varie, 12 aprile 2016
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Biografia di Gianroberto Casaleggio
JACOPO IACOBONI, LASTAMPA.IT 12/4/2016 –
Il Samurai, così lo soprannominò uno dei suoi uomini migliori. Il guru. Il visionario del web. Il folle. Il teorico di Gaia, che preconizzava (per il 2041, una data-beffa scelta perché sarebbe il centenario della sua nascita) la terza guerra mondiale tra tirannie e democrazie (quelle dotate naturalmente di democrazia web e partecipazione dal basso). Il vero maverick del Movimento cinque stelle, anche più di Grillo. Il cofondatore. La mente. L’ autore, per tutta la lunghissima fase iniziale, degli scritti del blog poi firmati da Beppe Grillo. L’uomo che scriveva le scalette dei Vday del comico genovese, dove tutto - a dispetto di quanto si crede - era previsto, ogni singolo intervento, ogni relatore. Ma anche, soprattutto, il manager milanese. L’uomo d’azienda del conflitto d’interessi tra Movimento cinque stelle e la piccola impresa da lui guidata. Il teorico dell’«uno vale uno» e al tempo stesso il teorico dell’«uno vale l’altro»: e dunque, delle espulsioni, delle follie dentro il Movimento, delle varie sbandate autoritarie nella gestione. Il politico che pensava di gestire una forza politica come un manager. Il non politico che alla fine fu travolto e scalato dalle sue stesse creature: i Di Maio e i Di Battista, il figlio stesso, Davide.
Le ultime immagini
Gianroberto Casaleggio stava male da tempo. Negli ultimi tempi era stato visto in immagini impressionanti: una trasandatezza che sarebbe stata impensabile, per un Casaleggio nel pieno della sua parabola. Aveva avuto due ischemie, e in una delle due aveva davvero rischiato grossissimo. Beppe Grillo, che fece di tutto per portarselo sul palco ancora assai debilitato nella seconda San Giovanni, quella della campagna elettorale per le europee del 2014, trovò una battuta fulminante: «L’ho riacchiappato per i capelli. Per fortuna che erano lunghi». All’indomani di quel voto - relativamente deludente per il Movimento, dove va notato che “deludente”, nel boom clamoroso di questi anni, significava aver preso solo il 21 per cento - sui suoi capelli e il suo aspetto tornò un’assemblea invereconda del gruppo parlamentare dei cinque stelle, nella quale Silvia Virgulti, la coach tv del gruppo parlamentare, arrivò a dire: «Abbiamo perso per colpa del cappellino di Casaleggio in tv» (era successo che lui fosse andato da Lucia Annunziata con la testa coperta da un berretto con visiera, per via dell’operazione subita poco tempo prima). Virgulti dopo quell’uscita fu promossa; diventò di lì a qualche tempo la fidanzata del leader rampante, il rottamatore cinque stelle Luigi Di Maio; e per Casaleggio, complice appunto la malattia, iniziò la fase finale, quella in cui con alcuni colpi di coda contro i giovani del direttorio cercava di riprendersi una creatura che era stata sua, e ormai gli veniva sfilata sotto il naso.
«Dobbiamo semplificare»
Perché Casaleggio non è mai stato un politico; è stata fino a un certo punto la sua diversità e la sua forza, e alla lunga la condanna, sua e del Movimento che praticamente ha inventato, al pari se non più di Grillo. Non è mai stato neanche un uomo capace di gestire situazioni complesse come quella che la politica presenta costantemente, assai più che un’azienda. Nelle stanze luminose della Casaleggio associati, quando un problema raggiungeva una soglia di elaborazione tale da renderlo troppo articolato, tagliava sempre corto: «C’è troppa complessità, dobbiamo semplificare». E ha pensato di applicare quel criterio alla gestione di una forza politica. L’errore madornale fu qui. «Semplificare» voleva dire fare come lui credeva fosse giusto. Era, lo raccontano tre persone che gli hanno lavorato molto vicino, e che ho avuto la possibilità di conoscere bene, totalmente allergico all’idea di imparare dai suoi errori, e meno che mai di fare autocritica. Piuttosto arrivava a segare il ramo dov’era seduto. Ad allontanare i migliori, che pure aveva selezionato, e a tenersi i peggiori, più manipolabili ma infidi. Cosa che spesso ha fatto, fino a vedersi tradito da chi gli era più vicino.
La passione per l’efficienza
Non voleva strutturare un partito ma alla fine lo ha consentito. Voleva portare a Roma le sane abitudini efficentiste ma non ci riuscirà, anzi. Odiava la tv, ma ha preso un ex-del grande fratello e acconsentirà di vedere gli eletti del Movimento ridotti a star da teatrino talk show. Diceva «i giornali sono morti», ma poi usò il Corriere per comunicare la successione dinastica, da lui al figlio. Tanto limitato e quasi incapace quanto a doti politiche e di duttilità, quanto era invece dotato di idee - a volte bizzarre, altre con l’intelligenza del visionario - una specie di grandiosa distopia della realtà: leggere l’Italia, devastata dalla politica trentennale del post Tangentopoli, come se fosse un libro fantasy: qualcosa che poteva cambiare. Anche con un demiurgo. Casaleggio sapeva tutto di quella letteratura, e dei film sci-fi. Era un grande appassionato non solo di geni del pensiero sul web (da Barabasi e Rheingold, da Gladwell a Eli Pariser), ma di Sciascia, tantissimo, e di Pasolini. Amava forse un solo politico della storia d’Italia, il comunista Enrico Berlinguer; eppure se dovessimo dire da che parte stava, è certo che politicamente, e persino per educazione e antropologia, fosse cresciuto e stesse a destra. Non tanto per il fatto che si candidò una volta alle comunali del paesino che aveva eletto a buen retiro - Settimo Vittone - in una lista civica vicina a Forza Italia, ma perché pensava che gli immigrati andassero contenuti, altrimenti ci avrebbero divorato. Credeva - lui, non Grillo, inventore dei meet up - in una società molto ordinata e verticale. Non a caso era amico di gente di polizia, e lavorò a creare il sito di Antonio Di Pietro. Amava però, anche, quelli che rompono quell’ordine, e in questo senso raccontò una volta: «I meet up dovranno essere dove sono i cittadini. Non dovranno essere solo una cosa virtuale. Sapete perché la Lega ebbe il successo che ebbe? Perché era nei bar, all’inizio c’erano quattro persone a sentire Bossi. Ve lo dico perché uno di quei quattro ero io». Il M5S nasceva sì da una distopia web, dalle teorie organicistiche della democrazia alla Rousseau, dal mito di Casaleggio per la Rivoluzione del 1789, o dall’appello alla disintermediazione (ma anche alla democrazia radicale alla David Graeber). Ma poi nasceva anche dall’aver appreso certe lezioni assai prosaiche della prima Lega del Senatur.
«Pronti a morire»
Era vegetariano perché pensava «non uccido animali così come non ucciderei uomini». Anche se era convinto che per fare un’impresa insieme bisognasse esser «dei soldati, esser pronti a morire come l’esercito degli amanti, Gorgida a Tebe». La sua infanzia era abbastanza nebulosa ma chi lo ha conosciuto bene mi ha raccontato che crebbe da solo, con un nonno poliziotto, molto autoritario, che usava punizioni durissime, tipo chiuderlo in soffitta da solo nella penombra, a ogni minima trasgressione dalle regole: era, per questo, un fissato delle regole: «Il Movimento cinque stelle è le sue regole. È un metodo. Se cediamo sulle regole il Movimento non esiste più». Eppure non seppe opporsi alla distruzione dei princìpi nel Movimento, diventato tutto meno che francescano, sui soldi. La politica lo sapeva, per questo ha operato perché i suoi eletti lo marginalizzassero. Soffriva di ansia, e il suo male se l’è allevato dentro, in maniera direi psicosomatica. All’epoca dei primi Vday - di fronte ai successi incredibili di Grillo nelle piazze - disse «non sanno neanche loro (si riferiva a Grillo e Di Pietro) che cosa ho in mente e dove stanno andando». Era convinto di saperlo soltanto lui, o intendeva dire che nessuno lo sapeva; certo non la piccola cordata che gli ha sottratto, complice il figlio Davide, così attento ai clic e ai soldi, quel Movimento che - con tutte le sue contraddizioni - lui aveva creato.
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FILIPPO CECCARELLI, REPUBBLICA.IT 12/4/2016 –
Sembrava un personaggio di fantasia, Gianroberto Casaleggio, che se n’è andato a 61 anni senza che la malattia gli abbia dato il tempo di farsi conoscere meglio, né forse il modo di farsi comprendere più di quanto probabilmente era giusto.
Così è rimasto un po’ l’uomo del mistero che pure tanto ha condizionato la fiammata non solo elettorale del MoVimento Cinquestelle, lo stratega in ombra, lo sfuggente Alter Ego di Beppe Grillo, l’enigmatica testa pensante che dagli studi milanesi della Casaleggio Associati, con l’aiuto di un nucleo di fedeli e del figlio Davide, teleguidava a bacchetta senatori e deputati del secondo raggruppamento politico italiano. Tanto votato alla teorica trasparenza, quanto dominato nella pratica da una certa quantità di segreti, alcuni immaginari nella loro risonanza quasi settaria, altri tuttavia almeno convenienti, se non decisivi ai fini del potere all’interno dell’organizzazione.
In un mondo di inesorabili semplificazioni, questa sua immagine di arcano suggeritore virava facilmente verso l’archetipo, ma un po’ anche verso lo stereotipo del guru o, se si vuole insaporire il brodo, dello stregone a cinque stelle.
C’era in questo ruolo, assegnatogli dall’esterno con qualche automatismo, come una specie di riserva, o di vendetta ai danni della politica spettacolo, per cui non era possibile che un attore come Grillo, grandissimo animale da palcoscenico, facesse e ancora più elaborasse tutto da solo. Ci doveva essere qualcuno di occulto dietro di lui, un regista, o meglio un burattinaio, "una mente freddissima", un uomo "spietato e vendicativo" come si lasciò sfuggire nel 2012 in un fuorionda un povero dissidente emiliano, Favia, poi immediatamente espulso, secondo cui "Casaleggio prende per il culo tutti perché da noi la democrazia non esiste".
Senonché, non solo in politica, più uno disdegna la notorietà e più attira attenzione. Casaleggio, oltretutto, era irregolare fin dall’aspetto, giacca cravatta e lunghi capelli da hippie, come a voler contenere in sé, per sfida estetica o intellettuale, ogni possibile contraddizione.
