Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  marzo 03 Giovedì calendario

La fusione Stampa-Repubblica


ANDREA BIONDI E SIMONE FILIPPETTI PER IL SOLE 24 ORE 3/3 –
Andrea Biondi e Simone Filippetti per Il Sole 24 Ore
Le famiglie Agnelli e De Benedetti scrivono una pagina che sa di svolta per l’editoria in Italia. A distanza di 40 anni, due famiglie imprenditoriali del Paese che hanno attraversato da protagonisti le vicende dell’industria in Italia, tornano a fare affari insieme.
E lo fanno preparandosi a celebrare un matrimonio di carta – tecnicamente una fusione per incorporazione di Itedi nel Gruppo L’Espresso – che, nei fatti, rappresenta una svolta epocale per l’industria dei media in Italia: l’unione della Stampa (gruppo Itedi, per il 77% di proprietà di Fca e per il 23% della famiglia Perrone) con il gruppo L’Espresso (54% Cir e 46% altri azionisti). Nasce così un colosso che fra La Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX e i quotidiani locali di Finegil (Gruppo L’Espresso) a dicembre arrivava a una diffusione giornaliera carta più digitale di 852mila copie, forte di ricavi per circa 750 milioni e con «la più alta redditività del settore e non gravate da debiti», come riportato nella nota.
Il closing dell’operazione è previsto per il primo trimestre del 2017. Ieri però, con l’annuncio del memorandum d’intesa fra Gruppo Editoriale L’Espresso e Itedi, Carlo De Benedetti e figli, da una parte, e Famiglia Agnelli dall’altra, hanno aperto un atteso risiko nell’editoria: settore da quasi 10 anni zavorrato da una prolungata crisi. Si chiude anche un’era, quella della Fiat (ora Fca) che per decenni ha fatto anche l’editore ed è stata proprietaria del giornale dei torinesi in un connubio industria-editoria che ha segnato anche la storia del Paese. Oltre a cedere Itedi (la società che controlla La Stampa, il Secolo XIX e la concessionaria PubliKompass), Fca passerà la sua quota di Rcs (16,7%) ai soci, uscendo così dai quotidiani italiani. Altrettanto farà Exor che di è impegnata a dismettere entro il primo trimestre 2017 il 5% circa di Rcs che riceverà da Fca.
La famiglia Agnelli quindi esce dal gruppo del Corriere della Sera, ma continuerà a fare il mestiere di editore (secondo un fil rouge che l’ha portata anche a essere azionista dell’Economist). La cassaforte Exor avrà infatti una quota, attorno al 5%, nel Gruppo L’Espresso dei De Benedetti, che rimarranno gli azionisti di maggioranza col 43% circa. Si diluiranno gli altri soci dei due gruppi, a partire dalla famiglia Perrone (proprietaria del Secolo XIX) che avrà il 5%, a Jacaranda Caracciolo Falck, figlia del fondatore di Repubblica Carlo Caracciolo (fratello di Marella, moglie dello scomparso Gianni Agnelli). Altri azionisti Fca saranno poi all’11% circa e, infine, il 36% circa del capitale sarà costituito da flottante.
L’incrocio azionario avrà comunque anche un cascame tra le famiglie Agnelli e De Benedetti: John Elkann, il figlio di Margherita Agnelli che ha preso le redini del gruppo di Torino, secondo indiscrezioni, probabilmente siederà nel cda della casa editrice romana.
«L’accordo segna una svolta importante per il Gruppo Espresso che avvia oggi un nuovo percorso di sviluppo, garanzia di un solido futuro in un mercato difficile», ha dichiarato il presidente del Gruppo L’Espresso Carlo De Benedetti. Dal canto suo il presidente di Fca, John Elkann, in una lettera inviata ai dipendenti Itedi ha voluto rassicurare sul fatto che «il rispetto dei valori di integrità e indipendenza che ha guidato fino ad oggi le nostre testate, resterà immutato»
Ci vorrà un anno perché tutta l’operazione – messa a punto da un nutrito pool di avvocati (Bonelli Erede Pappalardo per De Benedetti, Pedersoli per gli Agnelli e Chiomenti per i Perrone) – vada in porto (da stabilire ancora i concambi). Ed è stata una lunga gestazione: i primi contatti tra gli Agnelli e De Benedetti risalgono ad anni fa.
I buoni rapporti fra John Elkann e Rodolfo De Benedetti, presidente di Cir hanno molto pesato in positivo, unitamente al lavoro fatto dall’ad di Cir, Monica Mondardini. «Cir ha accettato di rinunciare alla maggioranza assoluta del capitale per favorire un’operazione che fa crescere il Gruppo L’Espresso e può creare valore nell’interesse di tutti gli azionisti», ha dichiarato Rodolfo De Benedetti.
Di «accordo di grande valore industriale per il Gruppo L’Espresso, che con l’ingresso di due testate autorevoli e radicate come La Stampa e Il Secolo XIX si rafforzerebbe ulteriormente», ha parlato l’ad Mondardini.
Il buon esito dell’operazione – che dovrà essere approvata entro fine giugno con la firma degli accordi definitivi con fissazione del concambio, e il cui closing è previsto per il primo trimestre del 2017 – a questo punto è legato anche al vaglio di Agcom e Antitrust. Per il settore editoria infatti, le norme finalizzate a garantire il pluralismo ed evitare forme di concentrazione (legge 416/1981, successivamente modificata ed integrata soprattutto dalla legge 67/1987), indicano come colonne d’Ercole il limite del 20% della tiratura complessiva dei quotidiani in Italia, ma anche oltre il 50% delle copie tirate dai quotidiani «aventi luogo di pubblicazione nella medesima area interregionale».
Di certo il mercato sembra aver apprezzato la scelta. Il gruppo L’Espresso, che ieri ha presentato anche i conti del 2015 (si veda altro articolo in pagina) ha chiuso a Piazza Affari in progresso del 15,89%, con Fca salita del +2,4% nel giorno dell’annuncio dell’uscita da Rcs (+7,2%). In salita anche Cir (+2,41%).
È altrettanto certo che l’operazione andrà a creare una sinergia (non bisogna dimenticare il sito di Repubblica.it che è il primo per contatti in Italia e le tre radio del Gruppo L’Espresso: Radio Deejay, Radio Capital e Radio m2o) in un mercato editoriale colpito in profondità dalla crisi e dal drastico calo della raccolta pubblicitaria. Un ridimensionamento per il quale l’indice viene spesso puntato sulla crisi, ma anche sui colossi del web. Contro questi Carlo De Benedetti si è più volte pubblicamente scagliato. La Stampa, dal canto suo, ha invece voluto scommettere sulle partnership come dimostra l’adesione alla “Dni” (Digital news initiative) con Google e vari editori europei e anche l’adesione al progetto “Amp” (piattaforma open source per rendere più veloce la lettura di siti e articoli su smartphone). Altra questione, comunque legata: la pubblicità. Le concessionarie sono al momento due. Impossibile che resti così. E ad avere la meglio, anche se è prematuro dirlo, dovrebbe essere la Manzoni del Gruppo L’Espresso.

***

FABIO PAVESI PER IL SOLE 24 ORE 3/3 –
Il risiko dell’editoria vede protagonisti almeno tre soggetti. I due coinvolti direttamente nelle future nozze, cioè l’Itedi degli Agnelli e l’Espresso, con un convitato di pietra indirettamente in gioco. La Rcs che vede impegnato il suo primo azionista in un’altra partita editoriale con un diretto concorrente. Il richiamo a Rcs non è casuale. L’editore del primo quotidiano italiano assomma su di sé e amplifica tutte le criticità del settore della stampa italiana che vive ormai da anni una crisi strutturale che fatica a trovare soluzioni. Il settore, documenta R&S Mediobanca, ha perso dal 2010 al 2014 un terzo dei suoi ricavi, circa 2 miliardi in 5 anni. Le perdite cumulate hanno eroso il capitale: il patrimonio netto aggregato dei primi 8 gruppi editoriali italiani segna un -42% con una contrazione per ben 1,4 miliardi. Se questo è il quadro generale di un settore al bivio tra decadenza (caduta di copie cartacee e pubblicità) e riscatto con la nuova frontiera del digitale, Rcs mostra più degli altri indicatori economico-finanziari preoccupanti.
Rcs ha infatti visto una caduta dei ricavi molto più accentuata del settore. Nel 2010 Rcs fatturava 2,2 miliardi, scesi a 1,28 miliardi nel 2014 e a poco più di 1 miliardo a fine 2015. Un calo di ben oltre il 50% del suo fatturato. La drastica caduta del fatturato è stata contrastata come per tutto il settore da un taglio dei costi, che però non è bastato. Le perdite infatti si sono cumulate a un ritmo senza tregua: dall’avvio della crisi il gruppo ha cumulato perdite nette per 1,4 miliardi. Un’emorragia che ha molte cause, ma che vede soprattutto nelle pesanti svalutazioni della dispendiosa campagna di shopping in Spagna uno dei contributi chiave. Solo dalle rettifiche sui prezzi pagati per la campagna iberica Rcs ha visto perdite per oltre 700 milioni.
Perdite così ampie hanno intaccato il capitale e allargato la forbice con i debiti finanziari. Rcs aveva nel 2010 debiti finanziari pari al capitale netto. Oggi il debito finanziario netto a 487 milioni, vale ben 3 volte il patrimonio e ben 7 volte il margine lordo. E questo nonostante un aumento di capitale da 400 milioni nell’estate del 2013. Ora il nuovo management confida in un piano industriale che dovrebbe portare il Mol al 13% del fatturato, all’utile netto, a cash flow positivo e a un livello di debito sul Mol che scenderà prima a 4 volte e poi a 2 volte a fine piano. Piano ambizioso che esclude un nuovo aumento di capitale per i soci, aumento su cui premevano le banche esposte.
Quanto invece a La Stampa anche qui la famiglia Agnelli via Fiat ha dovuto aprire il portafoglio. Sono stati versati in conto capitale a Itedi l’editrice de La Stampa ben 105 milioni tra il 2012 e il 2013. Iniezione di capitali necessari a fronte delle perdite per oltre 90 milioni che il giornale ha subito in quel biennio. Anche il giornale torinese soffre sui ricavi: scesi di 30 milioni su 137 negli ultimi 5 anni. Ma nel 2014 ultimo bilancio disponibile si è rivisto un piccolissimo utile e soprattutto ora la società appare più che solida sul fronte patrimoniale con capitale per 19 milioni e debiti finanziari per solo 4 milioni. Almeno su questo fronte a Torino si dorme tranquilli.

