14 marzo 1861
La Camera fa nascere l’Italia
Noi celebriamo il 17 marzo 1861, ma
quel giorno fu solo promulgata la legge che proclamava il Regno d’Italia. Il
vero dibattito – che forse dovremmo pure festeggiare - si svolse il 14 marzo,
cioè oggi. Il presidente della Camera era Urbano Rattazzi. Lesse prima l’ordine
del giorno: «L’ordine del giorno chiama la discussione sullo schema di legge
riguardante il titolo di Re d’Italia da assumersi da Vittorio Emanuele II». Era
una legge, di un solo articolo, che Cavour aveva presentato a nome del governo
il 21 febbraio e che il Senato aveva già approvato. Diceva: «Il Re Vittorio
Emanuele II assume per se e suoi successori il titolo di Re d’Italia.»
Un grido d’entusiasmo convertito in
legge
Il relatore Giorgini s’alzò subito a
parlare e avvertì che «questa legge, tanto per il suo oggetto quanto per la sua
importanza, non ha nulla di comune con quelle sulle quali noi siamo d’ordinario
chiamati a deliberare. Dal punto di vista costituzionale ella potrebbe credersi
fors’anche superflua. I titoli del re Vittorio Emanuele II alla corona d’Italia
sono scritti in dodici anni di prodezza, di fede, di costanza (…) Il diritto di
Vittorio Emanuele II al regno d’Italia emana dunque dal potere costituente
della nazione; egli vi regna in virtù di quegli stessi plebisciti ai quali si
deve la formazione del regno d’Italia (…) Il voto che il Governo ci chiede non
è dunque un atto nuovo destinato a produrre tale o tal altro effetto giuridico;
è la ripetizione, o, per dir meglio, il riassunto finale, il compendio
magnifico di tutti gli atti, mediante i quali il popolo italiano ha in tanti
modi e in tante occasioni manifestata la sua volontà; è, per dirlo colle parole
della relazione che precede il progetto di legge, un’affermazione solenne del
diritto nazionale, un grido d’entusiasmo convertito in legge.» Nelle sue
conclusioni, Giorgini aggiungeva: «Quanti sediamo sui banchi di questa Camera,
tutti abbiamo diversamente lavorato per la medesima causa; tutti abbiamo
portato la nostra pietra al grand’edifizio, sotto il quale riposeranno le
future generazioni (…) Di qui parta unanime adunque quel grido di entusiasmo!
qui finalmente l’aspettata fra le nazioni si levi, e dica: – Io sono
l’Italia!». Gli stenografi segnalano: «Applausi prolungati».
Brofferio e il popolo
Aperta la discussione, prese la
parola Brofferio («vivi segni d’attenzione»). Cominciò così: «Salute all’Italia
risorta libera ed una! Onore al popolo che ritemprandosi nell’esempio degli
antichi padri seppe ritornare sovrano! Gloria al Re che col valore in guerra,
colla fede in pace, sostenne, difese, ordinò, ed a novella vita compose
ventidue milioni di Italiani!». Dopo parecchi voli pindarici, Brofferio venne
al dunque della sua contestazione (Brofferio contestava sempre): «Duolmi
tuttavolta che questo grande atto che doveva compiersi dal popolo italiano
abbia avuto improvvido iniziamento dal Ministero». Cioè Brofferio, un
democratico di sinistra, avrebbe voluto che la legge non fosse proposta dal
governo, ma dal popol «Il primo a proclamare Vittorio Emanuele Re d’Italia, se
ne dia merito a cui tocca, il primo a proclamare Vittorio Emanuele Re d’Italia
fu, in mezzo allo strepito della vittoria e sui frantumi del borbonico trono,
il grande dittatore delle Due Sicilie. (Applausi) (…) Se una sanzione legale
fosse bastata tal era quella di Garibaldi (…)». Propose dunque, dopo molti
altri voli pindarici, che la legge fosse formulata così: «Vittorio Emmanuele II
è proclamato dal popolo italiano, per sé e i suoi successori, primo Re
d’Italia». Gli stenografi appuntaron «Sensazioni diverse».