Veniva del resto dal mondo della tecnica e prima di tanti aveva scommesso sulle risorse anche economiche del web, alternandole a diversi spunti culturali che dal medioevo dei cavalieri arrivavano ai romanzi di fantascienza. Del tutto inclassificabile con le vecchie categorie della politica, disse una volta: "Sono orgoglioso di essere populista"; ma anche: "Siamo i pazzi della democrazia".
Per dar vita al M5S aveva scelto il 4 ottobre, ricorrenza di San Francesco, fautore di povertà e amore per la natura. Nel suo piccolo, gli piacevano moltissimo i gatti persiani. Convinto com’era che le sue idee avrebbero avuto il sopravvento, al futuro pensava tutto sommato con serenità per dedicarsi a "un piccolo bosco abbandonato" che aveva acquistato diversi anni fa nel Canavese, terra di visionari e di utopisti. Da quelle parti era nato e lì aveva cominciato a lavorare come progettista software dell’Olivetti: "In un certo senso - ha detto riferendosi un po’ a se stesso e un altro po’ al M5S - siamo figli di Adriano".
Rarissime le interviste, poche le uscite pubbliche (a Cernobbio, nel 2014), nessuna apparizione televisiva. In compenso Casaleggio si è lasciato fotografare in posa western da Antonio Scattolon sotto un poster di Tex Willer; ha scritto un libro-dialogo di successo con Grillo e Dario Fo ("Il Grillo canta sempre al tramonto", Chiarelettere); e prima di diventare quello che mai avrebbe voluto, e cioè famoso, aveva messo in rete un paio di video di apocalittica risonanza che sulla scorta di antichi condottieri e profetici pensatori, da Gengis Khan a Gioacchino da Fiore, prefiguravano la Terza Guerra Mondiale, da cui però sarebbe scaturita una sorta di età dello Spirito Santo che corrispondeva a una nuovo ordine mondiale fondato sulla tecnologia digitale e sulla rete.
Non si è mai capito se questa produzione fosse per Casaleggio un divertimento o una missione, o tutte e due le cose. Certo in "Gaia", il più noto di questi documentari tipo power point, la salvifica data coincideva con il centenario della sua nascita, 14 agosto 2054. Mentre nell’ultima opera, un testo non irresistibilmente intitolato "Veni Vidi Web", si delineava una curiosa società ideale, anti-fumo, anti-caccia, anzi vegetariana, con statue di Gandhi e corrotti posti alla gogna lungo i raccordi autostradali durante i week end. Tutto questo sarebbe stato governato dall’"interactive leader", una forma di nuovo reggitore della cosa pubblica ormai in grado di realizzare all’istante i desideri della pubblica opinione.
La ferma originalità delle sue teorie, come del resto il look scapiglione e la fama di uomo tendenzialmente tenebroso, gli crearono in verità una certa avversione, oltre a produrre un congruo numero falsi Casaleggio formato social e di imitatori da beffa radiofonica (ci cascò Dario Fo). Ai suoi vari detrattori, lungo un ampio range che andava da quanti l’accusavano di arricchirsi con il blog cinquestelle fino a chi riteneva che fosse un seguace del demonio, rispose comunque con un altro e-book cui volle porre l’esclamativo titolo "Insultatemi!".
In realtà chi ha avuto la fortuna di conoscerlo sostiene che non si trattava di un castigamatti, né di un esaltato, ma di una persona abbastanza normale, assai curiosa e vivace intellettualmente, in bilico tra impegno politico e mito tecnocratico, ispirato da Gurdijeff come da Philip Dick, da Rousseau allo gnosticismo passando per lo studio esoterico della macchina universale di Alexandre Saint Yves de Alveydra. E se di tutto questo al giorno d’oggi non si trova traccia in Di Majo, Di Battista, Fico o negli altri maggiorenti del M5S, beh, forse dipende anche dall’odierna vita politica che inesorabilmente inaridisce chi vi si abbandona con crescente entusiasmo e coinvolgimento.
E’ piuttosto il rapporto fondativo con Beppe Grillo a dire parecchio del personaggio. Casaleggio lo conobbe nel camerino di un teatro dopo uno spettacolo in cui il comico genovese, vestito con un saio da Savonarola, distruggeva a mazzate un computer.
Quel brillante operatore della comunicazione e dell’arrembante cultura Web dovette instillargli il dubbio che, fra tanti simbolici oggetti da abbattere su di un palcoscenico, accanirsi proprio su un pc era pratica da scimmione luddista. Nella tecnologia digitale c’era invece la via, la verità e la vita delle sue stesse intuizioni. Nacque così, come in una favola, un autentico sodalizio, un rapporto fatto anche di umana lealtà come nel mondo competitivo se non cannibalesco della politica ne esistono, ma soprattutto ne reggono pochissimi.
Quando Grillo, nell’autunno del 2012, tentò l’impresa di attraversare a nuoto lo Stretto di Messina, su una delle barchette che lo seguivano c’era anche Casaleggio. Arrivato a toccare terra, questi violò il suo statuto di agognata invisibilità buttandosi in acqua, festoso come nessuno l’aveva mai visto,
proclamando che nulla a questo punto era impossibile. Così piace di ricordarlo nel giorno in cui è mancato. Così d’altra parte si consumano le esperienze in un tempo in cui le parole e ancor più le immagini saturano l’immaginario fino a farlo quasi svanire.
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MARIO AJELLO, ILMESSAGGERO.IT 12/4/2016 –
Gianroberto Casaleggio è stato l’uomo che ha inventato il Grillo politico. Lo stratega. L’ideologo. L’alfa e l’omega del movimento 5 stelle. Alla prima milanese del nuovo show del suo mentore Beppe, Casaleggio non aveva più l’aspetto - un mese fa - del guru genialoide sempre a caccia di nuove idee per il suo pianeta di Gaia, cioè la nuova società italiana che avrebbe preso il posto di questa dopo una sorta di apocalisse, ma sembrava una persona malatissima e consapevole della fine. Ha trascorso gli ultimi mesi nei passaggi ereditari della sua società, che è il cuore organizzativo e finanziario del movimento di Grillo, e nel raccontare ai suoi amici e al suo figlio-erede Davide quanto gli sarebbe piaciuto vedere i primi grandi successi politici della sua creatura pentastellata: "A Roma sarà una cosa bellissima far salire sul Campidoglio la libertà, dopo che vinceremo le elezioni comunali". Uno strano mix di anarchismo ultra tecnologico e di spirito alternativo del capitalismo. Un fricchettone, con tutti i suoi riccioli alla Angelo Branduardi, e insieme un manager. Un libertario e un censore, un Richelieu in giacca, cravatta e scoppola, dolce nell’eloquio e duro nelle espulsioni dei dissidenti.
Alla storia passerà per aver fatto di un blog un partito. Per il tentativo di inventare una democrazia elettronica - "Uno vale uno" è lo slogan che ha commiato - di cui ha provato ad essere il mago e il cerbero. Non perdendo mai però quel tratto gentile - occhiali da prof, parlata con la erre alla Tremonti, buone entrature nel bel mondo milanese anche se in principio fu leghista e collaborò con Di Pietro per il sito dell’Italia dei Valori - che incuriosiva e contribuiva a dare al personaggio un aura di mistero. La politica digitale l’ha inventata lui in Italia, la compenetrazione tra business e partito invece gli preesisteva ma lui l’ha proiettata in una dimensione solidamente immaginifica. Che era la sua dimensione prediletta, da alieno molto umano, da folletto desideroso di importare quaggiù i miti delle favole e l’idea che un altro mondo sia possibile. Quando gli chiedevano "Casaleggio, lei dove vuole arrivare, al governo del Paese?", lui rispondeva: "Non faccio previsioni". Il suo viaggio verso il Pianeta di Gaia, cioè verso il mondo perfetto su questa terra, si è interrotto troppo presto.
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IL POST 12/4/2016 –
Gianroberto Casaleggio, politico ed imprenditore milanese, noto soprattutto per essere stato con Beppe Grillo il cofondatore del Movimento 5 Stelle, è morto stamattina, a 61 anni. Casaleggio era malato da tempo e nell’aprile del 2014 era stato operato per un edema cerebrale a Milano. Sul blog di Beppe Grillo un post dice: “Questa mattina è mancato Gianroberto Casaleggio, il cofondatore del MoVimento 5 Stelle. Ci stringiamo tutti attorno alla oglamiglia. Gianroberto ha lottato fino all’ultimo”.
Prima di diventare il cosiddetto “guru” del movimento – come lo chiamavano regolarmente i giornali – ispirandone le linee guida e la strategia comunicativa, Casaleggio aveva avuto diverse esperienze di lavoro come imprenditore ed esperto di Internet: aveva iniziato la sua carriera lavorando all’Olivetti e alla fine degli anni Novanta era stato nominato amministratore delegato della Webegg, un’importante società italiana di consulenza che faceva parte del gruppo Telecom Italia, specializzata nella comunicazione su Internet. Tra giugno e luglio 2004, durante un periodo di grandi cambiamenti nell’assetto societario di Telecom, il controllo di Webegg venne venduto ad un’altra società di consulenza: Casaleggio uscì da Webegg e fondò la società informatica ed editoriale Casaleggio Associati, occupandosi principalmente, anche in questo caso, di consulenza sulle strategie comunicative su Internet.
Nella nuova società portò alcuni suoi compagni di lavoro del gruppo Telecom, oltre naturalmente ai suoi contatti e alle sue relazioni. Nella Casaleggio Associati, Gianroberto era presidente e azionista al 28,5 per cento, stessa quota di suo figlio Davide. Nel 2004 si candidò alle elezioni nel comune in cui risiedeva, Settimo Vittone in provincia di Torino, con la lista civica “Per Settimo”: ottenne sei voti e la sua lista arrivò ultima. Nel 2005 Casaleggio iniziò a curare il blog di Beppe Grillo diventando anche editore di alcuni suoi libri; successivamente fu molto coinvolto nell’impegno politico di Grillo e nella fondazione del Movimento 5 Stelle.
Nel 2007 la Casaleggio Associati pubblicò su YouTube un video intitolato “Prometeus – La rivoluzione dei Media”: nel video, datato simbolicamente 6 aprile 2051, l’avatar dello scrittore statunitense Philip Dick racconta al “vecchio mondo” cosa bisogna aspettarsi dal futuro. Il messaggio, che inizia con la frase “L’uomo è Dio. È ovunque, è tutti, conosce tutto”, spiega come Internet sia in grado di cambiare la società e l’informazione, per cui «libri, articoli, immagini, si trasformarono in un unico flusso di conoscenza». L’obiettivo di Prometeus è quello di vivere in un mondo virtuale dove «l’esperienza è la nuova realtà». La Casaleggio Associati pubblicò poi un altro videomessaggio in cui una voce femminile spiegava che prima di arrivare alla «sostituzione dell’anima con un avatar», la società dovrà passare attraverso alcuni momenti difficili: si svilupperà nei prossimi anni una forte divisione tra i paesi occidentali e quelli che praticano ancora la censura, basata sulla limitazione dell’accesso a Internet.