****

MARIGIA MANGANO, IL SOLE 24 ORE 3/3 –
Il gruppo Exor-Fca esce da Rcs Mediagroup dopo quarant’anni di presenza stabile tra le fila dei soci. Lo storico passaggio è la prima, immediata, conseguenza della nascita del nuovo gruppo editoriale frutto dell’integrazione tra Itedi e il gruppo L’Espresso (che controllano rispettivamente Repubblica e La Stampa-Il Secolo XIX), operazione che porta con sé anche il riassetto degli equilibri proprietari nel suo più diretto concorrente, la società che edita il Corriere della Sera. Come comunicato ieri nell’ambito dell’annuncio dell’asse editoriale tra la famiglia Agnelli e la famiglia De Benedetti, Fca distribuirà ai propri soci l’intera partecipazione detenuta in Rcs Mediagroup (16,7%). La mossa avviene in coerenza con la decisione di concentrarsi nelle attività automobilistiche. «Con questa operazione - afferma Fca in una nota - giunge a compimento il ruolo svolto, prima da Fiat e poi da Fca, per senso di responsabilità nel corso di oltre quarant’anni, che ha permesso di salvare il gruppo editoriale in tre diverse occasioni, assicurando le risorse finanziarie necessarie a garantirne l’indipendenza e quindi a preservarne l’autorevolezza».
In seguito al rinnovo del proprio cda, oggi Rcs Mediagroup dispone di una leadership chiara - si legge nella nota - e di un piano industriale che stabilisce gli obiettivi al 2018 «la cui realizzazione è già iniziata con buone evidenze sull’andamento dell’anno
in corso».
La distribuzione del pacchetto del 16,7% del Corriere ai soci del gruppo automobilistico si tradurrà nella consegna del 4,8% di Rcs MediaGroup alla controllante Exor. Il resto sarà “polverizzato” tra gli investitori del gruppo Fca (un piccolo pacchetto finirà anche a Bankitalia, titolare di 6,8 milioni di titoli Fca). Ma la holding che fa capo alla famiglia Agnelli ha già fatto sapere di voler dismettere la partecipazione nel Corriere. La cessione, sottolineano da Torino, «verrà effettuata in linea con le prassi di mercato per operazioni similari, nei tempi e modi opportuni e secondo le norme vigenti e si concluderà entro il primo trimestre del 2017», momento in cui è previsto il perfezionamento della fusione di Itedi con il Gruppo Editoriale l’Espresso.
Ricapitolando, dunque, a fronte della nascita del primo gruppo editoriale del Paese, Rcs perde il suo primo azionista. L’attuale fotografia dell’azionariato fa di Diego Della Valle il socio candidato a prendere il posto del gruppo Fiat. Nella mappa dell’azionariato del gruppo che edita il Corriere della Sera al primo posto figurerebbe quindi il patron di Tod’s, con il 7,325% del capitale; a seguire Mediobanca, titolare del 6,2% di Rcs, e il fondo Schroeder, che ha il 5,015% (ma cui è collegato anche il 2,299% intestato a Vanguard). Quindi Urbano Cairo (4,616%), il gruppo Unipol tramite Finsoe (4,601%), China national chemical corporation (4,433%), Intesa Sanpaolo (4,176%) e la famiglia Rotelli (2,744%). Assetti ed equilibri che a questo punto tornano in discussione. Con conseguenze ancora tutte da verificare. Ieri in Borsa il titolo Rcs ha segnato un rialzo del 7,21%.
Intanto Mediobanca ha fatto sapere che «continuerà a accompagnare il gruppo Rcs nel piano industriale supportandone la fase di rilancio e sviluppo» . In sintonia con Diego Della Valle, Pirelli, Unipol e Intesa.
Marigia Mangano

***

S.FI., IL SOLE 24 ORE 3/3 –
Il gruppo Espresso tenta di dribblare la crisi dell’editoria, e al mega-matrimonio nell’editoria si presenta portando in dote (cosa rara nell’industria) un utile di 17 milioni.
La casa editrice della famiglia De Benedetti accusa un calo del giro d’affari del 6%, sceso a 605 milioni (dai 643 milioni), ma riesce a raddoppiare i profitti. Il gruppo, sotto la guida di Monica Mondardini, continua a portare avanti un’attenta politica di contenimento dei costi per fronteggiare segnali macro che non sono incoraggianti. Il mercato della pubblicità, che è la linfa di tutta l’industria di media, nel 2015 è rimasto al palo: -0,5% in Italia (dati Nielsen); cosa che rappresenta un miglioramento rispetto ai cali degli anni scorsi. Ma non c’è l’attesa inversione di tendenza e, soprattutto, nella carta stampata in molti casi le cose vanno peggio: la pubblicità sui giornali in Italia è caduta di un altro 5,7% dopo il -8,5% del 2014. Per l’Espresso il calo è stato del 4,2% (un po’ meglio del mercato) da 365 a 346 milioni. Il settore presenta una contrazione nella vendita dei giornali, al calare del potere di acquisto delle famiglie: i ricavi da diffusione (ossia le vendite in edicola e abbonamento) son scesi a 218 milioni. Con tutte le principali voci di ricavo in calo, ne ha risentito anche la marginalità,scesa da 59,8 a 47,5 milioni. Il calo, però, è dovuto anche a costi straordinari di riorganizzazione (che hanno pesato per 11 milioni): senza quella una tantum la marginalità sarebbe rimasta in linea. Grazie a meno oneri finanziari (dimezzati da 15 a 8,8 milioni), la gestione industriale ha chiuso in linea con l’anno precedente (30 milioni contro 29), nonostante il trend calante dei ricavi. I bilanci in sostanziale equilibrio sono dunque il frutto di tagli dei costi assieme a l contenimento del costo del lavoro: i dipendenti sono scesi da 2300 a 2200 unità.
Sulla ultima riga di bilancio ha pesato la svalutazione (per 17 milioni) di Persidera, la newco creata assieme a Telecom Italia dove sono stati conferiti le piattaforme (Mux) del digitale terrestre. La cessione, a inizio 2015, del canale DeeJay Tv agli americani di Discovery Channel ha invece regalato una plusvalenza da 10 milioni che ha permesso il raddoppio dell’utile e di abbattere l’indebitamento (più che dimezzato da 34 a 11 milioni). I primi due mesi dell’anno sembrano essere iniziati con un altro mood: sono arrivati segnali positivi dalla pubblicità, ma è ancora presto per capire se sia un vero cambio di rotta: le previsioni sull’anno rimangono improntate a un mercato ancora uguale agli anni passati. La capogruppo ha chiuso, poi, il bilancio con una perdita (per 4 milioni) per cui non ci saranno dividendi per i De Benedetti e per il mercato.
S.Fi.

***

NINO SUNSERI, LIBERO 3/3 –
Il gruppo Agnelli dice addio alla carta stampata in Italia. E non solo a quella. Dopo ottant’anni saluta “La Stampa” che viene venduta al gruppo Espresso-Repubblica. Dice addio anche alla partecipazione nel “Corriere della Sera” che aveva in portafoglio da trenta. L’operazione è stata annunciata ieri pomeriggio a Borsa chiusa. I termini finanziari sono abbastanza semplici. Quelli politici ed editoriali, invece, più complessi e da esplorare fino in fondo. Dal punto di vista della governance l’accordo è il seguente: Fca e la famiglia Perrone che posseggono “Stampa”, “Secolo XIX” e la concessionaria di pubblicità Pk attraverso Itedi vendono al Gruppo Espresso che pagherà con azioni di nuova emissione. Al termine dei concambi la Cir di Carlo De Benedetti avrà circa il 43% del nuovo blocco, Fca il 16% e la famiglia Perrone il 6%. La guida sarà saldamente in mano ai compratori: Carlo De Bendetti (presidente), Monica Mondardini (amministratore delegato), Mario Calabresi direttore del giornalone che nascerà dall’integrazione. La diluizione della dinastia torinese, però, non si ferma qui. Fca distribuirà il suo 16% ai soci così come ha fatto, all’inizio di gennaio, con le azioni Ferrari. In tal modo Exor, cassaforte della famiglia Agnelli-Elkann resterà con il 5% che verrà tenuto «a sostegno delle strategie editoriali del nuovo gruppo». L’operazione si concluderà entro la primavera dell’anno prossimo e a vegliarne il percorso saranno alcuni dei migliori studi legali italiani: Pedersoli per Fca; Bonelli-Erede per Espresso; Chiomenti per Perrone. La giornata che ha rivoluzionato il mondo della carta stampata in Italia, però, non si ferma qui. Contemporaneamente da Torino è arrivata un’altra comunicazione. Non meno sorprendente della precedente. Fca esce anche dal “Corriere della Sera”. La procedura è la stessa usata per Itedi. La partecipazione del 16,7% verrà distribuita ai soci. Anche in questo caso Exor avrà una quota del 5%. Solo che questa volta non manterrà le azioni in portafoglio. Entro la primavera dell’anno prossimo (in coincidenza con la definzione dell’accordo con De Benedetti) i titoli verranno venduti. A quel punto l’addio tra la dinastia torinese e via Solferino sarà definitivo. Il legame era cominciato nel 1973 quando l’Avvocato era intervenuto per tagliare la strada all’avanzata di Eugenio Cefis, gran capo della Montedison. Era tornato dieci anni dopo per raccogliere i cocci della gestione Rizzoli-P2. Ora è tutto finito. Qual è il significato di questo rumorosissimo addio al mondo della carta stampata italiana da parte degli eredi dell’Avvocato? Le risposte sono molteplici ma il significato è uno solo. Dopo la fusione con Chrysler il destino della Fiat si gioca sempre più lontano dalle sue radici. Una volta i giornali servivano alla famiglia come strumento di pressione. Adesso sono solo spese. La Fca targata Marchionne è lontanissima dall’Italia. Non è più in Confindustria, non partecipa ai tavoli ministeriali, non tratta con i sindacati. Ha un solo grande punto di riferimento: il presidente del consiglio Matteo Renzi e sicuramente tutta l’operazione non deve essere affatto dispiaciuta a Palazzo Chigi. Le voci di dissenso diventano sempre meno numerose. Senza più i giornali Fca si prepara al grande matrimonio. Difficile, infatti, spiegare al partner che in mezzo a motori, pistoni, carrozzerie c’erano anche carta stampata e rotative. Non importa se all’altare sarà un americano (Gm) o un francese (Psa). Conta il fatto che tutto è pronto per le nozze.

