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 2016  marzo 02 Mercoledì calendario

IL SEGRETO DEI BAMBINI PRODIGIO


Wolfgang Amadeus Mozart, il wunderkind della musica classica per antonomasia, avrebbe compiuto 261 anni nel gennaio scorso. Morì a soli 35 anni, ma dopo aver composto 61 sinfonie, 49 concerti, 23 opere, 17 messe e moltissima altra musica. Si dice che componesse ancora sul letto di morte. Ma sia nella dozzina delle principali biografie che gli sono state dedicate sia nel film Amadeus del 1984, quello che più ha colpito la fantasia popolare sono le imprese del Mozart fanciullo.
Come racconta lo storico Paul Johnson nella biografia Mozart: a life, cominciò a suonare il pianoforte a quattro anni e a cinque già componeva. L’anno dopo, suonò davanti all’Imperatrice del Sacro Romano Impero, una Asburgo, e alla figlia Marie Antoniette, che era portata per la musica. A sette anni compì un tour della Germania e suonò in una cena di gala per Luigi XV a Parigi, e a 14 aveva già composto un’opera lirica. Insomma, all’età in cui oggi un ragazzo potrebbe iscriversi al liceo, Mozart aveva già realizzato più di quanto uno dei suoi contemporanei poteva sperare di fare in una lunga carriera di compositore.

Il ruolo dell’ambiente...
Come si spiegano i bambini prodigio? Come può una persona arrivare a tanto così presto? Gli psicologi ne discutono da tempo. Un’opinione è che forse tutti, o quasi, potrebbero essere dei bambini prodigio, se trovassero l’ambiente giusto. Come ha sostenuto lo psicologo Michael Howe: «Con sufficiente energia e dedizione da parte dei genitori, è possibile che non sia poi tanto difficile produrre un bambino prodigio».
La presenza di opportunità del tutto fuori dal comune è in effetti un tema che si ripresenta nella biografia di tanti bambini prodigio. Il padre di Mozart, Leopold, era un insegnante di musica assai richiesto, e rinunciò a una promettente carriera di musicista per gestire quella del figlio. Più di recente, il padre di Tiger Wood lo ha introdotto al golf quando aveva due anni. E da bambine Venus e Serena Williams si trasferirono dalla California alla Florida con la famiglia per potersi allenare in un’accademia tennistica di alto livello.
Recenti ricerche però indicano che certe abilità cognitive di base, note per essere influenzate da fattori genetici, giocano anch’esse un ruolo nel dar luogo ai bambini prodigio.
Nel più ampio studio finora dedicato a essi, la psicologa Joanne Ruthsatz e i suoi colleghi hanno somministrato un test d’intelligenza standardizzato a 18 bambini prodigio: cinque artisti, otto musicisti e cinque matematici. La gamma dei QI nel campione era assai ampia, da 100 – il valore medio nella popolazione generale – a 147, ben oltre il livello di «altamente dotato». Con un valore medio di 140 (superiore a quello del 99 per cento della popolazione), però, quasi tutti i bambini prodigio sono andati straordinariamente bene nei test sulla memoria di lavoro.

... e quello della genetica
Un po’ come l’unità di elaborazione centrale di un computer, la memoria di lavoro è il sistema cognitivo responsabile per lo svolgimento delle operazioni mentali relative a compiti complessi come risoluzione dei problemi e comprensione del linguaggio. È quella che si usa nel calcolare mentalmente la mancia da lasciare al ristorante o nel tenere a mente i singoli passi di un’abilità complessa che si sta cercando di acquisire.
La memoria di lavoro si misura con dei test in cui bisogna sia ricordare per un breve periodo delle informazioni sia in qualche modo manipolarle. Per esempio, nel test di lunghezza della serie numerica inversa, si legge al soggetto una serie di cifre a caso, chiedendogli di ripetere le stesse cifre in ordine inverso. Quando la si misura con questi test, tra una persona e l’altra ci sono differenze sostanziali nella capacità della memoria di lavoro – c’è chi ce l’ha più grande e chi più piccola. E la variazione è seriamente influenzata da fattori genetici: le stime di ereditabilità si collocano tipicamente intorno al 50 per cento.
Con un punteggio medio pari a 148, i musicisti compresi nello studio di Ruthsatz avevano una memoria di lavoro particolarmente forte – la media per i prodigi in matematica era 135, e per quelli in campo artistico 132. Tutti e otto, in effetti, eguagliavano o superavano almeno il 99 per cento della popolazione, e quattro di essi eguagliavano o superavano almeno il 99,9 per cento di essa.
La probabilità che otto persone prese a caso facciano segnare dei punteggi così alti in questo test è essenzialmente pari a zero. Ruthsatz e colleghi hanno concluso che una cosa che hanno in comune i bambini prodigio, nei campi della musica, della matematica e delle arti, è un’ottima memoria di lavoro.

Concentrati e focalizzati
I bambini prodigio mostrano poi un’inusuale dedizione al proprio campo, quella che Ellen Winner, psicologa dello sviluppo, chiama la «furia di impadronirsene». Ecco come descrive i bambini che possiedono questa qualità: «Non si riesce a strappare questi bambini alle attività che riguardano il dominio cui afferisce il loro dono, che si tratti di uno strumento musicale, di un computer, di un blocco da disegno o di un libro di matematica. Hanno un fortissimo interesse per il campo per cui sono dotati, e quando lo studiano sono capaci di concentrarsi al punto di perdere la nozione del mondo esterno».
Winner sostiene che questa forma di concentrazione univoca è parte, più che causa, del talento innato: un incrocio di attitudini, interessi e spinte interiori, influenzati dalla sua costituzione genetica, che predispone una persona a dedicarsi ossessivamente a una certa attività. E «furia di impadronirsi» della musica è un’espressione che si può ben applicare alla personalità di Mozart. Nel suo fondamentale studio biografico di 301 personalità di genio, Catharine Cox notava che «già prima dei sei anni, la sola cosa che assorbiva l’interesse di Mozart era la musica; anche nei suoi giochi c’era sempre qualcosa di musicale».

Nascere o diventare
Coerente con le tesi di Winner è un recente studio su oltre 10.000 gemelli di Miriam Mosing, Fredrik Ullén e colleghi del Karolinska Institute in Svezia, che rivela che uno stesso insieme di geni influenza sia l’attitudine musicale sia la propensione a esercitarsi – un esempio del fenomeno della «pleiotropia» dei geni, che si ha quando un gene (o un gruppo di geni) influenza vari tratti diversi.
Nel loro insieme, queste scoperte si aggiungono a una crescente mole di evidenze che indica che prestazioni e risultati eccezionali, in musica, nelle arti, nello sport, nella scienza e in altri domini complessi, sono essenzialmente, determinati da una molteplicità di aspetti – sia da fattori ambientali sia da tratti influenzati dalla genetica. Più in generale, gli psicologi che studiano le capacità di alto livello si stanno lasciando alle spalle la questione se abili si nasca o si diventi. Per dirla con lo psicologo Jonathan Wai, si fa sempre più chiaro che «si nasce bravi, e poi si costruisce».