve essere che un Governo. Ma, o signori, ve lo ripeto, questa modificazione deve essere fatta in modo che gli affari locali, che gl’interessi materiali non abbiano, non solo a soffrirne, ma abbiano a ricavarne notevole beneficio.

Noi, o signori, abbiamo calcolata tutta la gravità di questa modificazione; noi abbiamo pensato che dal giorno in cui l’azione politica si concentrava intera nel Governo sedente nella capitale, dal giorno in cui solo un’azione amministrativa delegata si esercitava nella metropoli del mezzogiorno d’Italia, una modificazione dovesse pur farsi nella composizione del Ministero.

Dovendo questa modificazione segnare un’èra novella, segnare l’èra della costituzione del primo Ministero del regno d’Italia, era cosa non solo opportuna, ma altamente conveniente che in questo Ministero tutti i grandi interessi italiani fossero rappresentati.

Con questa convinzione il Ministero ha creduto suo dovere di rassegnare nelle mani del Re le sue dimissioni (Sensazione), onde la Corona fosse libera, nella costituzione di questo primo Ministero italiano, di circondarsi di tutti i lumi, ch’essa può trovare fra gli uomini i più cospicui che l’Italia possiede. Quindi debbo annunziare alla Camera (Profondo silenzio), che fino da ieri sera il Ministero, avendo rassegnate le dimissioni, non può considerarsi se non come reggente i portafogli per il disimpegno degli affari correnti.

Io debbo però aggiungere (Udite! udite!) che questa deliberazione, presa all’unanimità, non fu promossa, né motivata in modo diretto od indiretto da alcun dissenso fra i membri del Gabinetto o sopra le questioni dell’interno o dell’estero, o sulle modificazioni da introdursi nel sistema di governo delle provincie meridionali. Il Ministero è unanime anche su questa questione; ma esso ritiene che non appartiene al Gabinetto, come è composto, lo scioglierla in un modo definitivo.

Ciò essendo, parmi soverchio l’osservare all’onorevole interpellante, che non sarebbe possibile l’accettare una discussione sulle condizioni attuali del regno di Napoli. Noi non siamo in questo punto né ministri, né deputati; abbiamo opinioni molto precise, ma non sappiamo se avremmo a sostenerle in una qualità o nell’altra; epperciò il nostro dovere è di tacere, finché ciascuno di noi abbia una posizione netta e decisa.

Io quindi osservo all’onorevole Massari che, ove desideri schiarimenti, spiegazioni, nozioni sui fatti accaduti, i miei colleghi, ciascuno pel dipartimento al quale presiede, si faranno grata premura di somministrarglieli nel limite dei dati che hanno raccolti; ma, se si trattasse di sollevare una questione, il Ministero dovrebbe far appello alla cortesia ed al retto senso dell’interpellante e della Camera, onde vogliano differire la parte critica dell’interpellanza a tempo più opportuno, al momento in cui su questi banchi sederanno ministri definitivi e saranno al loro posto coloro che non respingono la responsabilità degli atti che sono trascorsi durante il loro Ministero, ma che non sono ora, ripeto, in condizione di poterli difendere con quella larghezza, che una così grave discussione richiede, ed in chi interpella ed in chi risponde.

[Atti parl. 20/3/1861]