***

FRANCESCO MANACORDA, LA STAMPA 3/3 –
Tre storiche famiglie di imprenditori, una nuova generazione e il nuovo numero uno dell’editoria quotidiana in Italia. Dietro le grandi cifre dell’accordo che per la primavera del prossimo anno dovrà portare alla fusione fra gruppo L’Espresso ed Itedi sono questi i numeri che contano.
La volontà dei De Benedetti, degli Agnelli e dei Perrone di scommettere sull’editoria si concretizza infatti in un’operazione tutta nuova.
Un’operazione dove la Cir accetta di perdere la maggioranza assoluta del nuovo gruppo da oltre 750 milioni di ricavi, passando dall’attuale 53% al 43% circa, mentre i due principali azionisti che oggi controllano Itedi avranno alla fine una partecipazione del 5% a testa. Tutto in nome di quello che il presidente di Cir Rodolfo De Benedetti definisce «un gruppo più grande, più forte, con una redditività significativa e sempre più autorevole dal punto di vista della governance, dei contenuti e delle testate di proprietà», ossia La Repubblica e i quotidiani locali di Finegil, che oggi fanno capo al gruppo L’Espresso, e La Stampa e Il Secolo XIX della Itedi. Il salto generazionale tocca soprattutto i rapporti tra De Benedetti (55 anni), che assieme ai fratelli ha avuto tre anni fa la proprietà del gruppo dal padre Carlo, e il presidente di Fca ed Exor John Elkann (40 il mese prossimo). Sono loro due ad aver dato il calcio d’avvio ai negoziati e sono loro due che suggelleranno l’intesa nei prossimi mesi con un accordo sulle rispettive partecipazioni, stringendo un’alleanza che solo qualche anno fa sarebbe parsa difficile. Il tutto sotto la guida operativa che resterà in mano all’amministratore delegato del gruppo L’Espresso e della stessa Cir Monica Mondardini, che in questi anni si è guadagnata anche la fama di formidabile risanatrice di conti.
La necessità di creare un campione che sia perlomeno nazionale è chiara a tutti i protagonisti dell’accordo. Alla base un ragionamento in fondo semplice: se oggi da Cupertino o da Mountain View, Apple o Google vanno in cerca di un partner editoriale per un qualsiasi accordo, si concentrano esclusivamente sul primo operatore nazionale in ogni Paese. Le economie di scala, dunque, non si vedranno solo in quel conseguimento di sinergie che è uno degli obiettivi di ogni fusione, ma anche nel fatto che il nuovo gruppo potrà muoversi con una taglia adeguata in un mondo di giganti come è oggi quello della comunicazione tradizionale e soprattutto digitale. Non a caso i modelli a cui guarda la nuova holding, con le testate che manterranno la loro autonomia sotto il cappello comune, sono quelli della tedesca Axel Springer o dell’angloaustraliana News Corp. A dare la dimensione di leadership anche europea del nuovo gruppo nei quotidiani di qualità sono ancora una volta i numeri: l’aggregato di Repubblica, Stampa e Secolo XIX, ognuna delle quali manterrà la sua autonomia, supera le 560 mila copie quotidiane vendute, contro ad esempio le 495 mila del britannico Daily Telegraph, la stessa cifra della tedesca Süddeutsche Zeitung, o le 360 mila copie di El País. E lo stesso vale sulla nuova frontiera dell’informazione, quella di Internet, con i 2,5 milioni di utenti unici il giorno che surclassano qualsiasi altro concorrente.
Ma la giornata di ieri scuote il mondo dell’editoria anche per un’altra ragione. In parallelo al progetto con il Gruppo L’Espresso, Fca lascia infatti la Rcs Mediagroup, nella quale la Fiat di Giovanni Agnelli era entrata prima negli Anni 70 e poi negli Anni 80 e dove la stessa Fca aveva raddoppiato la posta, salendo fino al 20%, nell’estate del 2013 per poi arrivare infine all’attuale 16,7%. L’investimento in Rcs non ha dato i frutti sperati, anche per un azionariato composito e spesso occupato a esercitare il proprio potere di interdizione sopra ogni altra cosa. Così Fca esce senza rimpianti - se non una minusvalenza che si rifletterà pro quota anche su Exor - ed Elkann abbandona il più classico dei salotti buoni del capitalismo italiano per lanciarsi in un viaggio ben più avventuroso, con nuovi compagni di strada. Un viaggio anche verso i territori del digitale.
La futura fusione Itedi-Espresso scatenerà reazioni? Sono in molti a scommetterlo. Sotto la lente è proprio Rcs. Non solo Fca uscirà, ma Exor - alla quale spetterà come socio di Fca circa un terzo della partecipazione nella casa editrice - ha già fatto sapere che la cederà «in linea con le prassi di mercato per operazioni similari». Significa che non ci sarà presumibilmente nessun accordo per la cessione del pacchetto a un altro grande socio e che le azioni verranno cedute sul mercato nella maniera più indolore possibile per le quotazioni di Rcs. Con Fca in partenza, grandi soci finanziari come Mediobanca e Intesa-Sanpaolo anch’essi in cerca di una via d’uscita e un debito che si avvicina a quota mezzo miliardo, le prospettive sono l’emergere di un azionista forte o magari un’ulteriore fusione che smuoverebbe ancora dalle fondamenta - dopo decenni - il panorama editoriale italiano.

***

LUCA UBALDESCHI, LA STAMPA –
«È una grande opportunità, ma anche un atto di fiducia nei confronti dell’editoria e del Paese, perché creiamo un vero campione nazionale». Il presidente di Itedi, John Elkann, spiega con queste parole il significato dell’operazione che dà vita al primo gruppo editoriale italiano. Lo fa parlando nella redazione della Stampa: al suo fianco c’è il vice presidente Carlo Perrone.
Intorno a loro il direttore Maurizio Molinari, i dirigenti dell’editrice, i giornalisti, i poligrafici, lo staff dell’amministrazione. I giornalisti delle altre sedi sono in collegamento, così come i colleghi del Secolo XIX seguono da Genova quella che Elkann definisce «una giornata importante per l’informazione in Italia».
I numeri aiutano a capire la portata della fusione, «perché nasce una realtà con quasi 6 milioni di lettori su carta e 2,5 milioni di utenti unici al giorno, fra le più grandi in Europa e in grado di offrire la più ampia e completa gamma di contenuti e di servizi giornalistici, in forma cartacea e digitale». Ma è un altro l’argomento che Elkann identifica come la molla decisiva: «Il gruppo - spiega - nasce dalla volontà di famiglie che hanno un legame con il mondo dell’editoria e non hanno nessuna intenzione di mollare, ma al contrario sono determinate con questo progetto a fare in modo che ci siano tutte le condizioni perché testate storiche come il Secolo XIX cui è legata la famiglia di Carlo Perrone, Repubblica e Finegil cui è legata la famiglia De Benedetti e La Stampa cui è legata la mia famiglia, possano crescere in una realtà che sarà rispettosa delle loro identità peculiari, dando la possibilità di difendere i loro valori storici, ma aprendo a tantissime nuove opportunità».
Un impegno per il futuro che ha radici lontane e risvolti personali. Il presidente di Fca è arrivato in redazione accompagnato dal secondogenito, Oceano, che lo ascolta seduto fra i redattori cui Elkann confida un ricordo di quando era ragazzo: «Sono emozionato oggi perché mio prozio, Carlo Caracciolo, è stato fondatore di Repubblica e sono cresciuto passando molto tempo parlando con lui di giornali. Uno dei suoi sogni è sempre stato vedere un giorno queste realtà unirsi e insieme fare grandi cose. Oggi ci siamo».
In una lettera inviata ai dipendenti di Itedi, John Elkann approfondisce poi le «trasformazioni epocali che il mondo dell’informazione ha vissuto in questi anni» e che hanno contribuito a creare le condizioni per una svolta che non ha precedenti in questo settore nel nostro Paese. «La maggiore libertà di cui godiamo ogni giorno - scrive - ha un valore enorme, ma comporta un costo significativo, per chi ha il compito di produrre, organizzare e distribuire le informazioni». Se ciò si combina con il calo delle copie vendute e della pubblicità, «diventa obbligatorio per gli editori ripensare il modo in cui si lavora nei giornali, riducendo i costi e aumentando l’efficienza del sistema. Ma esiste un livello oltre al quale un buon editore non deve andare, se vuole continuare a garantire al lettore un’informazione di qualità, libera e completa». Si devono a questo punto trovare soluzioni nuove e originali, «capaci di mettere definitivamente in sicurezza non solo l’attività economica e coloro che lavorano nei giornali, ma soprattutto la funzione stessa di fare informazione. Quel momento è arrivato. L’accordo con il Gruppo Espresso cambierà il panorama internazionale delle news factory, dando vita a un gruppo multimediale solido e integrato, al pari di realtà quali Axel Springer in Germania o News Corporation negli Usa».
Se le difficoltà in cui si è mossa l’editoria italiana negli ultimi tempi sono note, altrettanto chiaro è l’obiettivo che Elkann assegna alla società L’Espresso-Itedi: «La nostra missione non sarà adattarsi alle novità, ma al contrario guidare e se possibile anticipare i cambiamenti che continueranno a emergere a ritmo incessante nel nostro settore: una certezza, questa, che rende così unico, interessante e vivo il mondo dell’informazione».
La volontà di innovare è d’altronde un patrimonio consolidato dei giornali Itedi: «La Stampa, che si sta avvicinando ai 150 anni, e il Secolo sono giornali forti nei propri valori, ma con la capacità di guardare a ciò che c’è davanti, lo hanno sempre fatto nella loro storia». La nuova redazione de La Stampa, all’avanguardia per gestire un’informazione sempre più improntata ai new media (e l’unica al mondo con un museo al proprio interno), si iscrive in una tradizione che nel passato ha visto il giornale precorrere i tempi nell’uso delle tecnologie, nell’adozione di un formato divenuto poi di successo, ma anche negli accordi con grandi giornali internazionali. Più di tutto, però, proprio la fusione tra Stampa e Secolo ne è prova evidente e gli ottimi risultati raggiunti in poco più di un anno sono stati determinanti nel decidere che i tempi erano maturi per un ulteriore passo in avanti.

