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 2016  febbraio 27 Sabato calendario

QUANDO L’AMORE FINISCE


Anna Karenina: una delle tante che in amore hanno preso una cantonata clamorosa. L’eroina di Tolstoj ha confuso un piacevole diversivo – il flirt con quel bellimbusto di Vronskij – con l’amore della vita. E non è l’unica. Si potrebbe stilare un corposo elenco partendo da Emma Bovary e passando per Rossella O’Hara, Marilyn Monroe, Liz Taylor (anche se in questo caso temo si trattasse di sindrome da sposa seriale). Eppure, se la Karenina avesse letto lo studio realizzato dall’University College di Londra e dalla Binghamton University dello Stato di New York, non avrebbe temuto la rottura con Vronskij. Certa di non macerarsi per l’intera esistenza, ma solo per qualche mese. Sei, al massimo.
La ricerca ha preso in considerazione 5.705 persone di 96 nazioni diverse. A ciascuna è stato chiesto delle sue relazioni amorose. Lo studio ha evidenziato che sono le donne a soffrire di più quando una relazione finisce, ma anche che in seguito riescono a focalizzarsi su nuovi obiettivi con maggiore serenità, perché sanno elaborare la sofferenza, trasformandola in forza emotiva. Sul lungo termine, insomma, è lui a passarsela peggio. L’uomo, che in certi casi sa essere così meravigliosamente deciso, che sa guardare la realtà nei suoi contorni netti, alla fine dentro quei contorni rimane imprigionato. Non si mette in discussione, non coglie le sfumature. E continua a soffrire, anche a distanza di molto tempo.
Secondo la ricerca, su una scala da 1 a 10 il dolore provato da una donna subito dopo una separazione ha un coefficiente di 4,21, contro il 3,75 degli uomini. La sofferenza e l’amore abitano nella stessa casa: il cuore. Il nostro cuore palpita; qualcuno lo prende, lo rapisce; è il cuore a struggersi, a essere spezzato. Il cuore, luogo centrale del corpo, è un’immagine con una portata simbolica senza tempo. Ma c’è anche un fatto: l’amore, che ci crediamo o no, è una questione vitale. Da esso dipende la felicità. Spiega Craig Morris, autore principale della ricerca: «Le donne si sono evolute in modo tale da investire in una relazione molto di più di quanto non facciano gli uomini», dice. «Una breve storia romantica potrebbe portare a una gravidanza, seguita da lunghi periodi di allattamento: è un investimento biologico importante, mentre l’uomo può letteralmente lasciare la scena un attimo dopo, senza alcun investimento ulteriore. Quindi la fine di una storia con un buon compagno fa più male a lei che a lui, ovvio». Non solo. «Ogni relazione per le donne è un progetto di vita, fatto di affinità e intenti comuni», spiega la psicologa Chiara Simonelli, docente all’Università La Sapienza di Roma. «Per una donna è normale spostare il baricentro verso un “noi” ideale», specifica Simonelli. Per l’uomo esiste solo – un po’ come a Risiko – “l’annessione della Kamchatka”, ovvero “tu diventi una parte del mio mondo”. Quando veniamo lasciate – o, esasperate, lo lasciamo noi – sperimentiamo un crollo totale.
Piangiamo, soffriamo, qualcuna si rifugia nel cibo, ad altre non importa più del lavoro né dell’aspetto. Bridget Jones docet: una coperta la avvolge dalla testa ai piedi come un bozzolo. Usiamo «la rabbia come sentimento di protezione» (così suggerisce Giulio Cesare Zavattini, membro della Società psicoanalitica italiana). C’è chi apre un finto profilo Facebook con ridicoli nickname da escort (Zoe Zenith, Calandra Smithson...) per spiare l’uomo che l’ha lasciata. L’eccesso dice del dolore che ancora proviamo. «Le rotture sono importanti: la maggior parte di noi ne sperimenterà in media tre entro i 30 anni, con almeno una che avrà un impatto così forte da intaccare la nostra qualità di vita per mesi se non per anni», continua Morris. «Eppure non è detto che separarsi sia un fatto negativo», sostiene Zavattini. La sofferenza dirompente costringe a mettere le carte sul tavolo. A svelarci, a conoscerci meglio, forse a scoprire nel tempo una sicurezza nuova. «Una persona sicura si raffigura come amabile, e ha fiducia di trovare qualcuno che sia possibile amare». La separazione cessa di essere irreparabile. Le donne dialogano col dolore. Col cesello della loro intelligenza psicologica lavorano sull’accettazione e vanno incontro al futuro con un nuovo senso di pienezza. Hanno investito tanto, hanno sofferto tanto. Ma sono rinate. E lui?
«Poiché gli uomini si sono evoluti per competere nell’accaparrarsi soprattutto l’attenzione romantica delle donne, la perdita di una partner di qualità per lui non fa così male, almeno all’inizio», continua Greg Morris. «Molto probabilmente l’uomo proverà una senso di perdita profondo, e lo proverà a lungo, quando realizzerà che deve di nuovo mettersi in gioco, ricominciare da capo per ritrovare quello che ha perduto. O, peggio ancora, quando capirà che quanto è stato perso non è sostituibile».
Nella terza stagione di Mad Men, la celebre serie americana, Don Draper, brillante pubblicitario e traditore seriale, viene lasciato dalla moglie Betty. La reazione iniziale è di totale stupore. «Per gli uomini spesso il momento del “basta” è un fulmine a ciel sereno», dice Chiara Simonelli. «Non ci credono. Quando capiscono che la rottura è definitiva si disperano. La ferita rimane aperta, anche se cercano di dissimulare». Don Draper si consola con numerose amanti, ma puntata dopo puntata sono più i drink che beve delle battute che pronuncia. «Gli uomini sentono che è stato infranto un senso d’appartenenza», dice Zavattini. «La fine è sempre un fallimento. Per molti è difficile accettare di avere commesso degli errori, e per un po’ proferiscono negare. Ecco che allora, a lungo temine, possono emergere reazioni depressive in chi non riesce a ricostruire un legame». Un altro modo di precipitare (Betty Draper nel frattempo si è risposata).
Che lasci o venga lasciato, l’uomo soffre profondamente. Ma con tempi diversi dalla donna. Per la psicoterapeuta Elodie Congal, gli uomini sono più fragili davanti alla solitudine. Fingono forza, capacità di superamento, perché hanno bisogno di ricostruire al più presto la sicurezza che dà la coppia. È per questo che l’uomo passa più velocemente a un’altra relazione. «In alcuni», sostiene Chiara Simonelli, «sorge un sentimento di vendetta: cercano una donna che sia l’opposto di quella di prima, con gusti e abitudini del tutto diverse». Una compensazione al senso di rifiuto. La verità è che, in molti casi, l’uomo resta legato alla partner precedente. Un sentimento che lo segue silenzioso, senza che lui se ne accorga. Un legame che non è stato reciso, una fine non elaborata. Ogni nuovo trasporto ha dentro una punta di dolore, una malinconia congenita.
Ecco perché in molti la sofferenza, inascoltata prima, torna a farsi sentire poi come un’eco imprevista.