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 2016  febbraio 27 Sabato calendario

ARTICOLI SU INFANTINO PER IL FOGLIO ROSA


FABIO LICARI, LA GAZZETTA DELLO SPORT 27/2 –
«In che lingua prendiamo le decisioni all’Uefa? Se parliamo diplomaticamente, in francese. Se ci arrabbiamo, in italiano: le parolacce vengono meglio». Così Gianni Infantino raccontò un giorno l’«italian connection» ai vertici dell’Uefa, da Michel Platini in giù. Infantino è nato in Svizzera, a Brig, 9 chilometri dalla città di Blatter. Ma le radici sono italiane e anche lui, dentro, si sente italiano a tutti gli effetti. Il papà, scomparso qualche anno fa, era calabrese, controllore di treno. La mamma arrivava dalla Valcamonica e faceva l’edicolante in stazione. Era destino, complice la carta stampata, che si conoscessero lì, emigrati in Svizzera. Gianni nasce il 20 marzo 1970. Rivela: «Da piccolo, per vederli, andavo lì e mentre aspettavo divoravo la Gazzetta: ho studiato l’italiano così».
Aspettando e lavorando: perché di soldi non ce n’erano tanti e, per pagarsi gli studi, Infantino pulisce carrozze e vagoni letto, e aiuta la mamma nel chiosco, tra giornali e cioccolata svizzera. Gli piace il calcio, ma non è un fenomeno: «No, non sapevo proprio come fare». Ha spazio nella Folgore, squadra per soli italiani del vallese: «Giocavo soltanto perché papà faceva l’allenatore e mamma lavava le maglie». Ruolo? «Dove mancava qualcuno. Nella partita della promozione dall’ultima alla penultima serie sono entrato a cinque minuti dalla fine: sul 4-1 non potevo più far danni».
Molto meglio gli studi. Infantino si laurea in legge a Friburgo e diventa avvocato di diritto sportivo all’Università di Neuchatel, lavorando per il Cies (Centro internazionale studi sportivi). Comincia a collaborare con la Figc, la federazione svizzera e la Lega spagnola. Parla indifferentemente cinque lingue, italiano, tedesco, inglese, spagnolo, francese, mastica un po’ di arabo e si sente cittadino del mondo. Anche perché ha una moglie libanese, da cui ha avuto quattro figli.
Entra nell’Uefa nel 2000 e la sua scalata è inarrestabile: direttore degli affari legali nel 2004, segretario generale nel 2009. Diventa braccio destro di Platini, al quale però non ha il coraggio di rivelare subito un «segreto»: il suo idolo giovanile era Evaristo Beccalossi… Da bambino, il papà lo portava la domenica a San Siro e in campo c’erano Altobelli e Beccalossi. In stanza, in bella mostra, il poster del «10» nerazzurro, «uno che faceva girare la squadra, un po’ fuori dai giochi, Bearzot non lo convocava: soffriva quasi come un emigrante».
All’Uefa è l’architetto del fair play finanziario. Negli anni conquista autorità e potere, diventa famoso perché gestisce i sorteggi in diretta tv, ma la presidenza della Fifa non l’avrebbe neanche sognata se Platini non fosse stato squalificato. La decisione di candidarsi ha rischiato di compromettere i rapporti tra i due, ma negli ultimi tempi c’è stato il riavvicinamento. E Platini spera sempre nel Tas per restare presidente Uefa.

