Gabriele Armandi, Corriere dell’Informazione – Giovedì-Venerdì 17-18 marzo 1960, 18 marzo 1960
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Corriere dell’Informazione – Giovedì-Venerdì 17-18 marzo 1960 Misteri della gastronomia svelati dalle «grandi firme»
Corriere dell’Informazione – Giovedì-Venerdì 17-18 marzo 1960 Misteri della gastronomia svelati dalle «grandi firme». In una divertente agenda sono raccolte le ricette di Carlo Bo, C. E. Gadda, C. Laurenzi, Nicola Lisi e tanti altri scrittori italiani Scrivere di un’Agenda, una vera e propria Agenda con tanto di calendario di pagine bianche per le annotazioni e di pagine quadrettate per le «entrate» e le «uscite» domestiche, è impresa appassionante e nuova. L’occasione mi viene offerta da un magnifico e utilissimo «block» che la Casa Editrice Vallecchi di Firenze ha distribuito in questi giorni, come strenna, agli amici e ai letterati di tutti Italia. È una grossa Agenda di qualcosa di più delle 365 sacramentali pagine e, soprattutto, è un libro (chiamiamolo pure così per comodità e per estensione) gustoso, a modo suo e a modo di coloro che hanno contribuito a renderlo tale. Questi sono gli scrittori e i poeti che hanno risposto all’originale invito dell’editore fiorentino fornendo ognuno una ricetta o un aneddoto gastronomico, dando così corpo ad una sorta di zibaldone culinario fra i più curiosi e interessanti della repubblica letteraria italiana. Per chi (come me e, forse, tanti di voi) conosce i gusti, le preferenze e le abitudini di molti degli scrittori e dei poeti che qui fanno sfoggio e confessione delle loro capacità o delle loro inettitudini gastronomiche, sarà questa una vera buona occasione per ritrovare un amico come forse lo ha conosciuto a tavola o durante le oziose e distensive discussioni sulle eccellenza o mediocrità di un piatto, di una specialità, di un vino. Perché non è da credere che i poeti e gli scrittori non mangino o non sappiano mangiare. È spesso vero il contrario ed è verissimo che un pranzo o delle ottime, sane vivande contribuiscono a dare una spinta all’invenzione e all’estro. Quanto meno, dispongono bene. Ed è già molto, se non tutto, per chi trae forza ed incentivo dai moti dell’animo. Un’ottima introduzione a tutto il ricettario è la lettera-invito di Marziale a Giulio cesare, una specie di ricco menù in cui ricorrono i più saporiti dell’epoca: dalla lattuga, i porri, il tonno, le uova, il cacio cotto e le olive del Piceno (come antipasto), al pesce, alle conchiglie, agli uccelli, ecc. (come «resto»). Ma i nostri poeti e scrittori non sono da meno, a giudicare dalle ricette che hanno fornito all’editore e che questi ha stampato in calce ad ogni pagina dell’Agenda. Armando Meoni, per esempio, ne offre quattro, una per ogni stagione, e tutte saporite e ottime, pur nella loro semplicità. Fave e pecorino in primavera, la panzanella in estate, gnocchi al ragù in autunno e le fette col cavolo in inverno. Bimo Sanminiatelli ci ricorda la cucina campestre, odorosa, saporosa del toscano di antico stampo, e particolarmente i pasti modestissimi di Machiavelli che si accontentava di poche olive sott’olio, di insalata e ravanelli, di cacio stagionato e, naturalmente, di pane di vino. Giuseppe Prezzolini ci offre gli indirizzi di alcuni ristoranti «cosiddetti italo-americani» di Nuova York con le indicazioni delle specialità per ognuno di essi, del prezzo (in dollari) e del grado di convivialità e di affollamento, di rumorosità. Prezzolini ha fama di cuoco, ma egli stesso ci confessa che è stata «alquanto esagerata» e che cucina «sopra un paio di fornelletti» solo per necessità. «Sarei felicissima – esclama – di avere un cuoco che mi preparasse i pasti!». Ma è accaduta bella a Carlo Laurenzi! Pur non essendo un buongustaio ed, anzi, pur