***

SERGIO BOCCONI, CORRIERE DELLA SERA 3/3 –
Si profila una svolta nel mondo dei quotidiani con la fusione tra il gruppo Espresso, editore de «la Repubblica» e di numerose testate locali e Itedi, che pubblica «La Stampa» e «il Secolo XIX». Un’operazione che porta a un’alleanza stabile nel settore dell’informazione tra le famiglie Agnelli, De Benedetti e Perrone.
Il memorandum d’intesa è stato firmato dalle società e dai loro azionisti: Cir per l’Espresso, Fca e Ital press holding dei Perrone per Itedi. L’accordo, «finalizzato alla creazione del gruppo leader editoriale italiano», con un fatturato che nel 2015 è stato complessivamente pari a 750 milioni e con il 20% circa del mercato domestico, è vincolante: prevede la sottoscrizione di intese definitive entro il 30 giugno 2016 e il perfezionamento dell’incorporazione di Itedi nel gruppo Espresso (che in Borsa ha fatto un balzo del 15,9%) entro il primo trimestre 2017. Il progetto deve ricevere le autorizzazione necessarie fra le quali quella dell’Antitrust.
Il progetto ha anche riflessi sull’azionariato di Rcs Mediagroup, editore del «Corriere della Sera». Fca, primo azionista con il 16,7%, uscirà distribuendo le azioni ai propri soci, il primo dei quali, la holding Exor della famiglia Agnelli con il 30%, riceverà dunque il 5% circa. Partecipazione che Exor a sua volta dismetterà sul mercato in più tranche «in linea con le prassi di mercato, nei tempi e modi opportuni» entro il closing della fusione. Rcs ha guadagnato in Borsa il 7,2%.
Fca sottolinea che con «questa operazione giunge a compimento il ruolo svolto, prima da Fiat e poi da Fca, per senso di responsabilità nel corso di oltre quarant’anni, che ha permesso di salvare il gruppo editoriale in tre diverse occasioni, assicurando le risorse finanziarie necessarie a garantirne l’indipendenza e a preservarne l’autorevolezza. In seguito al rinnovo del consiglio, oggi Rcs dispone di una leadership chiara e di un piano industriale al 2018 la cui realizzazione è già iniziata con buone evidenze sull’andamento dell’anno in corso».
Per quanto riguarda gli azionisti rilevanti di Rcs (come Mediobanca, Diego Della Valle, Pirelli e Unipol) l’impegno è continuare ad accompagnare il gruppo nel piano industriale supportandone la fase di rilancio e sviluppo. I soci confermano l’intenzione di mantenere la presenza nel capitale e di appoggiare il business plan presentato dall’amministratore delegato Laura Cioli per garantire a Rcs stabilità, continuità e indipendenza. Sostegni significativi anche in relazione a ipotesi di possibili interventi di tipo speculativo.
Sulla base di un range preliminare di valutazione stabilito fra le parti, Cir (che oggi ha il 54% di Espresso) sarà il primo azionista del nuovo gruppo con il 43%; Fca, che detiene il 77% di Itedi, disporrà del 16% ma, con l’obiettivo di uscire dall’editoria e concentrarsi sul core business, distribuirà la quota fra i propri azionisti e Exor perciò sarà socio con il 5%; la famiglia Perrone, che ha in portafoglio il 23% di Itedi, verrà a detenere anch’essa il 5%. Gli altri azionisti di Fca avranno l’11% e il flottante sarà pari al 36%. Per «sostenere lo sviluppo del progetto imprenditoriale in campo editoriale», Exor ha annunciato «l’intenzione di definire un accordo con Cir» che avrà per oggetto le partecipazioni nel nuovo gruppo.
Il presidente di Cir, Rodolfo De Benedetti, ha sottolineato che grazie all’intesa Cir «avvia un lungo percorso nel quale saranno condivisi nuove idee e progetti per affrontare le sfide del settore». «Una garanzia di solido futuro», ha aggiunto Carlo De Benedetti, presidente de L’Espresso. Il presidente di Exor, John Elkann, ha definito l’accordo «un atto di fiducia nei giornali». Ha anche ricordato come linea di continuità «sul piano personale» il fatto che Carlo Caracciolo, suo prozio, è stato fra i fondatori di «Repubblica».
Sergio Bocconi

***

PIERLUIGI BONORA, IL GIORNALE 3/3 –
Alla fine l’ha spuntata Sergio Marchionne: Fca si libera delle quote nel Corriere della Sera e nella Stampa, e ritorna alle origini, cioè a occuparsi solo di automobili. L’ad del Lingotto ha ora le mani libere per portare a termine il piano del gruppo, senza dover correre il rischio di ricorrere al portafoglio per cause editoriali che non lo hanno mai entusiasmato (l’incubo di un ennesimo aumento di capitale) e di andare incontro a problemi d’immagine negli Usa dove il mix tra giornali, per di più il più importante quotidiano italiano, e auto non è gradito. Ecco allora John Elkann, presidente di Fca, convincersi che è giunto il momento di portare fuori il Lingotto da Corriere (i corsi di Borsa non impongono grosse perdite) e Stampa, per finire nelle braccia di Rodolfo De Benedetti, fondendo il quotidiano torinese con Repubblica, e assumere nella nuova società il ruolo di socio di minoranza. Il braccio di ferro tra Elkann e Marchionne, in verità, è iniziato lo scorso anno, insieme alle voci di disimpegno di Fca, primo azionista con il 16,7%, da Rcs, di cui il Giornale aveva dato per primo conto. Le smentite hanno solo coperto il raggiungimento di un accordo tra presidente e ad: le iniziative editoriali degli Agnelli finiscono nella «cassaforte» Exor, mentre Marchionne può ora pensare al rafforzamento del gruppo automobilistico con un nuovo partner, indispensabile per condividere i costi delle nuove tecnologie (ibrido, connettività) e accorciare il ritardo con i concorrenti.Chiuso il capitolo Corriere, uno degli «amori» del nonno Gianni Agnelli, Elkann continua comunque a percorrere la strada dell’editoria, tenendo così fede alla passione di famiglia. Quello con De Benedetti viene descritto come un investimento industriale di lungo termine, anche se i maliziosi sostengono che per il nipote dell’Avvocato è stata una scelta obbligata dopo aver visto fallire i suoi piani all’interno del Corriere, come il tentativo di convergenza con La Stampa, al quale si era opposto l’ex direttore Ferruccio de Bortoli. Sembra, comunque, che Rodolfo De Benedetti e John Elkann, lavorassero da tempo a un possibile matrimonio tra i due gruppi editoriali. E dopo vari tentativi andati a vuoto, ecco presentarsi i tempi maturi per il matrimonio, complice anche il momento di difficoltà in cui si dibatte l’editoria. Non è la prima volta che le famiglie De Benedetti e Agnelli si incontrano. Il papà di Rodolfo, Carlo, nel 1976 era stato per alcuni mesi ad di Fiat. La rottura con Gianni Agnelli avvenne perché l’Ingegnere aveva messo sul tavolo dell’Avvocato una soluzione drastica per risolvere la crisi dell’azienda: mandare a casa 25mila persone. Se ne andò invece lui. E ora c’è da scommettere che la mossa del primogenito (55 anni) di Carlo De Benedetti, sostenuto dall’ad della holding Cir e del Gruppo l’Espresso, Monica Mondardini, e del nipote (40 anni) di Gianni Agnelli, finirà anche per dare il via a un risiko dell’editoria. E così Elkann dà seguito alla slogan coniato tempo fa per Fca, ma ancora irrealizzato, secondo cui «è meglio essere piccoli in un grande gruppo che fissarsi nella staticità dell’esistente». L’erede dell’Avvocato, nella nuova società, dovrà confrontarsi con un solo azionista forte, Rodolfo De Benedetti, insieme ai fratelli Marco ed Edoardo, e non più con tanti soci, tra imprenditori (anche litigiosi), banche e i sempre più numerosi fondi presenti in Rcs.L’editoria è dunque in fermento e il nuovo socio di De Benedetti è uno dei protagonisti più attivi: la non facile salita nel Corriere, la fusione de La Stampa con Il Secolo XIX, la recente conquista della maggioranza nell’Economist e la presenza nel board della New News Corp di Rupert Murdoch. E ora l’asse con De Benedetti, nel cui gruppo Elkann ritrova Mario Calabresi, l’ex direttore della Stampa da metà gennaio a capo di Repubblica («una coincidenza, nulla di preordinato», dicono).Intanto non manca chi storce il naso: «Qui, a stravincere, è solo De Benedetti».

***

LAURA CESARETTI, IL GIORNALE 3/3 –
Il terremoto destinato a cambiare il panorama dell’informazione italiana (almeno quella cartacea) coglie il Palazzo del tutto distratto e impreparato. Nel Transatlantico di Montecitorio, dove pure proprio di editoria si discute visto che ieri è stata approvata la prima legge per il riordino del settore voluta dal governo -, la maggior parte dei parlamentari non ha neppure letto le indiscrezioni che già ieri mattina davano per certo lo storico accordo tra il gruppo Espresso-La Repubblica e il gruppo Fca-La Stampa. E non sa nulla delle impennate di Borsa che hanno salutato la voce né della ridda di ipotesi che si accavallano sul futuro dei grandi giornali italiani, visto che anche per il Corriere della Sera con l’uscita di Fca da Rcs le cose sono destinate a cambiare. Il primo e fino a tarda sera l’unico a commentare la vicenda è il sindaco di Torino Piero Fassino, esponente del Pd. Un po’ per ragioni di territorio, visto che La Stampa è il giornale per antonomasia nella sua città e in tutto il Piemonte; un po’ anche perché da sempre estremamente attento al mondo dell’editoria e ai suoi movimenti (sin da quando, segretario dei Ds prima della fusione nel Pd, non gli sfuggiva neppure l’ultimo trafiletto sull’ultimo quotidiano, con gran disperazione dei suoi uffici stampa). E il primo cittadino di Torino celebra l’evento, sottolineando che con la fusione tra Itedi (editrice de La Stampa) e l’Espresso «nasce il più grande polo editoriale italiano, che unisce il patrimonio di esperienza, competenza e professionalità» di tre quotidiani (La Repubblica, la Stampa, Il Secolo XIX) preservando «secondo un modello europeo l’identita’, l’autonomia, e il radicamento di ciascuna testata». I giornali del futuro gruppo, assicura il sindaco di Torino, «non potranno che beneficiarne, a partire dalla Stampa, rafforzando posizionamento di mercato e bacino di lettori».Il governo mantiene comprensibilmente il silenzio su un’operazione che dovrebbe portare al controllo del 20 per cento dell’intero mercato della carta stampata, e che coinvolge due tra le testate più influenti per l’informazione politica italiana, e con le quali il premier ha avuto rapporti altalenanti, ma intensi. Il suo braccio destro, il sottosegretario Luca Lotti che ha la delega per l’editoria, non apre bocca e si limita ad incassare il via libera della Camera al suo progetto di riforma del settore che ridisegna il sostegno pubblico all’informazione ed istituisce il «Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione». Per il resto, la politica non mostra grande attenzione alla questione, c’è chi cade dalle nuvole e chi chiede chiarimenti («Ma si fonderanno anche le testate?», «Quanti giornalisti finiranno a spasso con la fusione?»). Walter Verini, già braccio destro di un altro leader Pd con grande attenzione e ottime entrature nel modo dei quotidiani e di Repubblica in particolare come Veltroni, allarga le braccia: «Nella crisi verticale dei giornali, l’unico sistema per sopravvivere è creare grandi gruppi con una proiezione internazionale: è inevitabile». Gianni Cuperlo non trattiene la battuta: «Per fare un polo davvero completo, non potrebbero fondersi anche con l’Unità?».