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ENRICO CURRO, LA REPUBBLICA 27/2 –
Per la prima volta in 114 anni di storia della Fifa, a capo del governo del calcio mondiale c’è un italiano, anche se è nato e cresciuto in Svizzera. L’onore, con gli annessi e notevoli oneri, va all’avvocato Gianni Infantino, 46 anni, nato appunto a Briga, figlio di italiani emigrati negli Anni Sessanta, segretario generale dell’Uefa dal 2009. Infantino prende le redini nel momento più delicato, dopo il ciclone delle inchieste che hanno spazzato via i 18 anni di dittatura di Sepp Blatter. L’ex tiranno in esilio forzato, svizzero dello stesso cantone del successore, il Vallese, ma dell’opposto schieramento elettorale, tifava per Salman bin Ibrahim Al Khalifa, sceicco del Bahrein, mentre Infantino è un allievo del presidente dell’Uefa Platini, sospeso a sua volta e tuttavia vincitore morale delle elezioni.
E’ stato, in verità, un successo dell’Europa (e un po’ anche del Sudamerica) contro la minaccia della periferia. «Ha vinto il continente dove si gioca sul serio», ha sintetizzato il presidente della Figc Tavecchio: Al Khalifa era visto come un sacrilego, portatore di contraddizioni politiche, economiche, perfino religiose. Lo sceicco era dato in vantaggio fino a due giorni fa, malgrado il carico di incognite. In Bahrein, piccolo paese del Golfo Persico, il calcio è una copia malriuscita dell’originale. Al Khalifa, musulmano sunnita, appartiene alla famiglia regnante di un paese a maggioranza sciita, nel Medio Oriente epicentro delle guerre in nome della fede. E’ un esponente della ricca casta dei miliardari arabi nello sport: il Qatar è padrone del Psg e ha ottenuto i controversi Mondiali 2022, gli Emirati hanno il Manchester City, il Bahrein un gran premio di F1, oltre a progettare nel ciclismo una supersquadra con Nibali.
Ha pesato in parte l’ombra della violazione dei diritti umani: su Al Khalifa, membro della famiglia reale, grava il sospetto di connivenza nella repressione del 2011 contro gli oppositori sciiti per avere tollerato, durante la primavera araba, l’arresto e la tortura di alcuni sportivi. Ieri mattina, davanti all’Hallenstadion, un gruppo di dissidenti del governo del Bahrein ha esposto uno striscione con le foto delle torture, al grido “Salman dittatore”. L’immagine è oggi, per la Fifa, il problema prioritario. Prima del voto, il congresso ha approvato con l’89% a favore le riforme: il limite dei 3 mandati consecutivi di 4 anni per tutti i dirigenti, un consiglio allargato con la presenza obbligatoria di almeno 6 donne (una per confederazione), la pubblicazione degli stipendi, una severa commissione di controllo e soprattutto la separazione delle funzioni politiche e amministrative, deterrente al conflitto d’interessi.
Fin dalla prima votazione delle 207 federazioni ammesse – mancavano solo per ragioni disciplinari il suddetto Kuwait e l’Indonesia – si è capito che qualcosa si era già mosso dietro le quinte, come la presenza a Zurigo di alcuni esponenti del governo del Kuwait, pronti a indebolire l’altro sceicco Ahmad Al Sabah, influente membro Cio e garante politico di Al Khalifa, in disgrazia però in patria. Infantino è scattato subito in testa: 88 a 85. Il sudafricano Sexwale si è ritirato all’ultimo istante, il francese Champagne ha incassato 7 voti e sono diventati determinanti i 27 di Ali Hussein, il principe giordano idealista. Quelli del Nordafrica sono stati dirottati al secondo, decisivo scrutinio (115-88) verso Infantino dall’abile lavoro della federazione egiziana. Non sarebbe strano se il suo presidente, Gamal Allam, diventasse segretario generale, ruolo operativo di accresciuta importanza, dopo l’approvazione delle riforme. Se la Fifa decapitata dagli scandali ha ritrovato la testa, il vuoto di potere si è trasferito all’Uefa, associazione senza presidente e segretario generale. “Il nostro presidente è sempre Platini”. Parola di Zibì Boniek, presidente della federazione polacca e tra i più seri candidato, col presidente portoghese Fernando Gomes, alla successione dell’ex compagno dei tempi della Juve.