«Sento sciolta la mia coscienza»
Parlò a questo punto l’onorevole
Pepoli, che, ignorando la proposta Brofferio, propose di votare la legge «quasi
direi per acclamazione». Seguì l’onorevole Ranieri: «Io sento sciolta la mia
coscienza da tutti i legami che la costringevano, e voto la legge per
entusiasmo». Chiese a quel punto la parola il deputato Mandoi-Albanese: «Chiedo
di parlare per motivare il mio voto». Rattazzi: «Scusi, se le concedo di
parlare finirà per interrompersi l’ordine della discussione (ai voti!)
Converrebbe che qualche deputato proponesse che si voti senz’altr se non si
fa questa proposta, io debbo concedere la parola agli oratori inscritti».
Onorevole Sanguinetti: «Io propongo che si voti la chiusura della discussione».
E a questo punto intervenne Cavour, presidente del consigli «Chiederei di
dire alcune parole appunto sull’ordine della discussione…».
Parla Cavour. Un principio
pericoloso
«Chiederei di dire alcune parole
appunto sull’ordine della discussione (Vivi segni di attenzione), augurandomi
che queste osservazioni possano avere tanta efficacia da indurre l’onorevole
oratore che esordì in questa discussione a rimandare ad occasione più opportuna
l’esame degli argomenti che ci svolse con tanta eloquenza. Non entrerò nella questione
di merito sollevata dall’onorevole deputato Brofferio, non esaminerò se la
formola da lui proposta in sostituzione di quella ch’è sottoposta alla vostra
approvazione sia migliore, se esprima più ampiamente il sentimento della
nazione in questa circostanza. Mi limiterò a rispondere a ciò che nel suo
discorso può considerarsi come questione estranea al merito della legge, e che
in nulla pregiudica le deliberazioni della Camera sopra la questione da lui
sollevata. L’onorevole deputato Brofferio avrebbe desiderato che questa legge
fosse sorta dall’iniziativa parlamentare, e, per tradurre in atto questo
desiderio, egli fa la proposta di una nuova legge. Potrei opporgli la questione
pregiudiziale, perocché non è lecito ad un deputato d’improvvisare una proposta
di legge; può bensì proporre un emendamento, anche amplissimo, sopra un disegno
di legge, ma non può negare il diritto della Corona all’iniziativa
parlamentare. Laonde, se la Camera sancisse questo principio, farebbe atto
molto pericoloso. La Camera ha stabilito col suo regolamento le norme, giusta
le quali i deputati debbono esercitare la propria iniziativa, e fra queste
norme vi è quella che la proposta debba essere presentata prima agli uffizi,
che la lettura ne venga autorizzata dalla Camera, e che quindi la proposta
venga in pubblica seduta discussa.
Parla Cavour. I meriti del Governo
«Ciò stante, io non posso
riconoscere all’onorevole deputato Brofferio la facoltà di respingere un
progetto di legge e di proporne un nuovo. Se egli vuole esercitare il diritto
di emendamento, lo può con grande larghezza; non sarà mai il Ministero che
cercherà di restringerlo in angusti limiti; ma io ritengo che la Camera non si
associerà alle censure che l’onorevole Brofferio faceva al Ministero, per aver
preso l’iniziativa in questa solenne circostanza. Signori, io mi unisco
pienamente alle eloquenti parole del relatore della Commissione, quando egli
proclama la parte che tutti gli Italiani hanno avuto nel gran dramma del nostro
risorgimento; ma mi sia pur lecito il dirlo, e proclamarlo con profonda
convinzione: negli ultimi avvenimenti l’iniziativa fu presa dal Governo del Re.
(Segni generali di approvazione) Io risponderò all’onorevole Brofferio che fu
il Governo che prese l’iniziativa della campagna di Crimea; fu il Governo del
Re che prese l’iniziativa di proclamare il diritto d’Italia nel Congresso di
Parigi (Bene! Applausi); fu il Governo del Re che prese l’iniziativa dei grandi
atti del 1859, in virtù dei quali l’Italia si è costituita. (Applausi prolungati)
Parla Cavour. La gioia
della Penisola
«Il Governo crede che nelle attuali
circostanze sia suo dovere di prendere l’iniziativa delle grandi imprese, di
informarsi al sentimento della nazione, di penetrarsi de’ suoi desiderii, de’
suoi voti, de’ suoi diritti, ed essere il primo a proclamarli al cospetto
dell’Italia, al cospetto dell’Europa. (Applausi) Questa è la politica che noi
crediamo convenire all’Italia: noi riteniamo che a questa politica è in gran
parte dovuto quanto si è già compiuto, e che a questa politica si dovrà quanto
rimane a compiersi. (Bene!) Penso quindi, o signori, che il Governo ha fatto
atto altamente savio e opportuno assumendo l’iniziativa in questa circostanza.
