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 2016  marzo 02 Mercoledì calendario

INTERVISTA AD ANDREA BOCELLI

Forte dei Marmi (Lucca), marzo
Andrea Bocelli è un marchio. Una garanzia per gli ascolti tv, una certezza per gli organizzatori di concerti e un piacere per chi ha l’onore di lavorare al suo fianco. Funziona, conquista, emoziona, non divide nelle opinioni. Certo, può piacere, ma anche no, il suo stile, la sua voce, la sua tempra, la sua normalità, il suo rigore. È padre di famiglia, ma anche “pastore” del suo staff di collaboratori, autorevole guida dell’italianità nel mondo, severo maestro di disciplina e sacrificio. È un uomo tutto d’un pezzo: puntiglioso, preciso, meticoloso all’inverosimile. Insomma un italiano al netto degli italiani. Anche se qualcuno potrebbe chiedersi: cosa c’è di più italiano di una voce coltivata nel melodramma e prestata alla musica pop? Appunto, niente.

QUELLE VOLTE CON OBAMA
Italianissimo è il suo percorso, italianissimo il suo successo, italianissime le sue doti comportamentali e vocali. Ma viene da domandarsi, quindi, quali siano i difetti, i buchi neri, le fragilità, le zone d’ombra di questo personaggio che prima di essere una star è innanzitutto una persona. E di conseguenza viene perfino da chiedersi quali siano gli argomenti di conversazione nei prestigiosissimi incontri che Andrea ha collezionato negli anni, partendo dall’ultimo: il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.

L’Ansa, il 4 febbraio scorso, ha titolato: «I potenti del mondo in piedi per Andrea Bocelli». Quella mattina è stata accolta con una lunga standing ovation la sua esibizione all’apertura della 64ma National Prayer Breakfast. C’erano Barack Obama, la first lady Michelle, il vicepresidente Joe Biden e i più influenti politici mondiali. È felice di essere diventato il cantante preferito dai potenti della terra?
«Il preferito? Questo non lo so, lo escluderei. Comunque io sono sempre stato estremamente fatalista. Ero felice quando cantavo per i miei amici in collegio, ero felice quando cantavo la domenica in chiesa per i miei compaesani e lo ero quando più tardi ho iniziato a fare il piano bar nei locali della mia zona. Ho seguito il mio cammino fino ad arrivare a cantare per i grandi della Terra: ho vissuto tutto questo sempre con serenità. La vita è così: oggi le cose ci sono, domani chissà. Certo ho incontrato personalità importanti, però non ho basato la mia esistenza su questi privilegi. Le gioie della vita sono altre».

Sì, vabbè, ma non tutti hanno la possibilità che ha avuto lei di conversare con Obama, Bush, Clinton, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco. Di cosa ha parlato con tutti loro? Cominciamo da Obama.
«Con Obama ci siamo parlati pochissimo. Ci siamo visti diverse volte, ma sempre in modo molto fugace. In ogni occasione, però, mi ha sempre ringraziato per la mia presenza e il mio impegno. Una volta l’ho incontrato dietro le quinte di un programma tv americano e ci ha tenuto a farsi fotografare assieme a me e alle nostre rispettive famiglie. In verità ho parlato di più con l’ex presidente Bill Clinton».

E che vi siete detti?
«Con Clinton ho un rapporto che dura da molti anni, potrei quasi definirlo di amicizia. Ci conosciamo abbastanza. Ricordo che la prima volta ci ricevette nella Sala Ovale della Casa Bianca e lo fece in maniera ufficiale. Mi invitò anche a partecipare a una sua convention per cantare. Poi ricordo che, nel periodo della crisi economica americana e poi degli scandali che lo coinvolsero, gli scrissi una lettera di solidarietà. Poco dopo ricevetti un suo messaggio autografo in cui mi rispondeva con affetto e simpatia».

Con George Bush?
(ride) «Con Bush ci fu un aneddoto divertente. Subito dopo uno show tv in cui eravamo ospiti insieme, invitò me e i miei amici alla Casa Bianca. Noi arrivammo decisamente in ritardo rispetto all’ora concordata: il nostro autista sbagliò strada e a ricordarlo mi sembra ancora una vicenda incredibile, per non dire comica. Poi finalmente arrivammo e ricordo perfettamente che Bush e la moglie erano fermi in cima alle scale e ci aspettavano davanti all’ascensore. Fu abbastanza assurdo, io mi sarei sparato per la vergogna e per l’imbarazzo. Poi, durante la cena, ebbi la possibilità di riscattarmi: c’era un piano e all’improvviso mi misi a suonare. Dopo pochi minuti, tutti i commensali erano intorno a me, compresi i coniugi Bush, per cantare e divertirci».