La società di Casaleggio si occupò anche della campagna online e del blog di Antonio Di Pietro e del sito della casa editrice Chiarelettere. Dal 2006, la sua società cominciò a fare ricerche sull’e-commerce in Italia organizzando ogni anno a Milano un convegno per presentarne i risultati. Tra il 2007 e il 2008 Casaleggio accettò gratuitamente l’incarico di consigliere dell’allora ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro per lo studio delle attività che avevano a che fare con la comunicazione istituzionale. L’11 febbraio del 2013 ha pubblicato, insieme a Dario Fo e Beppe Grillo, il libro “Il Grillo canta sempre al tramonto – Dialogo sull’Italia e il MoVimento 5 Stelle”. Inoltre, nella sede della sua società, è stato allestito lo studio della webradio ufficiale del movimento, La Cosa.
Un mese fa i giornali italiani si erano occupati molto di una storia sugli indirizzi email dei parlamentari del Movimento 5 Stelle e un server esterno gestito dai suoi deputati. Secondo due articoli pubblicati dal Foglio, molti parlamentari del M5S temevano che i loro indirizzi mail fossero “sorvegliati” dai dirigenti del partito; e temevano che un server esterno gestito dai deputati fosse controllato dalla società a cui faceva capo Gianroberto Casaleggio. Di recente si era parlato molto di Casaleggio anche per via del contratto firmato dai candidati al consiglio comunale di Roma per il M5S, che li obbligava a far approvare in maniera preventiva allo staff della Casaleggio Associati qualunque atto amministrativo di una certa importanza.
Qualche giorno fa Casaleggio era intervenuto sul blog di Grillo commentando un articolo pubblicato sulla Stampa da Jacopo Iacoboni in cui si diceva che il cofondatore sarebbe stato sostituito molto presto dal figlio Davide: Iacoboni citava un parlamentare molto importante del Movimento cinque stelle che dopo una riunione con Casaleggio aveva parlato di «cinque o sei pesanti cali dell’attenzione» e della fatica di Casaleggio a «mantenere la concentrazione per un arco di tempo consecutivo neanche troppo lungo». Casaleggio aveva risposto che le sue condizioni di salute erano «note da tempo», ma che «lo sciacallo Iacoboni» le usava come pretesto «per inventare retroscena inesistenti e fuori dalla realtà sulla gestione del MoVimento 5 Stelle e schizzare veleno sui portavoce».
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CASALEGGIO RACCONTATO CON PAROLE SUE – ILFOGLIO.IT 12/4/2016 –
«2018: il mondo è diviso in due principali aree. L’Occidente, con democrazia diretta e libero accesso ad Internet. Cina, Russia e Medio Oriente con dittature orwelliane e l’accesso ad Internet sotto controllo. 2020: inizio della Terza Guerra Mondiale che dura 20 anni. Distruzione dei simboli dell’Occidente: Piazza San Pietro, Notre-Dame de Reims, Sagrada Família. Uso di armi batteriologiche, accelerazione dei cambiamenti climatici e innalzamento degli oceani di 12 metri. Fame. Fine dell’era dei combustibili fossili. Riduzione della popolazione mondiale a un miliardo di persone. 2040: l’Occidente vince, la democrazia della Rete trionfa».
(dal video Gaia: il futuro della politica, pubblicato dalla Casaleggio Associati nell’ottobre 2009)
«Alleanze con altri partiti? No, noi del Movimento 5 stelle crediamo alla monogamia. Non accettiamo neanche conviventi o amanti».
(intervista a Vanity Fair, 24 settembre 2012)
«Internet diventerà come l’aria, come profetizzò Nicholas Negroponte».
(intervista al Corriere della Sera, 23 giugno 2013)
«La Rete è politica allo stato puro».
(maggio 2010)
«In Italia le statue di Garibaldi sono state sostituite da statue di Gandhi. Nei fiumi si è tornati a fare il bagno la domenica con la famiglia. Chi è sorpreso a inquinare è condannato alla raccolta differenziata a vita nel proprio comune. Non si possono possedere complessivamente mobili e immobili per un valore superiore a cinque milioni di euro. Ogni euro in più deve andare a favore della comunità. Chi si sottrae è rieducato alla comprensione della vita in appositi centri yoga. La parola leader è diventata un insulto. Ognuno è responsabile verso sé stesso e la collettività senza deleghe o intermediazioni».
(dal libro Veni, Vidi, Web, 2015)
«Mostratemi un politico moderno che non capisce internet e vi mostrerò un perdente».
(dal discorso al Festival di Cernobbio del 2013)
«Ogni volta che deroghi ad una regola praticamente la cancelli».
(11 giugno 2015)
«Il Paese avrà nei prossimi mesi uno shock economico che potrebbe portare a disordini e rivolte. Qualcosa che non può essere dominato dalla politica».
(intervista sul blog di Beppe Grillo, 21 luglio 2013)
«Il pil deve misurare la felicità delle nazioni».
(dal libro Siamo in guerra: per una nuova politica, 2011)
«Siamo in guerra e la vinceremo. La Rete è dalla nostra parte».
(dal libro Siamo in guerra: per una nuova politica, 2011)
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CASALEGGIO, PARLA L’EX SOCIO: «NON ERA UN VISIONARIO» –
«Visionario non direi, è una parola che non spiega niente. Sicuramente Gianroberto Casaleggio aveva capito molto in anticipo la potenza della rete. Aveva una grande capacità di visione». Enrico Sassoon conosceva bene il guru del Movimento Cinque Stelle. I due si erano incontrati alla fine degli anni Novanta e nel 2004 hanno dato vita insieme alla Casaleggio Associati. Professionista, direttore della rivista di managment Harvard business review in Italia, nel 2012 Sassoon ha lasciato la società. «Da allora i nostri rapporti si sono interrotti per sempre – racconta – Ma per 15 anni io e Casaleggio siamo sempre andati d’accordo».
Come ha conosciuto Gianroberto Casaleggio?
«Mi aveva contattato lui nel 1998 proponendomi di entrare nel consiglio d’amministrazione di Webegg, cosa che poi è avvenuta. Pochi anni dopo abbiamo fondato la Casaleggio Associati».
La figura di Casaleggio resta difficilmente interpretabile. Giornali e avversari politici lo hanno spesso descritto come un personaggio misterioso, avvolto nell’ombra. Un complottismo di fondo che non ha risparmiato neppure lei.
«Certi misteri sono stati costruiti da gente con molta fantasia. È vero, anche da parte dei media c’è stato un approccio un po’ delinquenziale, sicuramente diffamatorio, che ci ha coinvolto entrambi. Un approccio che alla fine mi ha portato a prendere le distanze dalla Casaleggio Associati (Sassoon ha lasciato la società nel 2012 spiegando le sue ragioni in una lettere al Corriere della Sera, ndr)».
Teorie del complotto o solo fantasie?
«Più che fantasie vere e proprie scemenze».
Che persona era davvero Casaleggio?
«Sicuramente un uomo con una grande capacità di visione, specie per quanto riguarda la rete e la tecnologia. Per quindici anni siamo sempre andati d’accordo, senza problemi. Ma nel momento in cui ho espresso le mie riserve e il mio disaccordo, i nostri rapporti si sono chiusi definitivamente».
Umanamente che ricordo ha di lui?
«Come ognuno aveva i suoi lati positivi e negativi. Poi ripeto, i nostri rapporti si sono chiusi e in più di un’occasione ho capito che la mia uscita dalla Casaleggio Associati non era stata particolarmente apprezzata».
Diversi giornali lo hanno descritto come un visionario.
«Visionario è una parola che spiega tutto e niente. Casaleggio aveva capito molto bene, e prima degli altri, la potenza della rete e la possibilità di creare un movimento di opinione basato su questo strumento. Gianroberto aveva una visione anticipatoria. Ad esempio ricordo che mi parlava dell’evoluzione dei social network almeno due anni prima della loro effettiva esplosione».
Comunque la si pensi, bisogna rendergli il merito di aver rivoluzionato la politica italiana.
«Su questo argomento bisogna avere una certa lucidità. Non voglio dare alcun giudizio sul Movimento Cinque Stelle, ma credo che la maggior parte del suo successo non sia merito delle proposte politiche, sempre piuttosto vaghe, quanto demerito degli altri partiti. La conseguenza di un’ondata di corruzione e malcostume che ha riguardato la nostra politica. Beppe Grillo e il M5S si sono chiaramente avvantaggiati dalla pessima figura dimostrata dagli altri partiti politici».
Adesso che succederà, il figlio Davide prenderà il suo posto?
«Non ne ho idea, glielo auguro. Posso dire, però, che Casaleggio era un fenomeno unico, non sarà facilmente replicabile».
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MASSIMO RUSSO, LA STAMPA 25/11/2015 –
Il nuovo simbolo, con la scomparsa del nome di Beppe Grillo, «è un pit-stop. Noi abbiamo fatto il cambio gomme, gli altri resteranno presto senza benzina». Quel che sta accadendo con il terrorismo è il «ritorno degli imperi centrali. Abbiamo preteso di tracciare i confini con il righello e ora la storia ci presenta il conto». In Vaticano «è in corso la notte dei lunghi coltelli». Tra cinque anni si vede a «trascorrere più tempo in famiglia e a curare un bosco abbandonato». Si dice soddisfatto del sistema di scelta dei candidati alle amministrative, e alla richiesta di un pronostico risponde «miglioreremo ovunque il risultato». Il capo futuro del Movimento? Né Di Maio né Di Battista, perché «il leader del Movimento Cinque Stelle è il M5S stesso». Gianroberto Casaleggio è più Casaleggio che mai. Cita Gaber, alla domanda come sta? risponde con decisione «Bene», conferma la sua fede nella rete. Se Grillo sceglie di fare un passo indietro dalla prima linea mediatica del Movimento, lui ne fa uno avanti, confermando di essere il regista della vita della formazione politica. Se fossimo al tavolo del casinò (situazione che non gradirebbe), sarebbe il banco. Un banco che dà le carte con le lunghe pause che conosciamo, ma dirige il gioco, e vuol controllare anche la punteggiatura. Tanto che il nostro colloquio – giunto come sempre al termine di lunghe trattative e avvenuto in parte al telefono, in parte per iscritto – inizia con lui che fa le domande all’intervistatore: «Che gliene pare del nuovo logo?».
È normale che se un movimento vuole pensare al lungo periodo si affranchi dal fondatore, no?