disinteressandosi dei problemi della cucina, ha addirittura inventato un piatto: le «penne alla Laurenzi» che hanno fatto la fortuna di un oste, tale Corrado, che a Firenze, nella sua osteria, propose un giorno, allo scrittore, penne al sugo per primo e fagioli all’uccelletto per secondo. Laurenzi ordinò di mescolare le due vivande e nacque il «piatto». La semplicità e la grazia di Nicola Lisi sono proverbiali. Una proa di più la possiamo avere dal suo «piccolo segreto» che non è un peccato di gola, ohibò!, ma una ricettina per un cappello di fungo fritto: nulla di straordinario, intendiamoci: si tratta soltanto di seguire alcuni accorgimenti che, appunto, lo scrittore ci suggerisce. Il lombardo Carlo E. Gadda ha da proporci una complicata ricetta per un risotto alla milanese coi fiocchi. È un divertimento e una tentazione soltanto a leggerla. Giovanni Spadolini, invece, non ha da suggerirci nulla di proprio. Ma il suo buon gusto di buongustaio (è cosa nota) egli sa ugualmente mostrarcelo rispolverando un vecchio menù: quello, nientemeno, del pranzo in onore di Carducci e D’Annunzio che «Il Resto del Carlino» offrì l’11 aprile 1901. Fu un pranzo che guardava per il sottile e che mirava a riconciliare i due poeti. Non sortì, purtroppo, l’effetto sperato. Accentuò, anzi, la «contrapposizione fra i due» mettendo in evidenza (come acutamente nota lo Spadolini) le «antitesi di costume e di mentalità che dividevano il poeta della terza Italia dall’alfiere del decadentismo e dell’irrazionalismo». Il bolognese Giuseppe Raimondi è, strano a dirsi, di gusti semplici. E il perché è lui stesso a dircelo, con una certa ostentata compiacenza: ha sempre condotto una vita casalinga e piccolo-borghese. Tuttavia, fra i suoi ricordi gastronomici, è una disgustosa insalata, preparata da De Pisis e composta dei più svariati ingredienti: legumi, ortaggi, rimasugli di carne lessa, briciole di pesce orribilmente salato… Ed ecco Ardengo Soffici con i suo «cavolo con le fette» (una specialità, a quanto pare, largamente nota e usata in Toscana), un piatto di «forte e grato sapore ed odore, per gente di stomaco sano e aliena da pregiudizi di società». Carlo Bo confessa di saper fare più a tavola che in cucina. Per questo, si limita a ricopiare la vecchia ricetta di una minestra della vera cucina genovese, ricetta che, dice lui, nessuno conosce. Il suo segreto, a quanto pare, è nell’intingolo di noci, e pazientemente Bo si mette a trascriverne la «nota» senza togliere o aggiungere una virgola. Quale imperdonabile mancanza di fantasia! E che dire dei fegatelli di maiale di Piero Vallecchi; dei marchigianissimi piatti di Libero Bigiaretti (la bruschetta per la colazione, la panzanella per la merenda e il pancotto per la cena); della invernale, più che quaresimale, zuppa di magro con le cotiche di Arrigo Benedetti; della «soupe» creata dal raffinatissimo Tommaso Landolfi «per cui vado (ardisco dire meritatamente) famoso tra gli intenditori»; delle uova ripiene con maionese (dose per quattro) di Carlo Carrà? Ci sarebbe da scrivere, da trascrivere, da citare ed elencare per una settimana. Non mancano nemmeno un delicato e spiritoso «Idillo campestre» di Aldo Palazzeschi, una «filastrocca» di Francesco Cangiullo e una «scenetta» con padre, madre e figlio come personaggi, di Eugenio Galvano. Tutto sommato, un’idea – quella avuta da Vallecchi – veramente originale e gustosa /nel senso più esteso della parola). Grazie ad essa, anche sui nostri tavoli molto, troppo spesso ricoperti di tomi gravi e computi, oggi è venuta a porsi un’elegante agenda che foglio per foglio, giorno per giorno, ci offre la possibilità di sorridere, compiaciuti e divertiti, dei nostri innumerevoli affanni di cui siamo soliti prendere accuratamente nota. Gabriele Armandi