Ma vi ha di più. Vi era una considerazione speciale che induceva il Governo a
prendere l’iniziativa: la proclamazione del regno d’Italia sarà accolta in
tutta la penisola con grida di gioia e d’entusiasmo, e non troverà che pochi
oppositori; giacché io ho abbastanza fede nella nobiltà del cuore umano per
ritenere che anche fra coloro che appartengono a quella minoranza che in Italia
professa pensieri contrarii ve ne ha molti nel di cui cuore le fibre italiane
risuoneranno involontariamente quando sarà fatta questa proclamazione! (Bravo!
bravo!)
Parla Cavour. La diffidenza
dell’Europa
«Ma, o signori, credete voi che
questo grand’atto sarà accolto con tanto favore da tutto il resto dell’Europa?
Non sapete voi che il fatto che state per compiere è uno dei più grandi che
ricordi la storia di tutti i tempi? Credete voi che un popolo, che un gran
popolo che sorge quasi istantaneo, che sorge quando pochi anni prima si metteva
in dubbio la sua esistenza; ma che dico in dubbio? quando la si negava
recisamente dai veterani della diplomazia europea, credete voi che sia un fatto
che tutto il mondo accolga con favore ed applausi? Se aveste dubbio, o signori,
sulle mie osservazioni, le discussioni che hanno avuto luogo nelle assemblee
più illustri di Europa dovrebbero toglierlo. Laonde, o signori, importa assai
che questo voto si compia con tutta la solennità, con tutta la maturità
possibile. E per raggiungere questo scopo io ritengo che non era inopportuno
che la iniziativa ne fosse presa dal potere, che questo voto non potesse dirsi
essere il prodotto di un entusiasmo momentaneo, essere in certo modo il
risultato di uno sfogo delle passioni popolari; ma essere bensì un atto maturo,
proposto da chi è in certo modo il custode dei grandi principii governativi,
emanato ed applaudito in prima da quel Corpo che rappresenta più specialmente i
principii conservatori; e poscia proclamato e consacrato definitivamente
dall’Assemblea popolare che rappresenta fedelmente il concetto dell’entusiasmo
popolare, dello slancio patriottico. Quindi, ripeto, io sono fermamente
convinto essere stata cosa utile ed opportuna che l’iniziativa di questa legge
venisse da chi ha l’onore di rappresentare la Corona davanti a voi.
Parla Cavour. I diritti di Brofferio
«Nessuno tra voi, o signori, potrà credere che la
Corona od il Governo fossero spinti da puerile vanità a prendere questa
iniziativa. La condotta tenuta dalla Corona e dal Governo in tutti gli ultimi
avvenimenti, li pongono, ne son certo, al riparo da questa imputazione. Io
quindi, o signori, non dubito di affermare che, sia rispetto alla considerazione
della politica interna, sia rispetto alla considerazione della politica estera,
fu savio consiglio il prendere poi l’iniziativa in questo voto, e che la Camera
fuor di ragione ne farebbe rimprovero al Governo. Dimostrata l’inopportunità di
modificare la forma della legge, a motivo dell’iniziativa assunta dal potere
esecutivo, io non esaminerò la nuova formola proposta dall’onorevole Brofferio.
Io ripeto alla Camera quanto ebbi l’onore di esporre alla Commissione, cioè che
le quistioni da lui sollevate sono tutte riservate; che fra pochi giorni voi
avrete l’opportunità di discuterle in tutta la loro pienezza e, dirò di più,
avrete l’opportunità di discuterle con maggiore libertà; e con ciò io credo
fare la parte agevole al signor Brofferio, giacché egli avrà il campo più
libero, più sciolto, poiché potrà sostenere la sua proposta, senzachè, la sua
accettazione venga combattuta da coloro che sarebbero disposti a sacrificare
una redazione da loro riputata migliore al pericolo di non riunire l’unanimità
in questa circostanza. E stimo con ciò di far prova di essere avversario leale,
per non dir generoso. Egli è evidente che, se ora il Ministero si opponesse
ricisamente a tutte le proposte dell’onorevole Brofferio, forse sull’animo di
molti deputati potrebbe assai il pericolo di dividere le opinioni, quindi la
Camera non sarebbe cosi pienamente libera, come lo diverrà quando la grave
questione della promulgazione del regno d’Italia sarà sciolta definitivamente.
