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 2016  marzo 03 Giovedì calendario

LA GUERRA DELLE SLIDE

Una delle cose che mi capita di insegnare, all’università, è come manipolare numeri e grafici per «dimostrare» una tesi. Ci sono decine di espedienti, infatti, che un buon illusionista può usare per far dire ai dati il contrario di quel che dicono. Ho definito «stalinismo statistico» l’arte di truccare i dati, e ne parlo ai miei studenti non per farne dei piazzisti, ma al contrario per proteggerli da chi vuole vender loro credenze false ma ben confezionate.
L’arte di pilotare i dati non è nuova e viene sistematicamente usata da politici, conduttori televisivi, giornalisti, studiosi, dirigenti di azienda, istituzioni. Negli ultimi anni, tuttavia, c’è stato un salto di qualità, favorito dalle tecnologie dell’informazione. Con il pretesto di comunicare meglio, nelle conferenze stampa e nelle salette delle riunioni hanno fatto la loro irruzione fogli excel, slide colorate, infografiche scintillanti. E insieme ai nuovi arrivati sono progressivamente scomparsi gli strumenti che, un tempo, fornivano all’ignaro lettore-ascoltatore qualche possibilità di non farsi raggirare: fonti dei dati, definizioni dei fenomeni, specificazioni temporali, spiegazioni degli indici utilizzati.
In Italia, il massimo di questa moda è stato toccato nelle ultime due settimane. Il presidente del Consiglio ha officiato la cerimonia di autocelebrazione del primo biennio di governo con una profluvio di dati, ma i suoi avversari non sono stati da meno: da sinistra, gli hanno fatto eco una raffica di slide di Sel (#24mesidispot), da destra una più sobria selezione di slide è stata prodotta da Forza Italia (24 mesi di balle, a cura di Renato Brunetta).
Questo insieme di iniziative mediatiche ha conseguito gli scopi che si prefiggevano i suoi ideatori. I paladini del governo hanno potuto confermarsi nell’opinione che le cose siano andate benissimo. I critici nell’opinione contraria. Quanto alle persone normali, che vorrebbero semplicemente sapere come sono andate le cose in Italia, non hanno che potuto confermarsi nell’opinione che i politici sono tutti eguali, e come stanno davvero andando le cose non lo sapremo mai. Su qualsiasi argomento coperto dai due gruppi di slide, infatti, è facilissimo confermarsi nella propria opinione. Volete credere che il mercato del lavoro vada bene?
La slide di Renzi vi informa che le ore di cassa integrazione sono solo 677 milioni ma erano ben 1.155 milioni ieri (ma quand’è ieri? l’anno scorso? quando c’era Enrico Letta? o quando c’era Mario Monti?). Volete credere che le cose vadano malissimo? La slide di Sinistra ecologia libertà vi informa che oggi (gennaio 2016) le ore di cassa integrazione sono 56,9 milioni, mentre 12 mesi prima erano 50 milioni, ossia di meno di oggi.
Ma cambiamo argomento. Volete credere che il governo investe nell’istruzione? La slide di Renzi vi dice che 220 milioni (stanziati? impegnati? spesi? chi lo sa...) era la cifra dei cantieri di edilizia scolastica fino a ieri, ma oggi quella cifra è salita a 1.512 milioni. Siete convinti del contrario? La slide di Sel vi informa che la spesa pubblica per l’istruzione era il 3,9 per cento del Pil ieri, oggi è scesa al 3,7. Volete credere che il governo sta tagliando le tasse? La slide di Renzi vi fa notare che ieri 19,1 milioni di famiglie pagavano le tasse sulla prima casa, mentre oggi nessuna famiglia lo fa. Preferite credere che il governo le tasse le sta aumentando? Nessun problema, la slide di Sel vi informa che la «pressione fiscale (a legislazione vigente)» ieri era al 43,4 per cento mentre oggi, con Renzi, è al 44,1. Detto per inciso, se si prendono periodi omogenei e si accettano le stime dell’Istat, i dati dicono che negli ultimi 3 anni la pressione fiscale è rimasta immobile al 43,3 per cento. Scorrendo le slide si trovano poi i pezzi forti dei contendenti. Su certi argomenti (costo dei cacciabombardieri F35) Renzi tace, ma parla Sel. Su altri (la disoccupazione) Sel tace, ma Renzi è ben contento di parlare. Come uscirne?
Non ne usciremo mai, perché la faziosità è iscritta nel dna del dibattito pubblico italiano. Ma ci sono anche ragioni logiche e tecniche che rendono arduo il compito di monitorare correttamente un governo. Per farlo occorrerebbe prendere molto seriamente in considerazione quanto, in un brillantissimo saggio di qualche decennio fa, segnalava il premio Nobel per l’economia Amartya Sen: l’essenza di una descrizione non è la sua oggettività (riportare solo i fatti, separati dalle opinioni e dalle interpretazioni) ma è l’atto, eminentemente soggettivo, di selezionare quel che è degno di essere riportato (La descrizione come scelta, 1980). Ecco perché, anche quando si riportano correttamente e compiutamente i fatti (cosa che le slide di norma non fanno) resta l’enorme arbitrio di decidere quali fatti riportare e quali ignorare. Eppure una via di uscita ci sarebbe: lavorare solo con indicatori complessivi e rilevanti (pressione fiscale, spesa pubblica, debito, tasso di occupazione) e soprattutto mettersi d’accordo prima sui parametri con cui si giudicherà un governo. Se i parametri vengono decisi dopo, e possono essere di qualsiasi tipo, è inevitabile che ognuno si scelga quelli che gli danno ragione. Del resto è una tecnica vecchia come il mondo quella di chiedere allo specchio: «Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?». L’unica differenza è che, oggi, il posto dello specchio è stato preso dalle slide.