***

ANDREA MONTANARI, MILANO FINANZA 3/3  –
La notizia del merger tra il Gruppo L’Espresso e la Itedi ha un immediato impatto su Rcs Mediagroup, essendo Fca il primo azionista della società di via Rizzoli con il 16,73%. E difatti l’azienda presieduta da John Elkann e guidata da Sergio Marchionne ha annunciato che distribuirà ai propri soci, a partire da Exor (29,16%) l’intera quota detenuta nel capitale del gruppo proprietario, tra gli altri, dei quotidiani Il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport.
Uno scossone per l’intero comparto editoriale, visto che era stata la stessa Fca la protagonista, assieme a Mediobanca (6,25%), del nuovo, difficile corso di Rcs dapprima con la salita nel capitale e poi con la nomina dell’ex ad Pietro Scott Jovane, avvicendato nei mesi scorsi da Laura Cioli, supportata da Piazzetta Cuccia. Al punto che fino a qualche mese fa si ipotizzava addirittura un’integrazione tra Rcs e Itedi-La Stampa.
Cosa succederà ora alla partecipazione di Fca, che agli attuali valori di mercato di Rcs vale 52 milioni e che nel bilancio 2015 è iscritta a un fair value di 54 milioni? Perché, come si legge nella nota della casa automobilistica, se «con questa operazione giunge a compimento il ruolo svolto prima da Fiat e poi da Fca, per senso di responsabilità nel corso di oltre 40 anni che ha permesso di salvare il gruppo editoriale in tre diverse occasioni, assicurandone le risorse finanziarie necessarie a garantirne l’indipendenza e preservarne l’autorevolezza», è altrettanto vero che Exor ha fatto sapere che c’è «l’intenzione di dismettere la partecipazione in Rcs».
Quota che sarà al 4,88% del capitale del gruppo di via Rizzoli. Operazione che avverrà «in linea con le prassi di mercato» e si concluderà «entro il primo trimestre del 2017», ossia al momento del closing del deal L’Espresso -Itedi. È ipotizzabile che la partecipazione inferiore al 5% possa essere acquistata dagli altri soci della società presieduta da Maurizio Costa, che tra un anno avrà quale primo azionista Diego Della Valle (7,32%), che a lungo ha criticato al gestione Rcs targata Fca-Elkann.
Chi potrebbe essere interessato a rafforzarsi nel capitale di Rcs è Urbano Cairo (4,62%), visto che l’ad di Intesa Sanpaolo (4,18%) Carlo Messina, ha fatto sapere di voler uscire dal business editoriale e che in Pirelli (4,43%) ora sono i cinesi di ChemChina a definire la strategie.
In questo scenario, il patron della Cairo Communication può contare su una robusta dote (105,8 milioni).
C’è chi sostiene che possa muoversi in autonomia in borsa, arrotondando l’attuale partecipazione, visto che l’opzione di un’integrazione carta-contro-carta tra Cairo Communication e Rcs non si è mai potuta concretizzare. C’è poi un altro scenario, ossia l’ingresso in scena di Andrea Bonomi, che era già stato membro del gruppo di via Rizzoli. E in questo possibile sviluppo futuro c’è l’opportunità di una ridefinizione complessiva degli assetti proprietari, con il lancio dell’aumento di capitale da 200 milioni finora scongiurato dai vertici societari. Anche perché in questo caso si darebbe piena definizione al piano di risanamento e rilancio dell’azienda, che sta definendo la cessione di Rcs Libri a Mondadori e della spagnola Veo Tv. Processo che vedrà «Mediobanca accompagnare il gruppo nel piano industriale supportandone le fasi di rilancio e sviluppo», fanno sapere dell’istituto di Piazzetta Cuccia. Ma guardando nel medio periodo non è da escludere un futuro differente per Rcs, con la valorizzazione del business sportivo mettendo a fattore comune la Gazzetta dello Sport, la spagnola Marca e Rcs Sport e trovare un partner (Sky o Wanda-Infront) o l’intesa con lo stesso Cairo.
La mossa di Fca ed Exor probabilmente avvierà il risiko del settore, che potrebbe coinvolgere la Poligrafici Editoriale della famiglia Monti Riffeser, partecipata al 9,99% da Andrea Della Valle, e la Caltagirone Editore, da sempre interessata a crescere nel Centro-Nord Italia e in passato accostata proprio a La Stampa-SecoloXIX.

***

ANDREA MONTANARI, MILANOFINANZA 3/3 – 
La carta celebra uno dei matrimoni più significativi del mercato italiano. Due grandi famiglie industriali di Torino, i De Benedetti e gli Agnelli, oggi capitanati da John Elkann, decidono di unire le forze per superare definitivamente lunghe stagioni di crisi che hanno colpito l’editoria nazionale e non solo.
Un’alleanza che si cementa e consolida dopo quei famosi 100 giorni trascorsi dal Carlo De Benedetti, chiamato da Gianni e Umberto Agnelli, ai vertici di Fiat esattamente 40 anni fa.
Impensabile fino a qualche anno fa, al punto che si era sempre ipotizzato e scritto che Fca ed Exor avrebbero puntato e lavorato al merger con Rcs Mediagroup , oggi il progetto è divenuto realtà grazie soprattutto al lavoro dello stesso presidente della casa automobilistica torinese e della holding di riferimento e di Monica Mondardini, ad sia del Gruppo L’Espresso sia della controllante Cir , e di Rodolfo De Benedetti, presidente della finanziaria e primogenito dell’Ingegnere. Un patto generazionale siglato per dare sostegno e vigore ai business editoriali, rappresentati in particolare dai quotidiani La Repubblica (primo per vendite in edicola in Italia), La Stampa di Torino e Il Secolo XIX di Genova. Un agglomerato da 750 milioni di ricavi aggregati (dati 2015) che ha già vissuto stagioni di ristrutturazione e integrazione e che ha conti in ordine.
A discapito di una Rcs in costante rosso (ha cumulato una perdita superiore a 1,1 miliardi fino al 2014 e pure il 2015 avrà un segno negativo) dalla quale evidentemente Elkann, ma soprattutto l’ad di Fca , Sergio Marchionne, hanno voluto prendere le distanze, per non dover magari in un futuro prossimo venturo dover nuovamente intervenire per sostenere una nuova ricapitalizzazione.
L’operazione, annunciata ieri dopo mesi di indiscrezioni sulla stampa, come già riportato da MF-Milano Finanza dapprima il 10 novembre 2015 e poi il 23 gennaio scorso, prevede la firma di un memorandum d’intesa «finalizzato alla creazione del gruppo leader editoriale italiano, nonché uno dei principali in Europa nel settore dell’informazione quotidiana e digitale», si legge nella nota congiunta, «mediante la fusione per incorporazione di Itedi col Gruppo L’Espresso ». A siglare l’accordo sono state le holding Cir (azionista al 54% della casa editrice romana), Fca (controllante di Itedi al 77%) e dalla Italpress Holding (23% di Itedi) della famiglia Perrone.
L’integrazione tra L’Espresso che capitalizza 407 milioni e la società editoriale proprietario di Stampa e Secolo XIX, oltre alla concessionaria Publikompass, valorizzata almeno 100 milioni, porterà alla ridefinizione degli assetti societari della società guidata dal riconfermato ad Monica Mondardini (Carlo De Benedetti resterà presidente mentre John Elkann entrerà in cda). Al closing dell’articolata operazione, previsto per il primo trimestre 2017, dovendo passare anche al vaglio delle authority di settore. Cir avrà il 43% del nuovo polo editoriale, mentre Exor avrà il 5% e la famiglia Perrone un altro 5%. Le due holding dei De Benedetti e Agnelli sigleranno un patto di sindacato che garantirà la stabilità al progetto.
L’aggregato darà vita, secondo i dati Agcom, a un gruppo che avrà il 21% di quota di mercato a volumi e il 25,5% a valore. È quindi probabile che le autorità possano mettere a dieta L’Espresso chiedendo la cessione di qualche quotidiano locale della controllata Finegil. Ma non ci saranno stravolgimenti eccessivi del perimetro editoriale. Il gruppo potrà contare sulla leadership anche nel digitale e nell’online e sulla consolidata esperienza radiofonica. Mentre dopo la vendita del canale 9 a Discovery non ci sarà più una appendice televisiva per la società titolare del 30% dei multiplex di Persidera.
L’integrazione tra le società operative sarà lunga e impegnativa e richiederà almeno un paio d’anni, oltre al tempo necessario per arrivare al closing. Ovviamente ci saranno sinergie, ottimizzazioni e tagli di costi strutturali a partire dalla parte grafica e tipografica e dalla razionalizzazione delle concessionarie di pubblicità. Solo in un secondo momento si valuteranno gli impatti sugli organici delle redazioni. Ma le testata manterranno la piena indipendenza editoriale.
Piazza Affari ha brindato al merger visto che il titolo dell’Espresso è rimbalzato del 15,9%, trainando al rialzo anche Cir (+2,4%). Fca ha chiuso con un uspide del 2,4%, mentre Exor solo dello 0,48%. C’è stato un impatto indiretto anche su Rcs Mediagroup (+7,2%), ora più contendibile con l’uscita di scena degli Agnelli. A gestire il deal sono stati per conto di Fca e Itedi lo studio legale Pedersoli e Associati, per L’Espresso , Bonelli Erede e Chiomenti per la Italpress dei Perrone.

