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 2016  marzo 02 Mercoledì calendario

HALFREDSSON: «SE ALL’EUROPEO SORPRENDO, NUOTO CON GLI SQUALI»

Comincia tutto così. «Piacere, Emil Hallfredsson. Scommetto che mi chiederà degli squali, vero?».
In effetti era una delle domande in programma. Non capita tutti i giorni di intervistare un calciatore che ha nuotato con gli squali.
«Be’, glielo dico subito: non è vero. In Islanda c’è una specie di parco acquatico in cui è possibile provarci, ma io non l’ho mai fatto e non ho mai avuto voglia di farlo. Però è vero che l’ho detto e non so neppure io perché. Mah... Avevo 23 anni ed ero appena arrivato in Italia e mi è venuto di dire questa stupidaggine».

A nome della categoria la assolvo dal peccato, anche perché ci avrà senz’altro regalato un bel titolo, però il fatto che lei sia un lettore è vero, no?

«Certo (e mostra il volume “Leading” di Alex Ferguson, consumato al punto giusto, ndr). Leggere mi piace. Questo l’ho cominciato perché me lo ha consigliato mia moglie Asa Maria. Ora lei è concentrata solo sui testi che parlano di gravidanza (Emil aspetta il secondo figlio, una bambina, ndr), ma quando lo ha visto, ha capito subito che mi sarebbe piaciuto. Altrimenti avrei scelto di parlare dell’autobiografia di Lance Armstrong, però mi pareva un po’ triste».

Secondo lei perché tanti scrittori del Nord Europa, soprattutto scandinavi, raccontano storie di delitti?

«Non saprei. Forse sarà per il buio, per le tante giornate senza sole che abbiamo durante l’anno. Io andavo a scuola alle 7 del mattino ed era buio, uscivo alle 14 ed era buio. Per qualcuno può essere deprimente, ma io non mi ci trovo male».

Tutti dicono che lei ha tanto carattere, soprattutto perché in Italia ha dovuto confrontarsi con una lingua all’inizio ostica. Lo sa che su YouTube gira un video in cui una sua intervista viene montata con spezzoni di film di Totò, Benigni, Gassman, Stanlio e Olio?

«No, non lo sapevo. Fa ridere? Devo vederla. D’altronde parlo 4-5 lingue e chissà quanti errori faccio in italiano».

L’Italia l’ha fatta crescere anche nel gusto. Adesso è diventato un esperto di vini come Ferguson.

«Pensi che quando sono arrivato da voi non avevo mai bevuto alcool in tutta la vita, non mi piace neppure la birra; adesso invece sono diventato un appassionato e persino un importatore di vino italiano in Islanda. So che Ferguson apprezza il genere, così se mi capitasse d’incontrarlo gli regalerei un “La Poja”, rosso di Allegrini. Sono convinto che gli piacerebbe. È meglio dell’Amarone. Adesso che sono a Udine devo scoprire i vini friulani».

Lasciare Verona è stato traumatico come se Ferguson fosse passato dallo United al City?

«Beh, dopo 6 anni è stata dura, Ho iniziato con loro dalla Lega Pro e siamo arrivati fino alla Serie A. Verona è la mia seconda casa, ma al Chievo non sarei mai passato, piuttosto tornavo in Islanda».

Da Toni a Di Natale, sta scoprendo il segreto degli Immortali.

«Non credo di riuscirci. Sono campioni, gente che ha qualcosa più degli altri. Ma se sono a Udine è perché voglio migliorare come giocatore e mettermi in vetrina al meglio per l’Europeo, visto che ora torno a giocare nel centrocampo a tre che preferisco».

Mai trovato un allenatore come Ferguson che tira le scarpette ai calciatori come ha fatto lui con Beckham?

«Mai, però ho trovato un allenatore che è venuto ad abitare sul mio pianerottolo: Mandorlini. Strano, no?Scherzi a parte, leggendo il libro credo di non aver trovato mai un tecnico con la personalità di Ferguson e la sua visione di squadra. Lui è un fenomeno, e mi piace soprattutto quando dice che il suo primo obiettivo è far crescere dei giovani da portare in prima squadra. Dovrebbero fare tutti così».