«Sì, altrimenti si rischia di non sopravvivere. Guardi cosa è successo a Berlusconi».
Perché questa mossa adesso?
«Sarebbe potuta capitare fra tre mesi. Era nelle cose. Abbiamo fatto un pit-stop per il cambio gomme, mentre gli altri presto rimarranno senza benzina».
Come funziona operativamente il lavoro con Beppe Grillo?
«Ci sentiamo spesso e ci vediamo qualche volta durante il mese, a Milano o a Genova. Non c’è un metodo, se non quello di condividere le idee e quando necessario prendere delle decisioni».
Una volta Bruce Sterling paragonò Beppe Grillo a Garibaldi e lei a Mazzini. Poi aggiunse che il problema del M5S era di non avere un Cavour in parlamento o pronto a governare. Potrebbero essere Luigi Di Maio o Alessandro Di Battista?
«Sterling faceva riferimento a un’altra epoca storica, i suoi accostamenti possono essere interessanti, ma nel M5S non esistono né Garibaldi, né Mazzini, né tantomeno un Cavour. Il leader del M5S è il M5S stesso, non sono importanti i nomi, ma i programmi e la partecipazione. Non è una partita di tennis o di calcio in cui si vince o si perde. Come cantava Gaber Libertà è partecipazione. Il nostro obiettivo è la partecipazione diretta dei cittadini alla cosa pubblica, la democrazia diretta senza leader».
In primavera si vota in alcune città chiave, tra le quali Milano, Roma, Torino, Napoli, Bologna. Dove avete la possibilità di vincere?
«Il mio pronostico è che miglioreremo ovunque il risultato delle precedenti elezioni comunali. Cercheremo di arrivare comunque al ballottaggio e vincere. Sono già state fatte ottime scelte come Chiara Appendino a Torino, Patrizia Bedori a Milano e Massimo Bugani a Bologna. In futuro verrà votato online il candidato sindaco di Roma. Nel 2016 andranno al voto 1283 comuni grandi e piccoli, il Movimento 5 Stelle cercherà di essere presente in ogni comune con una lista».
Appendino è una scelta eccentrica rispetto ad altri vostri profili, no?
«Il Movimento non è fatto solo di persone alternative, è un mito da sfatare. Appendino ha un’estrazione che un tempo si sarebbe detta borghese, ha studiato in Bocconi, ha mostrato di sapere lavorare in azienda. Farà bene».
Pensa ancora che la Rete sia uno strumento efficace per selezionare i candidati?
«Certo, non ho mai cambiato idea. Penso alla Rete come a un’intelligenza collettiva. Oggi sono iscritte al Movimento 5 Stelle circa 130mila persone, in continua crescita. Finora ci sono stati percentualmente pochi casi di candidati, sui 1600 eletti nelle istituzioni, rivelatisi inadatti in seguito alle votazioni on line».
E per decidere le priorità dell’agenda politica?
«Vale lo stesso discorso fatto per i candidati, se possibile rafforzato. I cittadini devono scegliere priorità e metodi di intervento. Non possono essere calati dall’alto dal politico di turno».
Che fine ha fatto Rousseau, il sistema operativo digitale per la gestione del movimento?
«È in ritardo, lo so, ma in arrivo».
Dove si vede tra cinque anni? Ancora alla testa del Movimento (anche se lei preferisce definirsi garante), oppure a dedicare il suo tempo ad altro?
«I miei interessi principali sono la Rete e i cambiamenti che può portare nella realtà quotidiana. Tra cinque anni, come ora, mi occuperò di questo, anche in termini professionali come consulente per le organizzazioni. Passerò più tempo con la mia famiglia e i miei amici. Potrò anche curare un piccolo bosco abbandonato che ho comprato negli anni in Canavese».
Supponiamo le concedano un superpotere per risolvere il problema più urgente di questo Paese. Che farebbe?
«Darei agli italiani la consapevolezza di essere cittadini e di decidere in prima persona della loro vita senza delegare ad altri».
Come si affronta il terrorismo?
«Come abbiamo detto in parlamento. Più spesa per l’intelligence, no agli affari con i paesi collusi come l’Arabia Saudita, no alla possibilità per l’Isis di continuare a vendere il petrolio, con un ricavo annuo di 500 milioni».
Allargando la visuale, secondo lei cosa sta accadendo?
«È il ritorno degli imperi centrali: allora la Germania, oggi l’Europa; l’impero Ottomano, la Russia. Cambiano le alleanze ma il punto vero è che in Medio Oriente abbiamo tracciato i confini con il righello. E ora la storia ci presenta il conto».
Il tema delle migrazioni è un’emergenza globale. Come lo affronterebbe?
«Le migrazioni sono un effetto. Bisogna eliminare le cause. Quindi le guerre, la spoliazione delle materie prime e dello stesso territorio dei Paesi da cui arrivano, bloccare la vendita di armi e incentivare gli investimenti nei Paesi coinvolti. Per i migranti vanno poi accelerate le procedure di riconoscimento, che superano spesso i due anni. Ci dovrebbe essere il riconoscimento dell’asilo entro i 30 giorni dalla presentazione della domanda, con una decisione nei successivi tre giorni su chi è profugo e chi è clandestino, e inoltre bisognerebbe eliminare il regolamento di Dublino che impone al profugo di rimanere nel Paese di prima accoglienza. Ciò gli impedisce di muoversi liberamente nell’area Ue, con il risultato che la maggior parte dei migranti arriva e rimane in Italia e in Grecia».
Nel periodo peggiore della crisi economica lei affermò: «Parliamo sempre di spread e mai di valori, i soli che ci potrebbero aiutare a superarla». Forse la crisi la stiamo archiviando. E i valori?
«La crisi non è per nulla archiviata, bisognerebbe chiederlo alle persone che hanno perso il lavoro, che non riescono più a pagare il mutuo o che per curarsi devono rivolgersi alla sanità privata con costi insostenibili dopo i tagli del governo. Alcuni dati: il tasso di disoccupazione italiano è dell’11,8%, il doppio dell’area Ocse a 6,7%; le famiglie italiane hanno sempre più difficoltà con il pagamento delle spese che riguardano le utenze domestiche, i mutui e gli affitti. Si tratta di ben tre milioni di italiani, vale a dire l’11,7% della popolazione; il rapporto Censis segnala che il 41,7% delle famiglie ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria per i costi troppo salati e le liste d’attesa troppo lunghe. Questo governo ha tagliato la sanità più di qualunque altro. Solo un anno fa il fondo sanitario nazionale era a quota 112 miliardi ed era previsto per il 2016 a 115,4 miliardi di euro. Nel corso del 2015 il Fondo è stato abbassato a 109,7 miliardi di euro e la previsione per il 2016, di conseguenza, a 113,1 miliardi; nella legge di Stabilità 2016 in esame al Senato, il governo ha rincarato la dose. Altri due miliardi di tagli al Fondo sanitario nazionale, che nel 2016 scenderà quindi a 111 miliardi. Quanto ai valori, la solidarietà, la conservazione dell’ambiente, il superamento del totem del denaro e dell’arricchimento a qualunque costo purtroppo non sono presi ancora in considerazione dalla politica».
Il presidente dell’Inps Tito Boeri ha fatto di recente una proposta molto simile al vostro reddito di cittadinanza. Che ne pensa?
«Lo considero l’ennesimo depistaggio al ribasso, come quello di Michele Emiliano, il governatore della Puglia. Il M5S ha presentato una proposta di legge sul reddito di cittadinanza che nessun apparato del sistema vuole, dal governo, ai partiti, ai sindacati. Il reddito di cittadinanza ci è stato chiesto dalla Ue da molti anni, in Europa non è presente solo in Italia e in Grecia, consente una vita dignitosa a chi è privo di reddito in attesa di trovare un’occupazione. Non è, come vorrebbe la propaganda governativa, assistenzialismo, ma un aiuto temporaneo a chi è in difficoltà, e si perde se si rifiutano tre proposte di attività. La copertura di circa 15 miliardi per un assegno mensile di 780 euro in assenza di altri redditi, è stata trovata (e certificata) dal M5S con il taglio degli sprechi ed è documentata».
Uno dei pensatori che cita spesso è David Graeber, l’ispiratore del movimento Occupy Wall Street. Ora sostiene che il cancro peggiore della nostra società è la burocrazia. Concorda?
«La burocrazia in sé non è buona o cattiva. Il problema è l’eccesso di burocrazia. La burocrazia inutile va eliminata. È un esercizio difficile perchè la burocrazia si nutre di se stessa e i burocrati non vogliono perdere i loro privilegi. Si moltiplicano uno con l’altro come le amebe. Il problema fondamentale non è la burocrazia, ma la mancanza di onestà, che nel tempo ha corroso e corrotto la nostra società».
È stato ad Expo?
«No. È un’iniziativa che poteva andare bene all’inizio del secolo scorso. Oggi per accedere all’informazione c’è la Rete. E poi lo slogan “Nutrire il Pianeta” cementificando un milione di metri quadri di terreno agricolo mi sembra una contraddizione. Vogliamo dare il cemento al posto del pane a qualche decina di milioni di affamati? Consiglio a chi voglia farsi un’idea di Expo al netto della propaganda il libro di Gianni Barbacetto: Excelsior, il gran ballo dell’Expo».
Il premier Renzi dice che il ponte sullo Stretto si farà. Che ne pensa?
«Che non è una priorità e nemmeno una necessità. La Sicilia è senz’acqua e ha enormi problemi infrastrutturali. Il ponte può aspettare, anche per i suoi costi che ammonterebbero a 8,5 miliardi di euro».
Lei una volta mi disse che non guardava mai la tv, perché il concetto di palinsesto lineare era finito. Ma che se ci fosse stato Netflix ci avrebbe ripensato e forse l’avrebbe riaccesa. Ora Netflix è arrivato. Che fa?
«Guarderò Netflix come le avevo anticipato, ma è solo l’inizio. È in atto una rivoluzione che riguarda quella che abbiamo chiamato finora televisione e che più propriamente dovrebbe essere definita “main screen” che si integrerà con il cosiddetto “second screen”, quindi con un qualunque dispositivo mobile come uno smartphone, collegato a Internet, che disponga di applicazioni per interagire sia con il programma televisivo che con i social media degli utenti collegati. Finalmente è la fusione della vecchia tv con la Rete, e siamo solo all’inizio».
Che idea si è fatto dello scandalo Vatileaks?
«In Vaticano è in atto una notte dei lunghi coltelli».