***

LUCIANO MONDELLINI, MILANOFINANZA 3/3 –
Non più tardi dell’altroieri Sergio Marchionne parlando al Salone di Ginevra ha spiegato che, tramontata l’idea General Motors, ora Fca non ha in corso colloqui con nessuno nell’ambito del risiko del settore. E quindi che l’azienda centrerà i target del piano industriale al 2018 senza nessuna aggregazione. Ieri però l’operazione La Stampa-Espresso con il conseguente spostamento alla holding Exor delle partecipazioni editoriali (si vedano altri articoli in pagina 2 e 3) ha confermato ancora una volta che il manager sta lavorando assiduamente per portare il Lingotto alle nozze. Uscendo dal business editoriale, infatti, Fca non ha più nel suo perimetro nessuna società significativa che non sia strettamente legata al settore automobilistico. Un traguardo, questo, cui Marchionne sta lavorando sin da subito dopo la scalata a Chrysler iniziata nel 2009. Il 1° gennaio 2011 mediante la scissione tra Fiat Auto e l’allora Fiat Industrial il business strettamente automobilistico del Lingotto si liberò dei camion di Iveco e della macchine per l’agricoltura di Cnh . Creando una società marcatamente business-to-business che ha l’obiettivo di assicuare a Exor (e quindi alla famiglia Agnelli) quel dividendo costante che l’auto non poteva garantire data la sua natura ciclica. In tempi più recenti poi (dopo la fusione con Chrsyler in Fca ), Marchionne ha separato Ferrari in modo che il controllo del gioiello di Maranello non potesse sfuggire a Exor nemmeno in caso di aggregazione di Fca con un altro player. Ieri l’ultima mossa che ha scorporerà il business editoriale. Ora Fca quindi non ha altro che auto in pancia e sarà più semplice valutarla in sede di negoziazioni m&a con un altro partner.

***

STEFANO FELTRI E CARLO TECCE, IL FATTO QUOTIDIANO 3/3 – 
In un giorno finisce il secolo lungo della stampa italiana e la Fiat lascia l’editoria: il Gruppo Espresso annuncia l’incorporazione di ItEdi, la holding che controlla La Stampa eSecolo XIX. Fca (Fiat Chrysler) subito dopo comunica che distribuirà ai soci la sua partecipazione nell’Rcs-Corriere della Sera, il 16 per cento. La holding di famiglia Exor, presieduta sempre da John Elkann, venderà sul mercato quel 5 per cento circa che le spetterà. Tutto come annunciato ieri dal Fatto Quotidiano. La scelta della Fiat è coerente “con la decisione di concentrarsi nelle attività automobilistiche”. Elkann è andato nella redazione de La Stampa, collegato con il Secolo a Genova, per spiegare la svolta anticipata dal passaggio di Mario Calabresi dalla direzione de La Stampa a quella di Repubblica.
Dal lato del Gruppo Espresso lo schema è chiaro: entro l’inizio del 2017, l’Exor di Elkann avrà il 5 per cento circa del Gruppo Espresso, la Cir di Rodolfo De Benedetti il 40. Tenuto coperto fino all’ultimo minuto, si scopre ora che ci sarà anche un patto di sindacato a legare le due famiglie (decisioni concordate). Su entrambi i fronti si sottolinea il passaggio generazionale e la sintonia tra i due eredi delle dinastie, ma l’equilibrio sarà comunque delicato: in base alle quote societarie comanda di gran lunga la Cir di Rodolfo De Benedetti, che però in questi anni è sempre stato un passo dietro il padre Carlo nelle scelte editoriali, assorbito da altri business del gruppo come la sfortunata Sorgenia (energia). Mentre John arriva nell’alleanza da editore globale: siede nel board della News Corp di Rupert Murdoch, è azionista di peso del settimanale The Economist. De Benedetti ci mette i soldi, Elkann le idee, ma ci sarà tempo per capire se può funzionare perché, dicono tutti, l’alleanza è “di lungo periodo”.
Dal lato del Corriere della Sera , invece, tutto è più incerto. Dopo aver incassato 127,5 milioni da Mondadori per la cessione del ramo libri, la Rcs sta trattando con le banche per rendere più sostenibile il debito da 350 milioni, mentre continua a cedere pezzi del gruppo non strategici (le radio, la spagnola Veo Tv). C’è un ambizioso piano industriale per evitare un altro aumento di capitale da 200 milioni nel 2017. Ma l’assetto proprietario nel dopo-Fiat è ancora tutto da definire.
È circolata l’ipotesi di una fusione Corriere-Sole 24 Ore: l’idea era stata lanciata un paio di anni fa dal presidente di Techint Gianfelice Rocca, a capo della potente Assolombarda. Ma nel frattempo le condizioni dei due gruppi sono cambiate: sempre più complessa quella del Corriere, in ripresa quella del Sole che nelle prossime settimane dovrebbe annunciare il ritorno in positivo del margine operativo lordo, cioè crea cassa invece di bruciarla, grazie all’aggressiva strategia di crescita sul digitale sostenuta dal direttore Roberto Napoletano. L’idea della fusione, smentita ufficialmente da Techint il 19 febbraio, viene fatta circolare ora dai nemici di Rocca nella campagna elettorale per la presidenza di Confindustria allo scopo di spaventare gli industriali che appoggiano Alberto Vacchi, il candidato di Rocca. Il controllo del Sole è rimasto una delle poche declinazioni concrete del potere del presidente, la fusione col Corriere finirebbe per diluire l’influenza (e la presa sugli eventuali dividendi). Rocca è stato sondato nei mesi scorsi anche come “cavaliere bianco” per costruire un nuovo equilibrio in Rcs. Ma in Techint Rocca è presidente, non può deliberare in autonomia e il resto della famiglia, a cominciare dal fratello Paolo, è poco entusiasta di impegnarsi in Rcs.
L’uscita di John Elkann lascia campo libero ai suoi storici oppositori in Rcs: l’editore di La7 Urbano Cairo e l’imprenditore Diego Della Valle che è tornato di gran fretta in Italia, a Milano. In passato, entrambi non hanno mai avuto forza e voglia di svenarsi per comandare davvero su Rcs, ma senza la Fiat lo scenario è più fluido. Per Cairo e Della Valle l’investimento finanziario potrebbe essere alleggerito con la cessione della Gazzetta dello Sport a Infront o alla sua controllante Wanda, il gigante della gestione dei diritti sportivi. I dossier sull’operazione sono già pronti.
L’ultimo protagonista che potrebbe intervenire è Lorenzo Pellicioli, che gestisce l’impero della famiglia De Agostini-Drago: in asse con Mediobanca, avrebbe le risorse per riempire il vuoto lasciato da Fcs nel capitale. Ipotesi estrema. Ma già smentisce. Tutti fermi: cosa succede? Rcs avrà quasi la struttura di una public company, priva di un socio di riferimento, per la prima volta. Se Laura Cioli, l’amministratore delegato, non riuscisse a rispettare il piano industriale di rilancio, prima o poi toccherà alle banche convertire in azioni i propri crediti milionari. Timori. Speranze. Per adesso, c’è tanta solitudine in via Solferino.

***

GIORGIO MELETTI, IL FATTO QUOTIDIANO 3/3  –
Qualità del prodotto giornalistico? Autonomia delle testate? Tranquilli ragazzi. Il sindacato dei giornalisti ha detto che “pretenderà garanzie” (testuale). Sembra uno scherzo. Non solo perché da molti anni il sindacato dei giornalisti non ha il fisico per pretendere alcunché. Ma soprattutto perché suona tutto un po’ falso. L’indipendenza dei giornalisti de La Stampa non è in discussione sotto la piena proprietà Agnelli, ma è minacciata dalla comproprietà Agnelli-De Benedetti? E Repubblica, con John Elkann al 5 per cento del capitale, diventa il giornale padronale che non era mai stata?
È uno scherzo ma fino a un certo punto. Nell’Italia declinante dei giornali padronali e degli editori impuri che premiano i direttori per le notizie nascoste anziché per quelle pubblicate, per molti anni la rivalità tra Carlo De Benedetti e casa Agnelli ci ha regalato sapide pagine di giornalismo. Se c’era da fare un dispetto alla Fiat i giornalisti di Repubblica avevano la licenza di uccidere, cioè di scrivere la verità. E se c’era da sputtanare l’Ingegnere a La Stampa e al Corriere si sospendeva la regola aurea “cane non morde cane”.
È la degna conclusione della parabola di De Benedetti, per una vita uomo controcorrente, scheggia impazzita dell’establishment. È lui che poco più che quarantenne, nel 1976 viene chiamato dall’avvocato Gianni Agnelli alla testa della Fiat e riesce a litigare con quasi tutti e a farsi cacciare dopo cento giorni. È lui che a fine anni ’80 prende il controllo del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari subito dopo lo storico sorpasso in edicola sul Corriere, diventato nel frattempo un gioiello della corona di casa Agnelli.
È lui che nel 2005 – nel momento peggiore della Fiat, dopo la morte di Gianni e Umberto Agnelli – spaventa i dignitari sopravvissuti (Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens) con la minaccia di una scalata che li costringe a un’acrobazia difensiva così spericolata (il famoso equity-swap Ifil-Exor) da trascinare i due anziani manager in tribunale per anni.
La rivalità alle volte fa anche gioco. Quando Cesare Romiti riesce a cacciare dalla Fiat il padre della Uno e della Thema Vittorio Ghidella – assicurandosi così che la Fiat non faccia più un auto decente per anni – fa uscire la notizia su Repubblica, perché allora come oggi il galateo vieta ai giornali della casa notizie così scabrose. La guerra ci ha regalato notizie non sempre di prima grandezza, ma notizie. Come lo scoop del Corriere su De Benedetti accusato di contrabbando per aver comprato a Sankt Moritz un regalo per la moglie dichiarando di volerlo esportare in Italia, il tutto per ottenere uno sconto dal gioielliere svizzero. Notizia così malinconica che avremmo preferito non leggerla. E che adesso però saremmo sicuri di non dover leggere, dopo la grande pace in stile fusion.
E come dimenticare le saporite rivelazioni di Repubblica sulla guerra per l’eredità dell’Avvocato tra Margherita Agnelli, sua madre Marella Caracciolo e suo figlio John Elkann? Difficile dire se mettesse più tristezza l’Ingegnere che froda il fisco per risparmiare sul gioiello regalato alla signora o la figlia dell’Avvocato intenta ad aizzare i magistrati contro la memoria del padre, accusato di aver derubato i soci di minoranza e il fisco italiano per 1,4 miliardi.
Ma è certo che adesso che la pace è firmata difficilmente vedremo un cane mordere l’altro cane, neppure per sbaglio. Da anni De Benedetti aveva fissato il timone sulla rotta del ritorno a casa, più o meno dall’inizio della grande crisi finanziaria mondiale. Ha fatto affari anche con Berlusconi.
Vent’anni fa, quando in pieno boom dell’informatica mondiale era riuscito a radere al suolo l’Olivetti, l’Ingegnere fresco sessantenne aveva deciso di rilanciare, come sempre, facendo leva sull’impero dei quotidiani nazionali e locali che si erano trasformati da arma contundente in business principale.
Ma negli ultimi tempi, finita la festa dei profitti facili, archiviati con fatica gli insuccessi imprenditoriali più recenti – come quello delle centrali elettriche Sorgenia, sogno industriale del primogenito Rodolfo finito in una montagna di debiti mollati alle banche – l’ottantunenne ingegnere deve essersi reso conto che non c’è più un establishment degno di guerriglia, e neppure di blanda opposizione. E che le nuove generazioni di padroni non sono fatte per la concorrenza. Preferiscono l’oligopolio.