Ferguson esprime anche due concetti scomodi. Il primo: un allenatore non può guadagnare meno di un proprio calciatore. È d’accordo?

«Forse no. Mi pare una forzatura».

Il secondo: la cosa più importante è il controllo, ai giocatori piacciono gli allenatori duri.

«Credo ci debba essere un buon equilibrio. Con me magari puoi essere duro, con un mio compagno occorre essere diverso. Non siamo tutti uguali».

Ha fatto scalpore lo scarso feeling di Sir Alex con Raiola: cosa ne pensa dei procuratori nel calcio?

«Sono importanti, ma è esagerato che gli sia dia tanta pubblicità. Ciò che conta sono i calciatori».

Nel libro si ricorda come la più grande delusione per Ferguson fu quando perse lo scudetto allo sprint col City di Mancini: invece la sua?

«Quando perdemmo gli spareggi con la Croazia per andare al Mondiale. Ma fu brutto anche vivere la seconda stagione con la Reggina, cambiavano tanti allenatori e non mi facevano mai giocare».

Sappiamo che a Reggio Calabria non è stato bene.

«Sì, per un insieme di cose. Innanzitutto il sole. Non avevo mai giocato fuori dall’Islanda e da noi in estate al massimo ci sono 20 gradi. In Calabria si andava in campo anche con 40 e mi venivano i colpi di sole, diventavo tutto rosso e qualche volta mi sentivo male. Se le cose calcisticamente fossero andate bene adesso avrei un ricordo migliore, però anche per la mentalità non ero a mio agio, tant’è che ad un certo punto dissi al mio agente: “Via da questo Paese, magari andiamo anche in Serie B però qui non ci voglio più stare”. E così passai al Burnsley, nella Seconda serie inglese, ma non fu una buona idea. Così tornai e andai a Verona, scoprendo un’altra realtà, un’altra Italia».

C’è tanta differenza fra Nord e Sud?

«Sì, ce n’è, ma c’è anche fra Italia e Islanda, e io qui mi trovo benissimo».

Ferguson si è espresso in modo contrario alla secessione della Scozia dal Regno Unito; anche qui da noi c’è chi vorrebbe dividere il Settentrione dal Meridione.

«Io no, l’Italia sta bene così».

Da noi dicono che lei sia migliorato anche come chitarrista, però pare che non voglia mai suonare davanti ai suoi compagni.

«Costo caro. A loro chiedo almeno 15.000 euro a serata... Scherzi a parte, quando siamo stati promossi in Serie A col Verona ho suonato “Baby one more time” di Britney Spears e pare sia piaciuta. Ma tutti vorrebbero sentire due canzoni che ho scritto con un mio amico. Si chiamano: “The London song” e “The Malmoe song”. La prima è un pezzo folk, nell’altra c’è del rap, entrambe hanno testi scherzosi, però quelle non le faccio ascoltare a nessuno, le suono solo a mia moglie».

Sarà il caso di scrivere canzoni anche per delle città italiane.

«Per Reggio Calabria no, non se la merita. Dovrò scriverla per Verona e Udine. Comunque so che in Islanda gira un video di una canzone che ho suonato e cantato per mia moglie il giorno del matrimonio. Era “To love somebody” dei Bee Gees. I ragazzi per ora si accontentino di quella».

Aveva promesso che, se l’Islanda fosse andata all’Europeo, lei avrebbe suonato in pubblico, magari a Parigi: le tocca.

«Davvero avevo detto questo? Non lo scriva, altrimenti me lo fanno fare».

Che prospettive avete?

«Abbiamo da affrontare Portogallo, Austria e Ungheria e possiamo essere la sorpresa del girone, ma non dobbiamo mollare neanche per un minuto. Vogliamo soprattutto divertirci. Hai visto mai che, se passiamo, incontriamo l’Italia? Era il mio sogno trovarla nella prima fase. Per noi sarebbe dura perché non vi vedo punti deboli, ma a studiarvi penserà il nostro allenatore».

Si metta in gioco: che cosa si sente di promettere se l’Islanda diventasse davvero la sorpresa dell’Europeo?

«Mi arrendo: se arriviamo in semifinale, stavolta la nuotata con gli squali la faccio davvero. Che dice, può bastare?». Persino un duro come Ferguson rimarrebbe a bocca aperta.