Io quindi mi rivolgo con fiducia all’onorevole oratore, e non solo in nome
della concordia universale, non solo per le considerazioni poste innanzi
dall’onorevole membro della Commissione, che parlava testè, ma nell’interesse
stesso della discussione gravissima da lui sollevata lo prego di volerla
rimandare al giorno in cui la legge sull’intestazione degli atti venga
presentata al Parlamento. E non tema che questo si protragga a tempo indefinito
e lontano, giacché a nome del mio onorevole collega guardasigilli posso
assicurare la Camera che nei primi giorni della ventura settimana questa legge
le sarà sottoposta.
Parla Cavour. Un voto d’entusiasmo
«Io quindi mi associo alla proposta,
o, dirò meglio, alla preghiera che il signor marchese Pepoli rivolse al signor
Brofferio perché acconsenta che un voto di entusiasmo chiuda questa
discussione, che sia la più eloquente delle risposte alle accuse ed alle
insidie dei nostri nemici al di là dall’Alpi.» (Applausi generali)
Brofferio rinuncia
Ed ecco la risposta di Brofferio «Signori,
sono avvezzo da antico a replicare alle faconde orazioni del signor Di Cavour,
né mi sarebbe difficile anche quest’oggi di ribattere una parte delle cose da
lui dette sulle iniziative del Governo. Ma una ardente lotta in questo giorno
potrebbe giudicarsi inopportuna ed improvvida (Bravo! Bene!); quindi in omaggio
alla patria concordia mi interdico spontaneamente qualunque risposta. (Vivi
applausi) Dichiaro inoltre che per assentimento della maggioranza di questa
parte della Camera io ritiro la mia proposta, con riserva di sostenere il principio
della sovranità nazionale quando il signor ministro ci porterà la legge da lui
promessa.» (Nuovi applausi)
Non si riesce a votare
All’onorevole Ranieri, che voleva
votare per acclamazione, il presidente Rattazzi spiegò che questo non era
possibile. «Metto ai voti l’articolo unico della legge». I deputati s’erano
alzati per votare (immaginiamo con un groppo alla gola), quando si levò Nino
Bixio: «Io protesto che darò le demissioni se non mi si lascia libera la
parola; tutti hanno diritto di manifestare la loro opinione». Dietro a Bixio,
protestarono pure Miceli e Ricciardi. Presidente: «Osservo all’onorevole
deputato Bixio che io ho messo ai voti la legge, perché parve che la Camera
unanime volesse passare alla votazione; se vi fosse stato qualcuno che si fosse
opposto alla chiusura, gli avrei dato la parola per esprimersi in quel senso.
Così dal punto che il deputato Bixio chiede di opporsi alla chiusura, gli do
facoltà di parlare.» Varie voci: «La chiusura! La chiusura!». Intervenne di
nuovo Cavour: «Io prego la Camera di non insistere sulla chiusura. La concordia
non deve essere apparente, deve essere nei cuori. (Bravo! Bravo!) Se non vi
fosse, sarebbe indegno del primo Parlamento italiano di volerlo fingere. Io
chieggo quindi (Con forza) che sia fatta facoltà agli oratori di liberamente
manifestare le loro opinioni. (Bravo! Bene!). Giudicherà poi l’Italia
dell’opportunità dei discorsi che si saranno pronunciati. (Applausi)».
Il discorso di Bixio
Che cosa avevano ancora da dire gli
altri deputati? L’onorevole D’Ondes-Reggio: «Io rinunzio alla parola, e chieggo
che si passi alla votazione. (Bravo! Bravissimo! Applausi!)». Ma l’onorevole
Nino Bixio pronunciò un gran discorso, sia pure interrotto di continuo da risa
e, come appuntarono gli stenografi, da «ilarità generale». Ecco il passo
saliente: «(…) Io non accuso le intenzioni, né la buona volontà del presidente
del Consiglio; ma l’aver presentato questo disegno di legge per iniziativa del
Governo, invece di aspettare l’iniziativa parlamentare, fu un errore; perché,
se l’Italia è fatta, vi saranno ancora molte difficoltà, che il Parlamento,
avendo una grande influenza, potrebbe diminuire. Il presidente del Consiglio ed
il Ministero in massa sanno meglio di me che gli Italiani, meno le antiche
provincie, hanno ereditato colla vita l’istinto di lottare contro i Governi che
la forza ci aveva imposto. (Bene! È vero!) Questa è una cosa che non si può
mettere in dubbio da nessuno (Ilarità), perché, laddiomercè, questo faceva il
pregio del carattere italiano. Ma non si potrebbe pretendere che questi tanti
milioni che sono oggi entrati a far parte della famiglia italiana dimentichino
tutto ad un tratto il loro passato. Per questo ci vorrà molto tempo ancora.