Parliamo dei tre Papi. Cominciamo da Giovanni Paolo II.
«Intanto sono tre persone e tre personalità molto diverse. Non ho un potere di sintesi sufficiente per descriverli con una parola o con un aggettivo. Comunque ci proverò. Giovanni Paolo II era una Papa di larghe vedute e aveva una visione ecumenica del mondo e quindi delle sue diverse culture. Aveva una grande generosità che ho avuto modo di verificare anche dal vivo».

Benedetto XVI.
«Io lo conoscevo e lo seguivo ancor prima che diventasse Papa. Avevo letto molti suoi testi. Ho sempre ammirato la sua intelligenza, il suo rigore intellettuale e i suoi scritti sul rischio che il relativismo prevalesse nel mondo».

Papa Francesco.
«È il Papa che parla al cuore della gente. È un Papa che ti commuove appena lo incontri: emana serenità, pace e umanità».

Mi dicono che le è già arrivata una richiesta ufficiale dalla Casa Reale per cantare davanti alla regina Elisabetta in occasione del suo novantesimo compleanno.
(ride) «Così dicono… Queste cose si fanno d’ufficio e io non ho avuto modo ancora di verificare la cosa. Veronica ne sa molto più di me. Comunque non sarebbe la prima volta: ho già cantato per la regina in altre occasioni, ma sapere della sua richiesta per festeggiare il compleanno mi stupisce e mi riempie di gioia».

Insomma lei è un uomo cercato e di successo, ma parla della sua vita professionale con una tale serenità che sembra nascondere quasi un senso di colpa per la quantità di stima raggiunta.
«Senso di colpa decisamente no, perché credo di essermi meritato sul campo quello che ho raggiunto. Forse quello che lei avverte è un sano distacco. Anche mia madre da giovane me lo diceva: tu non raggiungerai mai nulla perché non sei ambizioso. Si sbagliava solo in parte: ho lavorato duramente ma non certo per il successo, l’ho fatto per amore della musica. Ma senza una buona dose di distacco questo mestiere non si può fare per tutta la vita».

Tutto vero, tutto giusto, tutto in ordine. Sembra perfetto e qualcuno potrebbe pensare perfino noioso. Zone d’ombra ne ha?
«Certo. Infatti quando esco di casa cerco di indossare la maschera che più di altre mi assomiglia. In poche parole cerco sempre di essere me stesso. Ma come tutti sono pieno di fragilità, di insicurezze… Certo la mia immagine pubblica mi descrive come un “santo”, ma invece sono tutto tranne che un santo. Io sono un uomo senza virtù, che insegue la virtù con tutte le sue forze, che sono troppo poche. E si tormenta per la propria incapacità di essere quello che vorrebbe essere. Non ho mai vantato qualità morali eccezionali, però aspiro a quello».

A cosa? Alla santità?
«Aspiro alla santità anche se non ci arriverò mai. Farà ridere, ma il concetto di “santo” andrebbe rivisitato assai. Perché nel tritacarne contemporaneo dell’informazione la santità equivale alla perfezione. Invece è uno sbaglio. Il santo è un uomo o una donna perfettamente ancorato alla realtà, ma capace di fare cose grandi e di pensare cose altrettanto grandi che spesso si nascondono dietro ad atti semplici, piccoli, misericordiosi. Comunque, se un giorno mi santificassero, sarebbe di sicuro un incidente di percorso della Chiesa cattolica...».

Intanto, rimanendo con i piedi per terra, ci pensa Veronica a fare la santa con lei?
«No! E aggiungo: fortunatamente no, perché la nostra non è di certo un’unione santa. È invece un’unione viva e appassionata».

Si ferma e chiama sua moglie: «Pierluigi, le presento Veronica. Parli con lei che sa rispondere meglio».
Veronica ride e dice: «Ho capito perché vuole che risponda io... Beh, le posso dire che non c’è cosa più bella e santa di un amore tra un uomo e una donna che si sono sposati, come noi, davanti a Dio. Il nostro è stato un colpo di fulmine e la nostra passione è sempre rimasta viva, identica agli inizi. Le svelo un segreto: io, ogni mattina, mi sveglio con le poesie che Andrea mi scrive durante la notte». Poi aggiunge: «Certo, ogni tanto mi arrabbio, ma lo faccio letteralmente da sola perché lui non mi ascolta: dice che non c’è motivo per arrabbiarsi. Così mi arrabbio due volte».

Davvero simpatica Veronica. E i suoi figli, Amos, Matteo e Virginia, sono quindi i suoi angeli in Terra?
«Gli angeli sono entità che esistono e hanno un’identità ben precisa. Sono intorno a noi e abbiamo sensi esatti per percepirli. I miei figli non sono degli angeli, ma sono sicuramente quanto di più caro ho al mondo. Sono il mio scopo di vita. Sono la cosa più importante per me».