Massimo Russo
***
CRISTINA GIUDICI, IL FOGLIO 14/6/2013 –
Per trovare Gianroberto Casaleggio, l’ideatore del format digitale che ha dato una parvenza di vita virtuale al Movimento cinque stelle – e che probabilmente da Milano, in questi giorni, sta decidendo chi debba sopravvivere e chi morire tra gli asteroidi della galassia grillina, secondo il classico criterio politico dell’appartenenza e dell’obbedienza – si deve fare un viaggio circolare, che alla fine riporta sempre allo stesso punto, col dubbio di avere fatto un viaggio nel vuoto. Si parte per provare a delineare una personalità all’apparenza complessa e sfuggente; si arriva, inconsapevolmente, con un pensiero circolare, sempre al punto di partenza, con un senso di vuoto. O meglio al medesimo punto interrogativo: chi è costui?
Chi è l’uomo che nel 2004 ha fondato, con un gruppo ristretto di fedelissimi, la Casaleggio Associati e nel 2005 ha creato la piattaforma del primo meetup, in cui gli attivisti grillini si sono incontrati in rete davanti all’occhio vigile – il suo – e del suo uomo marketing, Maurizio Benzi? Chi è quell’uomo smilzo e taciturno, sempre vestito male a scorno del suo idealtipo di manager impeccabile, in giacca e cravatta, che in una stanza della sua azienda ha allestito uno studio per le trasmissioni de La Cosa, Web tv del M5s? Della sua filosofia apocalittica e un po’ stramba si sa (quasi) tutto. Dagli uffici aerospaziali a forma di uovo che aveva allestito nella società Webegg, prima che venisse destituito dall’incarico di amministratore delegato per i conti in profondo rosso, fino alle profezie contenute nei video “Prometheus” o “Gaia”, in cui si parla della guerra dei due mondi, quello virtuale e quello cartaceo, del nuovo ordine mondiale e di un’umanità non più dolente, dove si avrà un account al posto del passaporto e la memoria si potrà addirittura comprare.
Una cosa di cui si sa poco, come è noto, molto meno delle sue teorie marziane, è l’entità del business di questo navigato imprenditore. Il bilancio della sua società non rivela nulla, se non un fatturato nel 2011 piuttosto esiguo, 1.399.808 euro con 57.807 euro di perdite. E infatti tutti aspettano la Casaleggio Associati al varco (dovrebbe depositare a breve il bilancio del 2012) per fare chiarezza sulle attuali attività dell’azienda. Così da scoprire se il cliente principale, e molto remunerativo, della Casaleggio sia Beppe Grillo. Sono in molti a voler sapere cosa faccia la Casaleggio Associati e chi siano i suoi clienti, visto che già ora una decina di dipendenti di Casaleggio stanno lavorando a tempo pieno a una piattaforma digitale per far incontrare parlamentari e attivisti del M5s. Chi gestirà i soldi per la comunicazione proveniente dalle entrate dei parlamentari? Sarà la Casaleggio Associati? I due leader smentiscono con veemenza e minacciano querele a chiunque insinui tale sospetto. Anche se però i responsabili per la comunicazione a Montecitorio e a Palazzo Madama li ha selezionati lui, il guru aziendale e pentastellato. Insomma, gli enigmi sono molti e non sono stati sciolti neppure da Milena Gabanelli, che è finita sulla black list solo per aver chiesto quanto guadagna Casaleggio con la pubblicità del blog di Grillo. La risposta irritata di Grillo è stata che il M5s non si finanzia con la pubblicità del blog, ma con donazioni. Anche se la domanda della giornalista di “Report” era lecita, perché è stato proprio Gianroberto Casaleggio a pronunciare un anno fa una frase, che a molti allora sembrò solo una boutade. E cioè che un euro investito nella rete ha un ritorno duplicato. Per ora sappiamo solo che i dipendenti della Casaleggio, fino al 2011 ufficialmente sette, oggi sono il doppio. O forse il triplo, visto che è stato proprio Beppe Grillo a dire durante lo Tsunami tour che Casaleggio è un bravo manager” e ha “32 fantastici ragazzi”. Una crescita dei dipendenti a doppio servizio quindi, che fa ipotizzare una crescita del volume d’affari anche della società.
L’altra cosa di cui si sa poco, in fondo il vero enigma, è chi sia davvero quest’uomo, come sia nella sua vita quotidiana, calato nella realtà. Chi è quell’uomo dalla capigliatura folta e riccioluta, fuori da ogni moda da un paio di decenni, che evoca un po’ Angelo Branduardi e un po’ John Lennon, che ha applicato una strategia aziendale a un movimento politico? Ma che per sfuggire alle domande incalzanti dei giornalisti – è accaduto dopo un incontro a Torino con alcuni imprenditori, due mesi fa, ai quali aveva spiegato le idee microeconomiche del M5s – è scappato via correndo attraverso un prato, con uno sguardo spaventato come un cerbiatto in fuga?
Che lo si attenda in via Morone 6, nel salotto milanese a dieci passi dalla casa di Alessandro Manzoni e a duecentocinquanta dal Teatro alla Scala (nei viaggi circolari si fanno cose strane, tipo contare i propri passi per ingannare l’attesa), o che lo si aspetti davanti alla sua anonima residenza milanese, in zona Fiera; o ancora nei pressi della sua graziosa villetta sulle colline canavesi, a Settimo Vittone, la prospettiva non cambia mai. Innanzitutto Gianroberto Casaleggio, 59 anni, non è mai dove ci si aspetti che sia. Manco fosse il fantasma dell’Opera. O è appena andato via, o sta per arrivare. O qualcuno lo ha appena visto, ma non sa ricordare dove, e soprattutto a che ora, o qualcun altro lo ha appena individuato, ma non ne è tanto sicuro. Così non rimane che seguire le sue tracce, per cercare di ricostruire la vita quotidiana dell’“uomo che non sapeva ridere mai”, come lo definiscono vicini di casa e conoscenti. Conoscenti, perché se qualcuno osa definirsi amico, poi se ne pente subito. Quasi impaurito di tanto azzardo. “No, ecco, amico proprio no. L’amicizia, be’ l’amicizia è un’altra cosa”, spiega per esempio Enrico Groccia, di mestiere elettricista, assessore comunale a Settimo Vittone e figlio di Vito Groccia, con cui il guru del migliore dei mondi possibili, quello impalpabile della rete, condivise una breve esperienza politica nel 2004: si candidò come consigliere comunale con una lista civica ispirata a Forza Italia, “Per Settimo” e prese ben sei (6) voti. Lui, che vive nella frazione di Settimo Vittone, Caney Superiore, dove Casaleggio ha la propria residenza, lo vede ogni tanto, quando torna nella sua sobria villetta a tre piani con piccolo bosco annesso, per passeggiare, riposare, meditare “e magari ha bisogno che faccia qualche lavoretto in casa”, spiega l’elettricista Groccia. Oppure si incontrano per un caffè “ma non mi chieda di cosa parliamo, perché non dirò nulla per rispetto della sua privacy”, aggiunge l’assessore Groccia, alimentando l’aura misteriosa, la sacra privacy, che circonda la figura di Casaleggio. Anche se forse, chissà, non ha niente da raccontare per un semplice motivo: lui non parla (quasi) mai. E infatti il barista che gli ha servito un cappuccino, un sabato mattina in cui Casaleggio avrebbe dovuto essere su, nei suoi boschi, e invece era a Milano, nella via multietnica in cui vive con la famiglia, ha avuto un sussulto, quando ha sentito la sua voce dal timbro baritonale. Dopo venti minuti in cui lui, sua moglie Sabina e il loro bimbo di 7 anni sorseggiavano senza fretta un cappuccino, il guru pentastellato ha pronunciato un monosillabo: “No”. Suo figlio aveva cominciato ad arrotolare le tende per giocare. Al paterno divieto, si è seduto ed è rimasto immobile. Immobile, come il padre, che il giorno prima, o una settimana prima, nessuno ricorda esattamente quando, era stato venti minuti in piedi, all’angolo, di fronte a casa, prima di decidere di attraversare la strada. “Scrutava qualcosa, non so cosa”, racconta un vicino, con l’aria di uno che sta rivelando un segreto inconfessabile. “A un certo punto mi sono preoccupato. Ho pensato che non stesse bene, poi ha mosso la testa e ho pensato: meno male, respira”. Chissà se “l’uomo che non parla mai”, a meno che si trovi a suo agio, come pare, all’interno del suo cerchio magico, fra i suoi fedelissimi collaboratori, e che invece pubblicamente si esprime con video-messaggi aziendali, sa di essere l’inconsapevole protagonista di un’opera buffa. O immagina di essere descritto da tutti, proprio tutti, nello stesso modo: “Parla poco, non ti guarda mai negli occhi e poi, improvvisamente, interrompe il discorso, ti volta le spalle e se ne va”, ricorda Mauro Cioni, ex project manager di Casaleggio alla Webegg. Uno dei suoi tanto citati e studiati comandamenti aziendali è sempre stato quello di “creare un team”, dove lui fosse primus inter pares. Una testa, un voto, tanto per usare il lessico familiare grillino. “E ti incoraggiava a scrivergli una e-mail se avevi bisogno di parlargli. Peccato che poi non rispondesse mai”, ricorda un altro collaboratore. Nessuno invece è riuscito ancora a dimenticare le e-mail a rima baciata che inviava Sabina Del Monego, oggi sua moglie, che all’alba del terzo millennio lavorava nell’ufficio per la comunicazione interna della Webegg e aveva la passione per le poesie. E poi è riuscita a scrivere qualche favola per bambini. Avvenente, estroversa, la descrivono tutti come una persona molto gioviale. Quella che riempie i puntini di sospensione nei discorsi che lui non riesce a concludere con gli estranei. Sabina, 48 anni, si descrive così in una breve bio, pubblicata in una raccolta di favole in cui c’era anche la sua, “Il sogno del papavero” (in cui si narra della danza in un campo fra un papavero e un fiordaliso azzurro): “Nata a Milano nel 1965, di origini venete. Da programmatore software in ambiente Vax/VMS Digital a redattore di procedure per il Sistema Qualità ISO 9001 e quindi, con l’avvento di Internet, a web-content-factotum. Vale a dire: fare un po’ di tutto per quanto riguarda i contenuti del Web. Ultima formazione seguita con passione: master Web Content Manager all’Ateneo Multimediale di Milano. Scrive favole per bambini (e non) e dipinge, rintanata nei boschi all’imbocco della Valle d’Aosta”. Non proprio il risvolto di copertina di una sognante letterata. E senza dire, ovviamente, che quei boschi si trovano a Settimo Vittone, finché i giornalisti non lo hanno scoperto e a un incontro con gli imprenditori Gianroberto Casaleggio, l’uomo che camminava rasente ai muri pur di difendere la sua privacy, ha sbottato, contrariato: “Ormai sapete tutti dove vivo”.