***

ECIO MAURO, REPUBBLICA 3/3 –
Quando si andava a trovare Carlo Caracciolo, nel vecchio palazzo di via Po al numero 12, davanti alla porta era appesa al muro una gigantografia del primo numero dell’Espresso con la data del 2 ottobre 1955, il prezzo di 50 lire, quella “E” gigantesca ed elegante della testata preceduta dall’apostrofo che sarebbe diventato un marchio, e due soli articoli nell’intera prima pagina, oltre all’editoriale di presentazione del settimanale, anonimo. Due firme, quindi, per la copertina di quel numero storico: Nicola Adelfi e Vittorio Gorresio. Erano due firme della Stampa.
Diverse per natura, distinte per scelta e lontane per forza di cose, le nature delle due scuole giornalistiche si sono spesso intrecciate in questo lunghissimo dopoguerra. Intanto Caracciolo era cognato di Gianni Agnelli, patron della Stampa, che vedeva in lui – come ripeteva sempre – «l’unico vero editore di giornali che c’è in Italia». Non era il solo legame familiare: Eugenio Scalfari, fondatore prima dell’Espresso e poi di Repubblica, era genero di Giulio De Benedetti, lo storico direttore della Stampa dove regnò indiscusso per vent’anni, e con lui la domenica mattina passeggiando nei boschi di Rosta tra mille cose si finiva sempre per parlare del settimanale romano e del quotidiano torinese della Fiat, del loro giornalismo. Roma e Torino sono diverse anche nelle abitudini e negli stili giornalistici, naturalmente, ma quella storie separate hanno continuato a incrociarsi. Oggi il direttore di Repubblica, Mario Calabresi, viene dalla Stampa. Ieri Giulio Anselmi ha fatto il viaggio opposto, guidando prima L’Espresso poi il giornale piemontese. E torinese (a questo punto verrebbe da dire “naturalmente”) è Carlo De Benedetti, il presidente del Gruppo Espresso in cui oggi entrano La Stampa di John Elkann e il Secolo XIX di Carlo Perrone.
Sembrano circostanze casuali, ma il mercato non si muove mai per caso quando sceglie i suoi uomini, così come il giornalismo quando fa le sue scelte di vertice. Chiunque abbia abitato nei due mondi, sa quanto i giornali siano tra loro diversi. L’anima della Stampa ha una sua irrequietezza tradizionale, perché è un’anima doppia, piemontese ed europea, programmaticamente fuori dal Palazzo: mai contro, sempre fuori. L’anima dell’Espresso e poi di Repubblica è insieme nazionale e romana, nella convinzione che da Roma si possa parlare all’intero Paese per testimoniare l’Europa come scelta e destino, ed è cresciuta per forza di cose e anche per vocazione di fianco al Palazzo, scenario privilegiato e osservato speciale fin da quando lo denunciò “corrotto”. In più, la Stampa porta con sé nei decenni la rappresentanza di quel mondo della produzione – imprenditori, tecnici e operai – che ha segnato l’identità del Nordovest italiano, oscurato negli ultimi decenni dalla cometa del Nordest mentre si indeboliva la forza del modello fordista tradizionale, ma in realtà vivo, con le città che sembravano proiezioni stesse della fabbrica, costruite con gli stessi attrezzi delle officine, e con le loro costruzioni politiche e sindacali. L’Espresso e Repubblica cercavano invece nei decenni una rappresentanza immateriale, non geografica ma storico-culturale, di un’Italia di minoranza ma vogliosa di Europa, di regole e di riforme, nella scommessa che il cambiamento era possibile anche da noi.
Due mondi. Ma un elemento comune è cresciuto proprio in questa funzione di minoranza consapevole, nutrita dall’elemento più forte dei due giornali, quello culturale. Per l’imprinting di Scalfari e Caracciolo, i giornali del Gruppo Espresso hanno scelto di camminare di fianco alla sinistra italiana, seguendo la mappa dei valori liberal-democratici, stimolandola ad evolvere in questa direzione. E allaStampa, per un paradosso tutto torinese, insieme all’impianto filo-governativo della più grande impresa italiana si è raccolta quella cultura liberale di sinistra che nasce dall’azionismo, e che ha portato a scrivere per quel giornale Casalegno, Bobbio, Galante Garrone, Mila, Jemolo. Due storie giornalistiche diverse dunque (una a Torino, da De Benedetti a Ronchey, a Mieli, l’altra a Roma, di forte impronta scalfariana) e un riferimento culturale che nasceva direttamente dalla couche azionista per gli uni, dalla sinistra attenta al vincolo liberal-democratico per gli altri.È sempre stato ovvio seguire strade autonome e libere, per i giornali, secondo la propria natura. Ma questo nucleo comune della cultura azionista ha creato anche, altrettanto naturalmente, dei liberi punti di contatto nella laicità, nel senso dello Stato, nel rispetto del mercato e delle sue regole, nella scelta europea dell’Italia, nell’identità occidentale del nostro Paese e della nostra democrazia. Così è capitato che Stampa ed Espresso, Repubblica eStampa si trovassero vicini nei momenti più significativi della vicenda italiana, il referendum sul divorzio, la lotta contro il terrorismo, il rifiuto della trattativa, la rottura di Tangentopoli, così come sono state distanti altre volte.
Oggi i percorsi societari dei due gruppi editoriali si affiancano per la decisione di unirsi in breve tempo, insieme con il Secolo XIX, un pezzo importante di antica nobiltà giornalistica del Nord, realizzando nell’editoria quel che John Elkann e Sergio Marchionne hanno sempre detto a proposito della necessità di fusioni nel sistema mondiale dell’automobile: perdere quote di sovranità pur di acquistare quella forza e quella superficie che è la miglior difesa del businnes e del lavoro in tempi difficili di crisi. È un atto di coraggio imprenditoriale da parte delle due società e dei loro azionisti, Cir ed Exor, di responsabilità da parte dei manager che dovranno guidare la nuova impresa e anche un gesto di fiducia nei confronti dell’editoria giornalistica e del suo domani, qualunque volto avrà. In questo senso, anzi, è un forte segno di ottimismo in un Paese ripiegato su se stesso. Si può crescere, si può cambiare dimensione, si può osare, vale la pena scommettere sul futuro. I giornali – Stampa, Repubblica, Secolo XIX, Espresso e i quotidiani locali – continueranno liberi e autonomi nelle loro identità distinte e separate. Ma le scuole giornalistiche, le culture diverse, le tradizioni, avranno un luogo d’incontro e di confronto, potranno crescere fianco a fianco, contagiarsi a vicenda, trovando nuovi strumenti d’espressione e nuova forza nelle sinergie industriali e commerciali. Nel piccolo mondo dei giornali, è qualcosa di importante, per noi e per l’intero panorama editoriale italiano. Perché scommettendo sul sistema dell’informazione, oggi, si scommette sul bisogno del Paese di conoscere e sul suo diritto di sapere, dunque sulla sua crescita civile.
Ezio Mauro

***

ETTORE LIVINI, LA REPUBBLICA 3/3 – 
La Repubblica e gli altri giornali del gruppo L’Espresso uniscono le forze con La Stampa e Il Secolo XIX dando vita «al leader italiano dell’informazione quotidiana e digitale», in un’operazione che segna anche l’uscita della Fiat dal capitale di Rcs. Il Gruppo Espresso e Itedi, la società che controlla i giornali di Torino e Genova, hanno firmato un memorandum di intesa per fondere le proprie attività. Le nozze – che dovrebbero decollare entro il primo trimestre 2017 – daranno vita a «uno dei principali protagonisti del settore in Europa – spiega un comunicato congiunto – con 5,8 milioni di lettori, 2,5 milioni di utenti unici giornalieri, 750 milioni di ricavi, la più alta redditività del settore e senza debiti». «L’accordo segna una svolta importante per il Gruppo Espresso che avvia oggi un nuovo percorso di sviluppo, garanzia di un solido futuro in un mercato difficile – ha commentato il presidente Carlo De Benedetti -. La missione di questa casa è sempre stata l’editoria, al servizio di una crescita civile del Paese. Con questa operazione l’impegno viene riconfermato e accresciuto».
La realtà nata dalla fusione sarà controllata con una quota del 43% dalla Cir, la holding industriale della famiglia De Benedetti. Fca (FiatChryslerAutomobile), proprietaria del 77% di Itedi, avrà il 16% mentre la famiglia Perrone riceverà il 5% della nuova azienda la cui guida operativa sarà affidata a Monica Mondardini, attuale ad della Cir e del Gruppo Espresso. Tutte le parti si sono impegnate a sottoscrivere l’accordo definitivo entro giugno 2016. «L’intesa porterà alla creazione di una nuova struttura nella quale fonderemo tutte le nostre attività editoriali – ha spiegato il presidente Fca John Elkann –. La società sarà leader nel settore dell’informazione in Italia, in grado di offrire la più ampia e completa gamma di contenuti e di servizi giornalistici, in forma cartacea e digitale».
Il decollo dell’alleanza segna però allo stesso tempo l’addio del Lingotto al mondo della stampa. Fca infatti – «coerentemente con la propria decisione di concentrarsi sulle attività automobilistiche», come spiega una nota – girerà agli azionisti le sue partecipazioni nel settore. Exor, la cassaforte di casa Agnelli, riceverà il 5% del polo “La Repubblica- La Stampa”, quota che sarà legata a «un accordo con la Cir sulle rispettive partecipazioni». Torino invece liquiderà entro il primo trimestre del 2017 le sue azioni Rcs. «Con questa operazione – afferma Fca in una nota – giunge a compimento il ruolo svolto per 40 anni prima da Fiat e poi da Fca che ha permesso di salvare la società in tre diverse occasioni, assicurando le risorse finanziarie necessarie a garantirne l’indipendenza». La casa automobilistica è oggi il primo socio dell’editore de Il Corriere della Sera con una quota del 16,7%. Dopo il suo addio, il principale azionista sarà Diego Della Valle (7,3%), davanti a Mediobanca. Piazzetta Cuccia ha garantito ieri che «continuerà ad accompagnare lo sviluppo di Rcs», linea su cui si sarebbero schierati anche gli altri grandi soci di via Solferino.
Le indiscrezioni (poi confermate in serata) sull’alleanza hanno sostenuto ieri a Piazza Affari i titoli dei gruppi coinvolti. Le azioni L’Espresso hanno chiuso la seduta con un balzo del 15,89% mentre quelle di Rcs sono salite del 7,21%. «Questa operazione anticipa il necessario processo di aggregazione del settore editoriale italiano – ha commentato Mondardini –. Per noi è un accordo di grande valore industriale. Con l’ingresso di due testate autorevoli e radicate come La Stampa e Il Secolo XIX, L’Espresso si rafforza ulteriormente, riaffermando il proprio primato nella stampa quotidiana italiana». A rendere possibile l’intesa – ha aggiunto – «è anche il lavoro compiuto in questi anni difficili da tutto il gruppo, che ha ottenuto buoni risultati ponendosi come soggetto attivo di una aggregazione molto importante per il proprio futuro».
Elkann ha ribadito invece in una lettera ai dipendenti Itedi l’impegno al «rispetto dei valori di integrità e indipendenza che hanno guidato fino ad oggi le nostre testate», ricordando che «sono gli stessi principi che la famiglia De Benedetti segue da ormai quasi 40 anni». «L’operazione dimostra l’impegno di lungo periodo di Cir, del suo management e mio personale nello sviluppo del gruppo Espresso – ha aggiunto Rodolfo De Benedetti, presidente della holding di via Ciovassino -. Al perfezionamento dell’accordo odierno Cir resterà l’azionista di controllo di una realtà più grande e più forte».
La nascita del nuovo polo editoriale dovrà ricevere nei prossimi mesi il via libera dell’antitrust e dell’Agcom. «Di fronte a qualsiasi processo di concentrazione, spetta all’autorità di garanzia valutare queste operazioni sotto il profilo della libera concorrenza – hanno scritto in una nota Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Fnsi -. Compito del sindacato è invece quello di valutare l’impatto di questi processi di aggregazione societaria sull’occupazione e sull’autonomia delle singole testate, pretendendo garanzie sulla qualità del prodotto e sul rilancio delle aziende».
Ettore Livini