Sono pienamente convinto che nella Sicilia, come nel Napolitano, la rivoluzione
è finita. Vi possono essere alcuni pochi che vogliono levarsi a rumore; ma si
apre un manicomio e vi si cacciano dentro. (Viva ilarità) Per queste
disgraziate tradizioni il Governo avrà ancora da lottare per qualche tempo. Io
che sono stato accusato d’aver fucilato non so quante centinaia d’uomini che
non ho mai veduti (Si ride), abborrirei dal ricorrere a mezzi estremi; però chi
tentasse di rovesciare il Governo ci troverebbe sulla porta a difenderlo. Ma,
se vi fosse un mezzo d’influenza, si dovrebbe sempre adoperare di preferenza.
Questo mezzo d’influenza potrebbe trovarsi nel Parlamento, il quale, posto come
è tra il Governo ed il popolo, può fare ufficio di conciliazione. Ripeto, è
infusa, e lo sarà ancora per molto tempo, nella nostra mente, nel sangue
nostro, la persuasione che il Governo è un nemico. Sapete quello che ne segue.
Si cospira, si va in istrada colle armi, si fanno delle pazzie. Questa è una
grande disgrazia; e, per ovviarvi, il Governo dovrebbe accrescere, se è possibile,
l’influenza del Parlamento. (…) In Genova, città alla quale appartengo, si
dovea sempre tenere un forte presidio. Ora vi dichiaro esser nella mia
convinzione più profonda, che, se domani l’esercito dovesse andare, non dico
oltre Alpi, ma a Pechino, Genova non muoverebbe un dito! Perché il Governo come
oggi è, è l’espressione della volontà di tutti quanti, e la più sentita, la più
profonda. (Bene! bene!) Ma nelle altre provincie, malgrado le intelligenze, non
potete pretendere per ora le stesse condizioni. In fatti, coloro che furono
tenuti tutta la loro vita in quarantena che cosa volete che sappiano? Ci vuol
tempo e prudenza. Il Parlamento debbe esercitare la sua influenza sul paese; e
il Governo, avendogli tolto l’iniziativa in questa circostanza, ha commesso un
errore.» Concluse poi che avrebbe votato la legge «colle riserve che ho fatte».
Conclusione
«(Parecchi oratori prendono ad un tempo la parola) Molte
voci. Ai voti! ai voti! (Movimento generale d’impazienza) (Molti oratori
rinunciano alla parola). Presidente. Pongo ai voti l’articolo unico, di cui do lettura: “Il Re
Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di Re d’Italia”.
Si procederà all’appello nominale. Però, siccome molti dei signori deputati
votano per la prima volta, credo necessario avvertire che la palla bianca
deposta nell’urna bianca indica il voto favorevole, come la palla nera deposta
nella stessa urna bianca indica il voto contrario; l’urna nera poi riceve la
palla di cui il deputato non si è servito. (Segue l’appello nominale). Prima di
pubblicare il risultato della votazione, debbo notare che due deputali hanno
dichiarato di essersi sbagliati nel porre il voto nell’urna; uno ha messa la
palla nera nell’urna bianca e la palla bianca nell’urna nera, mentre voleva
votare in senso favorevole; l’altro ha deposta la palla nera nell’urna bianca e
non ha più deposta la palla nera nell’altra urna. Fatte queste premesse,
pubblico il risultato della votazione. (Profondo silenzio) Presenti e votanti:
294. Maggioranza: 148. Voti favorevoli: 292. Deposti come ho indicat 2. La
Camera quindi approva all’unanimità. (Duplice salve di applausi, e grida di:
Viva il Re d’Italia!).» [Atti parl. 14/3/1861]