Peccato però che quando si arriva dove vive, o meglio dove ha la residenza, ci siano solo due contadini che raccolgono il fieno. E, alla domanda se il numero civico sia quello giusto, alzano le spalle e rispondono: “E chi lo sa”. Allora, constatato che fuori dai cancelli c’è un cartello stradale in cui si vieta di far rumore, perché è ovvio che a Caney Superiore, sulla stretta via provinciale che porta su verso la montagna, davanti alla casa di Casaleggio, diversamente organizzerebbero dei rave party, si torna allo stesso punto di prima. A cercare le tracce del suo passaggio, giù in paese, a Settimo Vittone. Il sindaco, l’architetto Sabrina Noro, ci tiene a dire che quando c’è stato il maltempo, con esondazione di fiumi e torrenti, si aspettava almeno una sua chiamata, che non è mai arrivata. “Come se non facesse parte della nostra comunità”, osserva piccata. E’ una ragazza appassionata di agonismo podistico, e si lamenta perché Casaleggio ha impedito a un gruppo di giovani di fare la Marcialonga, poiché in una parte del tracciato il sentiero passava per la sua proprietà. Nel piccolo mondo antico del Casaleggio boschivo, i problemi sono i sentieri e le mulattiere che passano vicino alla sua casa. Così anche la signora Eralda, proprietaria della trattoria Serena, nella frazione di Torre Daniele, dove Casaleggio ha pranzato una volta con una coppia di conoscenti, è dispiaciuta perché voleva tornare nel bosco in cui andava da giovane con sua madre, ma appena ha messo piede sulla mulattiera, lui è sbucato da non si sa dove per dirle che di lì non poteva passare nessuno, perché era proprietà privata e lei, a malincuore, ha dovuto fare dietrofront. Liberi, si cammina solo nel Web. E siccome successivamente ha rivelato il piatto che lui aveva consumato a Pasquetta, “riso e formaggio”, alla sua trattoria non è più tornato.
Anche se poi nel viaggio circolare si scopre che lui in trattoria non ci va mai. Nella sua casa milanese, ordina la pizza a domicilio dal ristoratore egiziano. Nella sede della Casaleggio Associati, nel quadrilatero degli affari, ordina insalata e formaggio per lui e per il suo team dal bar Piccolo, che poi consuma con i suoi collaboratori nella cucina aziendale. Uscire, mai. E a Settimo Vittone, a parte qualche sporadica uscita, abolita ora che teme di essere inseguito dai giornalisti, la spesa la fa Sabina, al Conad. Vegetariano, il menù di Casaleggio è quasi un paradigma del suo modo di vivere, minimalista e tristanzuolo, come le sue poche frasi pronunciate, che nessuno riesce a ricordare.
“Insalata, sì insalata” mi pare, dice un imprenditore che recentemente lo ha incontrato. “Qualche volta persino la frutta”, si sbilancia un’altra ristoratrice del Piccolo bar, in via Morone dove ci sono le foto dei personaggi famosi passati di lì, da Piero Chiambretti al direttore del Corrierone, Ferruccio De Bortoli. “Per me ha il braccino corto”, osserva il proprietario di un altro bar di via Morone. “Ai suoi ragazzi dava tre euro per ogni pranzo e qui ha smesso di fare ordinazioni quando abbiamo aumentato il prezzo delle insalate”. E chissà se è vero, o se lo dice solo perché ha perso un illustre cliente.
Allora si ritorna di nuovo su, verso i boschi, per vedere se è tornato a casa. “Se ha parcheggiato la sua Volvo rossa di fronte alla casa, c’è, altrimenti no”, spiegano i vicini che, interpellati, non ricordano di aver mai parlato con lui. O meglio non ricordano che lui li abbia mai salutati. Per il suo ex compagno di lista civica, Angelo Canale Clapetto, sindaco per trent’anni a Quincinetto, comune limitrofo di Settimo Vittone, “è una persona gradevole, sa molte cose, anche se pare diffidente, schivo. Una volta mi ha invitato a bere un caffè a casa sua”. Apperò. “La casa? Sobria, moderna, elegante. Di cosa abbiamo parlato? Del più e del meno”. Del più e del meno. Rispondono tutti così. Indipendentemente dalla simpatia o dall’antipatia che provano verso questo personaggio misterioso, il cui obiettivo, oltre al marketing virale e alla gestione piramidale del M5s, è nascondersi agli occhi del mondo. E infatti la sua massima disponibilità verso la comunità canavese, che in teoria poteva votarlo, nel 2004, quando si candidò per entrare in consiglio comunale, fu “di sedersi al bar a leggere i giornali. E rimanerci per qualche ora”. Come osserva, divertita, la proprietaria dell’unico chiosco di giornali di Settimo Vittone, dove lui ha smesso di andare dopo che suo figlio ha confessato a un giornalista che ebbene sì, Casaleggio veniva qui a comprare il Corriere della Sera. Roba forte, insomma. Lei, socievole, loquace, ricorda tutte le volte in cui per anni è riuscita a intavolare un discorso con lui e altri clienti, cercando di fare un po’ di salotto. “Per capire cosa pensava, si doveva procedere per esclusioni. Perciò ho capito cosa non è, solo il giorno in cui è entrato un leghista e lui ha manifestato contrarietà alle sue idee, ma giuro che non ho mai capito cosa pensi davvero”. Ci prova, a capirlo: “Lui pronunciava frasi sul tempo, sui sentieri più belli da percorrere, sull’Italia che andava verso lo sfascio, ma non entrava mai nello specifico. Così sono arrivata alla conclusione che forse non ascoltava mai ciò che dicevamo. O forse noi parlavamo, sperando di intercettare i suoi pensieri, e invece era lui a intercettare i nostri. Insomma stava sempre sulle nubi”, osserva l’edicolante, come se il suo passaggio avesse anticipato un addensamento atmosferico, mai un raggio di sole. “A proposito come sono i bambini milanesi?, chiede. “Disciplinati? Obbedienti?”. “Be’, veramente…”. “No, le faccio questa domanda perché il suo bimbo entrava e chiedeva magari due bustine dei Gormiti, ma non faceva mai un capriccio, mai una richiesta di troppo. Insomma sembrava quasi un adulto”.
Obbediente, riservato, come Davide, il figlio maggiore, socio della Casaleggio Associati, che vive a Ivrea con la sua fidanzata Paola, ragazza atletica che punta a entrare nel Guinness dei primati percorrendo in bicicletta 30 mila chilometri intorno al mondo in 145 giorni. L’unica della famiglia, pare, a non avere paura del mondo, visto che ha addirittura un sito web attraverso il quale si potrà seguire il suo giro intorno al globo, dal prossimo ottobre. A differenza del riservato Davide che ha sì un profilo Facebook, con una foto in copertina di un faro e un mare agitato, ma che è invece riservato ai suoi soli amici. E a comunicare, pare, anche con la madre inglese, che Casaleggio ha sposato a vent’anni, dopo averla conosciuta all’Olivetti: Elisabeth Clare Birks, che ha un profilo su Twitter, ma criptato, e una cerchia molto esclusiva di follower: 35.
L’ossessione per la privacy di Casaleggio è tale che, all’inizio, quando cominciò a gestire il movimento di Grillo, girava una sua biografia in rete in cui suo figlio maggiore era segnalato come un fratello, e lui non fece nulla per smentirlo. Ora, dei video “Gaia” e “Prometheus”, dove si ricorre addirittura al terzo occhio per sostenere le tesi fantascientifiche di Casaleggio, si è detto e ribadito. Delle sue letture anche, dai romanzi di Philip K. Dick a tutto ciò che è stato scritto su Gengis Khan, l’imperatore mongolo di cui è devoto ammiratore, fino al manuale di marketing aziendale “Prosperare sul caos” di Tom Peters. Ciò che invece non si sa, invece, è se nel suo ufficio abbia appeso tutti gli articoli che parlano di lui, come pure dice qualcuno. Magari solo per invidia. Si sa che lui teorizza la trasparenza e l’uguaglianza, ma è molto assertivo, addirittura incapace di prendere in considerazione un’idea diversa dalla sua. “Il suo motto? Un dubbio, nessun dubbio”, come spiegano quelli che sono stati accompagnati alla porta girevole per uscire dal M5s.
Esistono due foto, però, in cui Gianroberto Casaleggio sorride. Una, mani sulla spalle di Christian, il giovane barista di via Morone, appesa sui muri del Piccolo bar. Christian adora Casaleggio, sebbene non sappia spiegare bene perché. E ci tiene a sottolineare che la foto l’ha voluta fare proprio lui, Gianroberto, per far capire che è meno cupo e ombroso di quanto si percepisca o si immagini. E poi c’è un’altra immagine di diversi anni fa, scattata ai tempi delle convention aziendali della Webegg, nel 2001. Quando si facevano le feste con i comici, alle quali hanno partecipato anche Enrico Bertolino e Luciana Littizzetto, e c’era persino una squadra di calcio aziendale. Insomma, in questa foto lui ha gli occhi socchiusi e tiene il palmo della sua mano teso sulla testa calva dello psicologo aziendale che veniva usato come filtro per le assunzioni. Tipo “la Forza sia con te!”. Certo, potrebbe essere l’istantanea di un momento goliardico, e persino autoironico, del guru pentastellato. Se non fosse per l’espressione sconcertata e gli occhi sbarrati del suo adepto che viene tenuto a battesimo. E così si torna di nuovo sotto casa sua, per chiudere il cerchio, dove sua moglie porta suo figlio a scuola ogni mattina in bicicletta o in taxi, e sta meditando col marito di cambiare casa per non essere più inseguita dai giornalisti. Qui non si parla di Grillo o della democrazia digitale, non ci si interroga sulla casta o sui modi di redimerla, ma ci si pone un unico dilemma: “Era lui o non era lui che stamattina è sceso in cortile per buttare via la spazzatura?”.
***
GIANNI BARBACETTO E PETER GOMEZ, IL FATTO QUOTIDIANO 20/4/2014 –
Gianroberto Casaleggio è dimagrito e porta un cappellino giallo che nasconde i segni di un’operazione alla testa. Lo incontriamo mercoledì 16 aprile. Matteo Renzi non ha ancora illustrato il suo piano per aumentare gli stipendi. Ma è chiaro da un pezzo che sta facendo proprie molte parole d’ordine anticasta del Movimento 5 stelle.
Casaleggio, non teme che vi porti via tanti elettori che provenivano dal centrosinistra?