***

PAOLO GRISERI, LA REPUBBLICA 3/3 – 
Con l’ingresso di Exor nel Gruppo Espresso finisce la storia quasi centenaria della presenza diretta di Fiat (oggi Fca) nell’editoria italiana. La casa automobilistica aveva acquisito la proprietà della Stampa nel 1920. Da allora e per tutto il Novecento il quotidiano torinese, con la Juventus una delle due vere passioni di Gianni Agnelli, è sempre rimasto nel bilancio del costruttore di automobili. Così come, negli anni Settanta, sarebbe stato con Rcs. Nonostante le perplessità degli analisti finanziari che si chiedevano che cosa c’entrasse l’editoria con i mezzi di trasporto, la presenza della partecipazione anomala è rimasta come un tratto distintivo del gruppo del Lingotto.
Anche con l’arrivo del giovane John Elkann alla presidenza di Fca la situazione non è mutata. Il nipote ha ereditato dal nonno la passione per i giornali. La fusione con Chrysler e la nascita di un gruppo automobilistico di dimensione mondiale hanno però reso l’anomalia novecentesca difficile da reggere a lungo. La famiglia Agnelli ha continuato a investire nell’editoria ma lo ha fatto attraverso la sua finanziaria, Exor, rilevando, ad esempio, la quota più significativa dell’Economist. Restavano fino a ieri nel bilancio di Fca le quote di Itedi (proprietaria de La Stampa e del Secolo XIX) e di Rcs. Particolarità di bilancio difficili da spiegare nei road show con i banchieri d’oltreatlantico. Anche se al Lingotto giurano che non sia mai stato questo un ostacolo decisivo nelle trattative per nuove fusioni automobilistiche. È un fatto che una razionalizzazione si imponeva. Per questo, «coerentemente con la decisione di concentrarsi nelle attività automobilistiche», come si legge nel comunicato di Fca, la casa di Torino ha deciso di distribuire ai soci sia la partecipazione in Rcs sia quella in Itedi. In questo modo Exor, che ha circa il 30 per centro di Fca, si ritroverà ad avere poco più del 5 per cento di Rcs e il 5 per cento dell’Espresso. Gli Agnelli hanno contestualmente annunciato ieri che intendono vendere la quota Rcs per concentrarsi «attivamente e con un impegno di lungo termine allo sviluppo della nuova società che nascerà dalla fusione di Itedi con il Gruppo Editoriale L’Espresso». Molto duro il comunicato di Fca che ripercorre le tappe della presenza della casa automobilistica nell’editrice del Corriere: «Giunge a compimento il ruolo svolto prima da Fiat e poi da Fca per senso di responsabilità nel corso degli ultimi quarant’anni che ha permesso di salvare il gruppo editoriale in tre diverse occasioni assicurando le risorse finanziarie necessarie a garantirne l’indipendenza». Come dire: di più non potevamo né volevamo fare.
Così chiuso il capitolo Rcs, Elkann promette un impegno di lungo termine con il Gruppo Espresso. Una scelta che spiega con la necessità di «mettere da parte le certezze acquisite nel tempo per trovare soluzioni nuove e originali capaci di mettere in sicurezza non solo l’attività economica e coloro che lavorano nei giornali ma soprattutto la funzione stessa di fare informazione».
Il primo gruppo editoriale italiano nascerà così dall’incontro di due famiglie torinesi che hanno segnato la storia del capitalismo italiano del Novecento anche rappresentando poli diversi della vicenda economica nazionale. Due famiglie, i De Benedetti e gli Agnelli, che si sono incrociate spesso durante il secolo scorso. Così come c’è parentela (Elkann la sottolinea nella lettera di ieri) tra gli azionisti di Fca e Carlo Caracciolo, editore dell’Espresso e fondatore di Repubblica insieme a Eugenio Scalfari.
Come si spiega la mossa di Exor nelle strategie della famiglia Agnelli? In questi anni Elkann si è sforzato di mantenere le caratteristiche dellaStampa così come l’aveva plasmata il nonno nel Novecento: un giornale glocal, in grado di ospitare contemporaneamente l’opinione di un Segretario di Stato Usa come Henry Kissinger e della casalinga torinese che scrive alla rubrica delle pagine locali “Specchio dei tempi”. Un modo di intendere l’informazione, legata contemporaneamente al territorio e al mondo, che oggi Internet ha finito per enfatizzare. Ma per replicare lo stesso cliché nell’era dell’informazione globalizzata non basta il dna: ci vogliono investimenti e una dimensione transnazionale. Così Elkann sta applicando anche all’editoria la filosofia che lo sta spingendo a cercare la fusione con un grande costruttore di automobili come Gm: meglio partecipare a un grande gruppo di dimensione internazionale, anche diluendo la propria partecipazione, piuttosto che difendere lo stato di cose esistente.
Paolo Griseri

***

PIETRO SACCO’, AVVENIRE 3/3 –
Le indiscrezioni che circolavano da settimane sono state confermate ieri sera: il gruppo Editoriale l’Espresso e Italiana Editrice hanno firmato un ’memorandum d’intesa’ per fondersi in un’unica società che si imporrà, quasi senza rivali, come primo gruppo editoriale italiano: controllerà due dei principali quotidiani nazionali ( la Repubblica e la Stampa), oltre a diciannove quotidiani locali (compresi il Secolo XIX, il Tirreno e il Messaggero Veneto), un settimanale ( l’Espresso), tre stazioni radiofoniche (Deejay, Capital e M2o) e due concessionarie di pubblicità (Manzoni e Publirama). Nella nota congiunta con cui hanno annunciato l’accordo di massima, le due società ricordano che assieme nel 2015 hanno fatturato 750 milioni di euro e hanno mostrato «la più alta redditività del settore» (l’Espresso nel 2015 ha fatto 17 milioni di utili). «Le testate – assicurano assieme gli editori – manterranno piena indipendenza editoriale» mentre si punta a «realizzare crescenti economie di scala».
La fusione, che dovrà ottenere il via libera dell’Antitrust, avverrà tramite lo scambio di azioni tra i soci delle due società. L’operazione dovrebbe concludersi entro l’inizio del prossimo anno. A cose fatte la Cir, la finanziaria dei De Benedetti, controllerà il 43% del nuovo gruppo, mentre il 15% andrà ai soci di Italiana Editoriale, cioè Fiat Chrylser (ne ha il 77%) e la Ital Press di Claudio Perrone, l’ex editore del Secolo XIX (che ha l’altro 23% di Itedi). Fca ha già chiarito che distribuirà le azioni del nuovo gruppo tra i suoi soci. Il risultato finale sarà una compagine azionaria in cui la Cir sarà di gran lunga il socio dominante, e che avrà in Exor (la finanziaria degli Agnelli che si ritroverebbe con il 5% delle azioni) il suo principale alleato – la nota dei due gruppi parla già di un ’accordo’ sulle future partecipazioni – con Perrone che sarebbe socio con circa il 4% delle azioni.
Si tratta dell’operazione finanziaria più grande della storia dell’informazione stampata italiana ed è destinata a cambiare radicalmente gli equilibri del settore. Perché prima di spartire le azioni del nuovo gruppo tra i suoi soci Fca, che resta la maggiore industria manifatturiera del paese, cederà la sua partecipazione in Rcs, dove è primo socio con il 16,7%, per concentrarsi solo sul settore auto. L’editore del Corriere della Sera, i cui conti non sono tranquillizzanti come quelli dei rivali dell’Espresso, dovrà quindi trovare un nuovo socio di riferimento. Secondo
Affaritaliani potrebbe farsi avanti Caltagirone – l’editore di alcuni quotidiani tra i quali il Messaggero e il Mattino – così da creare un altro polo di grandi dimensioni. Oppure, secondo altre indiscrezioni pubblicate da Lettera43, potrebbe prospettarsi una fusione tra Rcs e il Sole 24 Ore, di proprietà di Confindustria, altro editore che ha bisogno di ottimizzare le risorse. La partita del grande riassetto dell’informazione italiana ora si è aperta davvero.