Noi abbiamo dimostrato di essere coerenti. Uno può magari non essere d’accordo con le nostre posizioni, ma quello che abbiamo detto è quello che abbiamo fatto, a partire dalla rinuncia ai 42 milioni di euro di finanziamento pubblico. Dunque non abbiamo alcuna paura di Renzi. Semmai dovrebbe averne paura Berlusconi, visto che Renzi è un suo clone. Può darsi che prenda molti voti che erano di Berlusconi, non del Movimento 5 stelle.
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Non pensa che i vostri toni facciano paura a molti elettori?
Se tu sei in una stanza dove tutti gridano, e gridano tutti una cosa diversa, che di solito è una menzogna, o tu alzi il tuo volume, o nessuno ti sente. Il nostro alzare i toni è spesso una necessità per farci sentire.
Voi dite di battervi per la democrazia. Ma come funziona la vostra democrazia interna? Tanti vostri parlamentari sono stati espulsi con procedure senza regole certe.
Capisco la domanda, non la rifiuto. Ma il passaggio dalla democrazia rappresentativa alla democrazia diretta è un passaggio culturale che richiede un’adesione. Se uno è abituato a un’altra visione della democrazia, può sembrare strano il nostro modo di fare. Ma la nostra posizione è molto semplice: noi abbiamo poche regole; queste regole non sono imposte a nessuno, se uno vuole le accetta e se le accetta entra nel movimento avendo come obiettivo quello di farne parte in termini attivi, non di firmare una tessera. Se uno entra nel movimento sottoscrive dei patti, anche con gli elettori, li devi mantenere. Ricordiamo che c’è qualcosa di simile anche in altre democrazie occidentali. Anzi, negli Stati Uniti per esempio c’è il “recall”, che è molto più duro che le regole del Movimento 5 stelle: il governatore della California prima di Schwarzenegger è stato mandato a casa dagli elettori, prima della fine del suo mandato. È stata una manovra antidemocratica? No, c’è stata una raccolta di firme, si è tenuto un referendum, il governatore non aveva mantenuto il patto con i suoi elettori e i suoi elettori lo hanno mandato a casa. Nessuno, dopo essere stato eletto, può pensare di entrare dentro un recinto privilegiato, dentro un’area protetta. Per questo adesso, con le elezioni europee, abbiamo anche noi introdotto esplicitamente la regola del “recall”: se un eletto viene sfiduciato da almeno 500 iscritti del suo territorio, comincia la procedura per l’espulsione.
Nel caso delle ultime espulsioni quella regola scritta però non c’era ancora. Sul blog oltretutto gli iscritti hanno votato in blocco su tutti e quattro gli eletti senza possibilità di separare le posizioni. È avvenuto tutto velocissimamente con pochissima informazione.
State dando un’importanza eccessiva a queste persone. Questi sono dei portavoce di un programma, che sono stati mandati lì dai cittadini. Punto. Non sono Charles De Gaulle. Sono persone che rappresentano un movimento. Quando non lo rappresentano più, lo decide il movimento. In questo caso ci sono stati più volte richiami diretti. È come se io ti voto, e poi ti incontro la sera al caffè: ti chiedo conto di quello che fai. Le persone del Movimento che vedono che tu hai detto A e poi hai fatto B, non sono l’elettore comune, sono come il condomino vicino di casa che pretende che il suo rappresentante faccia quello per cui è stato eletto.
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In ogni caso il voto è stato su tutti e quattro…
Erano imputati tutti dello stesso tipo di comportamento…
Tutti imputati, non vuol dire tutti colpevoli…
Imputati di un comportamento continuativo contro il movimento, facendo dichiarazioni ai giornali ogni volta che c’era una qualunque attività fatta dal movimento. E questo per sette, otto mesi consecutivi. Se tu prendi un impegno con me e non lo rispetti, io non ti voglio più vedere. Finito. Non è un discorso politico. In quello noi abbiamo delle regole: se all’interno dei gruppi ci sono posizioni diverse, si decide a maggioranza e quella decisa è la posizione del gruppo. Ma se mentre il gruppo sta discutendo, chi è in minoranza esce e dichiara ai giornali: qui non c’è democrazia e io voto come mi pare, allora così non va.
Non siete i primi a ricorrere al centralismo democratico…
Noi vogliamo il vincolo di mandato. E ora metteremo sanzioni anche economiche. Chi è eletto dentro il movimento deve rispondere all’elettore. Punto e basta.
Se i risultati sono le ripetute espulsioni, non è che forse dovete perfezionare il metodo di selezione dei vostri rappresentanti?
Stiamo facendo sperimentazione. Non c’è la democrazia diretta. Siamo i primi in Europa a perseguirla e non abbiamo esempi. Però se guardo i risultati, io sono molto soddisfatto. Perché i ragazzi che sono andati in Parlamento, anzi, che sono stati mandati in Parlamento dalla base del Movimento, io li ho incontrati per la prima volta, insieme a Beppe Grillo , all’inizio di marzo del 2013 a Roma. Su 163, io ne conoscevo sì e no sette. Non conoscevo nessuno. È stato un salto nel buio. La scelta era stata fatta dal Movimento sul territorio.
Perché non rendete pubblici anche i voti ottenuti da chi non risulta eletto (ad esempio alle ultime primarie online)?
Non c’è problema a rendere pubblici anche gli altri risultati.
Cosa farete a Strasburgo?
Quello che succede giorno per giorno nel Parlamento europeo, che può avere anche una grande importanza per la vostra vita quotidiana, non viene comunicato. Noi lo faremo.
È vero quindi che Claudio Messora, il vostro responsabile della comunicazione, sarà trasferito da Roma a Strasburgo?
È una possibilità.
La campagna elettorale sarà giocata contro l’euro?
Noi non abbiamo impostato la campagna elettorale sull’uscita dall’euro. Ma per rimanere dentro l’Europa (e intendiamo l’Europa economica, perché quella politica non c’è, è scomparsa) noi pretendiamo di avere delle garanzie e di poter far sentire la nostra voce come Stato italiano. Noi vogliamo uscire solo se non avremo garanzie e la nostra voce non sarà ascoltata. Ma non diciamo: l’euro è sbagliato. Diciamo: l’applicazione del sistema euro non sempre è gestibile. Il fiscal compact, per esempio. Ormai è chiaro che in Italia il Pil non aumenterà, l’altra variabile su cui intervenire è il debito pubblico. A farlo diminuire ci hanno provato tutti: ci ha provato Tremonti, Monti, Letta, ci sta provando Renzi, ma ormai è normale che ogni anno noi ci portiamo a casa centinaia di miliardi di debito pubblico in più. Con la speranza che non aumenti lo spread, sennò le cose peggiorano ulteriormente. L’euro è un problema, non in sé, ma come viene gestito.
Chi se la prende con l’euro dice che la crisi italiana non dipende da corruzione, burocrazia, sprechi, evasione fiscale…
L’euro e l’Europa non devono essere un alibi. Noi abbiamo oggi 800 miliardi di spesa. Di questi, 100 sono tasse sul debito. Degli altri 700, possiamo tagliarne 200. Io discuterò con l’Europa sulla gestione, ma non per questo sono esonerato dal fare pulizia a casa mia.
Dove e con chi vi siederete nel Parlamento europeo? Non avete paura di trovarvi in cattive compagnie, tra euroscettici che magari sono anche nazisti?
No, tranquilli, insieme con quelli non ci staremo. Invece potrebbero arrivare nuove piccole formazioni vicine alle nostre idee. Non Tsipras, che è ideologicamente connotato, mentre noi non lo siamo. Ma questo lo vedremo solo dopo le elezioni. Per fare un gruppo parlamentare a Strasburgo ci vogliono sette gruppi di sette Paesi diversi: se riusciremo a trovare altre sei raggruppamenti vicini alle nostre idee, formeremo un nuovo gruppo. Lo metteremo ai voti sulla rete.
Sopra quale percentuale di voti riterrete di aver avuto un successo?
Vogliamo vincere. È chiaro che è difficile, ma il nostro obiettivo è diventare il primo partito italiano.
Vi siete dichiarati populisti. E populisti in Italia lo sono stati i fascisti, e Berlusconi.
La parola “populismo” è stata usata dai nostri detrattori politici per colpirci. Ma noi abbiamo sempre detto: se populismo è rinunciare a 42 milioni di euro, mantenere le promesse, combattere la corruzione della politica, allora siamo populisti.
Però la rete aspetta ancora la piattaforma per far esprimere i cittadini su ogni questione.
Liquid feedback non funziona, ha segnato la fine del partito dei Pirati in Germania. Noi abbiamo lavorato a diverse applicazioni. La più nota è quella per le Quirinarie. L’ultima l’abbiamo chiamata Lex e consente alle persone che sono iscritte al movimento di dibattere una proposta di legge, di modificarla e di arricchirla. Mai vista una legge nata da sei, sette, otto mila interventi.
C’è il problema della sicurezza e del controllo delle elezioni in rete. Solo le Quirinarie sono state certificate.
È vero. Ma non esistono livelli di sicurezza assoluti, noi stiamo cercando di fare il possibile per avere il massimo livello di sicurezza. Stiamo cercando società esterne in grado di verificare ex post, a campione, se i risultati raggiunti sono corretti. Ma nel mondo ce ne sono pochissime.
Di che cosa va più fiero nel lavoro fatto dal movimento in Parlamento?
Prima di tutto aver arrestato lo scempio della Costituzione, bloccando la modifica dell’articolo 138. Poi di aver fatto opposizione, in modo anche molto duro, alla legge Imu-Bankitalia. La terza è più generale, cioè l’aver fatto capire a chi ha seguito il Movimento in questi mesi che dall’altra parte non c’è una situazione dialettica tra partiti, ma un sistema che si autoprotegge e che quindi non è catalogabile nell’ambito della democrazia, cioè in sostanza che Pd e Pdl sono ormai la stessa cosa, non si sa più chi fa opposizione e chi è al governo. Poi ci sono state moltissime cose fatte dai ragazzi soprattutto per la piccola e media impresa. A partire dal fondo che abbiamo costituito con i soldi a cui i nostri parlamentari hanno rinunciato.
Non vi manca una strategia politica parlamentare? Renzi per esempio vi aveva detto che se aveste fatto con lui le riforme, il Pd avrebbe rinunciato da subito ai finanziamenti elettorali… Non era un’occasione per provare a giocare la partita e metterlo in difficoltà?
Non reputo Renzi un grande giocatore di calcio. E bisogna smetterla di parlare di politica come se ogni volta si dovesse prima fare un ripasso veloce del Principe di Nicolò Machiavelli per non farselo mettere in quel posto. Noi abbiamo sempre detto che le buone proposte, se venivano fatte da qualcun altro, le avremmo votate. E lo abbiamo fatto, per esempio quando Giachetti del Pd ha proposto di tornare al Mattarellum. Abbiamo votato la sua mozione, mentre invece tutti i parlamentari del Pd ritiravano il loro sostegno.
Adesso però c’è l’Italicum…
Avete notato che non ne parlano più? Per ammissione dell’ex ministro Mauro, era stato pensato per lasciarci fuori. Ora che il M5s potrebbe andare al ballottaggio, lo hanno dimenticato. Fare una legge per escludere un terzo degli elettori è una cosa gravissima.
In Parlamento appoggiate la proposta di Vannino Chiti sulla riforma del Senato e rischiate di mettere in crisi il Pd.
È buona. Anche perché, partendo dalla democrazia diretta, il Senato può essere solo elettivo. Dunque la proposta Chiti, magari con un paio di emendamenti migliorativi, noi sicuramente la votiamo.
Lei e Grillo avete firmato l’appello dei cosiddetti professori in difesa della Costituzione. Ma appena la professoressa Carlassare ha parlato di autoritarismo dentro il vostro movimento, sul vostro blog è apparso un mini post che le diceva, testualmente, “vaffanculo”. E non è l’unico caso. Possibile che alle critiche di chi pure non vi è pregiudizialmente contrario, voi rispondiate così?
Ci ha mandato affanculo prima lei. Comunque la risposta è questa: abbiamo un cattivo carattere.
Grillo parla di dossier in preparazione contro di voi.
Una cosa che mi ha pesato moltissimo è aver perso l’invisibilità, non perché volessi diventare l’uomo invisibile, ma perché non mi interessa la popolarità. I soldi mi interessano solo per quello che mi serve per vivere e non mi interessano nemmeno le cariche politiche. Le cose che faccio le faccio perché mi piace farla, ma il mio percorso non è guidato, mi ci sono ritrovato. E adesso mi trovo seguito in autostrada. Succede che quando guidi con tua moglie c’è uno dietro che ti segue con un camioncino per farti le foto. È successo lo scorso anno. È successo che seguissero mia moglie e che facessero le foto a lei e al bambino mentre vanno a scuola, e questo è avvenuto quest’anno. È accaduto che intimidissero mia moglie e facessero le foto del campanello di casa.
È sicuro che siano dossier e non inchieste giornalistiche? Se prende il 25 per cento dei voti e diventa un personaggio pubblico, è ovvio che la stampa si occupi di lei.
Guardi, io su questo non ho niente da dire. Il problema è quando tu trasformi le informazioni in diffamazioni. Ho pubblicato un libro che ho intitolato “Insultatemi”. Ho risposto a buona parte delle cose peggiori che sono state scritte su di me. C’è addirittura chi mi ha accusato di demonologia. Siamo all’attacco personale diretto e continuo per trasformare una persona in un bersaglio.
Quindi lei la vive come un’azione coordinata, non come il prezzo della democrazia e della libertà di stampa.
Io penso che il diritto di critica, soprattutto nei confronti degli uomini pubblici, ci deve essere. E ci deve essere anche la possibilità di verificare tutti i loro comportamenti e aspetti della loro vita. Ma è una cosa diversa utilizzare l’informazione per fare calunnie, diffamare. Qui ci sono dei nipotini di Goebbels che si spacciano per giornalisti.
Lei condivide l’accusa mossa da Beppe Grillo a Carlo De Benedetti di essere il mandante di una campagna di diffamazione?
L’Espresso di De Benedetti lo scorso anno ha pubblicato un dossier su Grillo e suo cognato in cui si parlava di 14 proprietà in Costa Rica. Il servizio però era basato sul nulla. Si trattava di società aperte da un parente di Beppe in vista di un investimento immobiliare che non era mai partito…
Noi sappiamo come è nato quel servizio, realizzato da un collega onesto e scrupoloso. L’unica critica che si può muovere è la decisione, presa dalla direzione, di far scrivere immediatamente il giornalista dall’Italia sulla base di visure commerciali e di non farlo partire per il Centroamerica…
Bene, il direttore che ha fatto fare una copertina sul nulla, secondo me doveva essere licenziato… Altrimenti si diventa complici.
Quindi cosa pensata che si possa fare?
Si deve fare una legge per abolire l’ordine dei giornalisti. Sarebbe un piccolo passo in avanti. Poi secondo me i giornali non dovrebbero essere controllati da terzi che non siano editori puri. Perché se io sono una banca o la Fiat o qualunque altro imprenditore che non si occupi solo di editoria e controllo un giornale è chiaro che il giornalista deve avere non la schiena dritta, ma di diamante. Altrimenti va a casa. Secondo me il giornalismo deve essere il più possibile puro. In teoria, come diceva Montanelli, dovrebbe rispondere solo ai lettori. Il lettore rende il giornalista libero, non l’editore.
Sulla web tax voi avete preso una posizione, poi fatta propria anche da Renzi, analoga a quella del fattoquotidiano.it . Ma c’è chi vi ha accusato di ospitare pubblicità di Google o di Amazon, due aziende che sarebbero state danneggiate da quella legge… Non è un potenziale conflitto interesse?
Sono due cose diverse. Obbligare chi vende pubblicità ad avere sede fiscale in Italia non stava né in cielo né in terra. La commissione europea, come aveva preannunciato, gliel’avrebbe bocciata subito. Altra cosa è utilizzare Google e tanti altri per tenere in vita un sito e non per fare i soldi.
Beh, aspettiamo di vedere il deposito del prossimo bilancio della Casaleggio Associati. Lo scorso anno l’utile era effettivamente piccolo, 64 mila euro. Quest’anno le cose potrebbero essere andate in maniera diversa…
Sei e Grillo avessimo voluto fare i soldi ci saremmo tenuti i 42 milioni del finanziamento pubblico. Lui poteva fare il presidente e io il tesoriere ed eravamo tutti contenti. Quando mai i soldi li fai con Google? Oppure ci facevamo eleggere senatori a 20 mila euro al mese. Deve esser chiaro che nel mondo dell’informazione on line o tu hai dei ricavi pubblicitari o chiudi. Su questa cosa, io e Grillo abbiamo dibattuto per parecchio tempo. Nel 2012 rischiavo di chiudere la società. Gestire non solo il blog ma tutti gli altri canali, da youtube ai social, costa molto. Quindi dal giugno del 2012 abbiamo ospitato pubblicità, ma abbiamo stilato una black list: non accettiamo una lunga lista di investitori.
Ma perché non rendete pubblici i vostri ricavi? C’è sul Sole 24 ore chi ha addirittura parlato di milioni di euro di ricavi. Non è meglio essere trasparenti?
Quando c’è malafede, non rispondo. L’ho detto: ho un cattivo carattere. Quest’anno comunque il blog con i suoi ricavi supporta se stesso e l’organizzazione per supportare le liste per le amministrative. Vi è poi un’area dedicata esclusivamente al Movimento 5 stelle che non ospita pubblicità, ma che gestiamo noi. In ogni caso, quest’anno quando saranno depositati i bilanci della Casaleggio Associati vedrete che le cose sono andate molto meglio rispetto al 2013.
Quindi dobbiamo aspettare il bilancio che verrà pubblicato a luglio?
Sì, anche se non troverete i dati suddivisi per ogni singolo sito che gestiamo, ma solo il dato complessivo.
Allora ribadiamo: perché non essere totalmente trasparenti, non sono soldi rubati.
Le ho detto: ho un cattivo carattere. Preferisco usare una parola: vaffa…
Quando ha iniziato a pensare alla politica?
L’interesse all’organizzazione umana ce l’avevo fin da ragazzo. Ma non ero impegnato politicamente. Leggevo: Rousseau, per esempio, mi è sempre stato simpatico, ma mi era simpatico anche Voltaire…
Federico Pizzarotti piace a Di Maio, ma anche a Favia, e a Parma piace ai cittadini di ogni partito. Ma per voi sembra invece essere un problema. Ha detto di non aver capito il motivo per cui si è arrivati alle espulsioni.
Ognuno ha le sue idee, non è che possa cambiare quelle di Pizzarotti. Ma il problema è uno solo. Tu nei confronti dei cittadini hai degli impegni. Gli impegni sono di una condotta lineare all’interno del movimento. E poi: pacta sunt servanda. Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore o lo chiudo o vado a casa.
Ci pare che ci abbia provato. Cosa doveva fare? Farlo esplodere?
Qui il discorso è molto semplice: tu vieni eletto per fare una cosa, non ci riesci. Ne prendi atto. Non è mica detto che sia colpa tua.
Ma non dovrebbe essere la base a dirglielo…
L’impegno dell’inceneritore era il primo simbolo del movimento. Per questo è stato così evidenziato. Penso però che la linea debba essere chiara: in qualunque amministrazione locale in cui durante la campagna elettorale si prendono degli impegni bisogna poi verificare se gli impegni sono stati mantenuti. Se non lo sono stati si va a casa o quantomeno si fa una domanda. Si chiede agli elettori: dovrei andare a casa? Ma lo deve fare l’eletto, il sindaco il consigliere. Non lo dobbiamo fare noi. Non possiamo fare il giro d’Italia per verificare se le promesse fatte in campagna elettorale sono state poi mantenute.
Il Movimento 5 stelle alle ultime amministrative non è andato come molti si aspettavano. Ora vi aspettate risultati diversi?
Presenteremo 600 liste comunali spontanee, con nessuno condannato in primo grado, e abbiamo chiesto documentazione ulteriore rispetto al passato perché c’era capitato il caso di un condannato in Basilicata. E abbiamo chiesto anche una dichiarazione di non iscrizione alla massoneria. Ora abbiamo 12 mila candidati non condannati che non conosciamo, che né io né Grillo abbiamo mai visto. Questo è il bello del nostro Movimento.
Il caso della Basilicata però riguarda una persona condannata per rivelazione di segreto di ufficio per aver reso pubblici dei dati sull’inquinamento nascosti ai cittadini. Di fatto molti sostenevano che si trattasse di una condanna ingiusta. Era una persona che proprio per questo il M5s citava come esempio…
Questo lo sosteneva lui. Per noi le condanne non sono né giuste né ingiuste. Non siamo giudici. Come facciamo a saperlo? C’è un documento da lui firmato in cui sosteneva di non aver ricevuto condanne di alcun tipo, ma poi in corso d’opera siamo stati avvertiti che non era così. Se cominci dal mattino a darci un documento falso… Questo episodio ci ha dimostrato che il casellario giudiziario non era sufficiente. E così abbiamo alzato il livello. Tutti ci devono dare la prova che non sono stati condannati in primo grado.
L’accusa di mancanza di democrazia interna si è sedimentata nella rete. Non siete preoccupati?
Noi siamo coerenti. Quello che abbiamo detto l’abbiamo fatto.