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FABRIZIO BOCCA, LA REPUBLICA 27/2 –
Soldi. La Fifa non è un’associazione filantropica: in 4 anni ha fatturato e distribuito 6 miliardi di dollari. Nessun può fare il cavaliere bianco, il calcio è il Paradiso e la Spectre insieme. Il nuovo presidente Infantino dovrà dunque inzaccherarsi gli stivali e mettere mano a corruzione, rapporti proibiti, rendere trasparente - possibile? - il flusso miliardario. Un mare inquinato dove Blatter nuotava magnificamente. E infatti quando l’FBI lo ha detronizzato ne ha trascinati con sé parecchi, compreso Platini. Di cui Infantino è stato braccio destro all’Uefa, altra associazione non proprio filantropica. Prime parole “rinnovamento” e “bambini”. Bello, ma può uno cominciare con un cinico: decideranno i soldi? Infantino per tutti è l’ex regista dei sorteggi Uefa. Se Roma e Juve si sono prese Real e Bayern lo devono alla sfortuna, ma un po’ anche a lui. Il sorteggio è una palestra di megapresidenti: e infatti Blatter, prima di diventare n.1 Fifa, era una formidabile prestigiatore di palline. Poi da Risiko passi alla Nato. Il calcio ha fallito il sogno di affidarsi ai campioni. Con Maradona o Cantona sarebbe stato complicato e purtroppo anche Platini ha avuto le stesse debolezze di chi combatteva. Il pallone è una multinazionale del business e dunque lo fanno girare i supermanager. Infantino non è stato eletto dai grandi club europei cui è vicino, quanto dalle piccole nazioni dell’Africa o dell’Asia, ma comunque da lì viene. La TV ha reso il calcio il più grande e ricco show del mondo. In Germania la finale di Brasile 2014 tra Germania, poi campione, e Argentina raggiunse l’86% di share e 35 milioni di spettatori. (E infatti Infantino farà un Mondiale Circo a 40 squadre). Non c’è Oscar, Superbowl, concerto di Beyoncé o discorso del Papa che tenga. Da oggi il nuovo presidente se la vedrà col nostro Tavecchio, ma pure con Obama e Putin. La Fifa ha 209 nazioni iscritte, l’Onu 193.

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E.CU, LA REPUBBLICA 27/2 –
Poiché il treno è nel destino del decimo presidente della Fifa, che racconta di essere cresciuto alla stazione di Briga mamma Maria dalla Valcamonica aveva un chiosco di giornali, papà Vincenzo da Reggio Calabria lavorava nelle carrozze letto e lui stesso si è pagato gli studi anche pulendo i vagoni - è in linea con la tradizione la scena della famiglia Infantino che raggiunge in ferrovia Zurigo. La foto non ritrae 3 delle 4 figlie, né la moglie libanese. Mamma Maria, però, sì, e le sorelle Daniela e Mirela, il fratello Daniel e Alessia, la figlia che sorride orgogliosa mentre gli altri srotolano un piccolo striscione. L’aggettivo orgoglioso è scritto in tedesco, l’avverbio molto è italiano, soggetto e verbo sono inglesi. “Gianni, we are molto stolz”. Infantino, che parla sei lingue incluso l’arabo, salendo sul palco dell’Hallenstadion per l’ultimo discorso elettorale, si è esibito in inglese, francese, tedesco, spagnolo e ovviamente italiano. «Se parlo col cuore, parlo la lingua dei miei genitori». Forse il messaggio era anche un’apertura al Coni, che teme, data la sua amicizia con Platini, il voto del futuro membro Cio, nella corsa olimpica per il 2024 di Roma, con Parigi e Los Angeles. Il neoletto è uno pragmatico. Quando ha saputo che avrebbe gareggiato al posto di Platini, si è rimboccato le maniche, ha viaggiato ovunque e ha evidentemente convinto parecchi presidenti. Le parole più convincenti sono state sui soldi. «Non appartengono alle persone, ma al calcio, ai bambini di tutto il mondo che sono felici se rincorrono il pallone. Se la Fifa ha introiti per 5 miliardi in 4 anni, non vedo perché 1,2 non possano andare alle federazioni. L’Uefa si è arricchita, malgrado la crisi economica». I conti che non gli tornano li ha illustrati in privato: i 474 dipendenti costano 115 milioni di dollari in personale, per le riunioni del 2014 ne sono stati spesi 35. Non licenzierà, ma risparmierà di sicuro. Il resto sono le parole di un uomo che della propria etichetta – non è un politico – fa un vanto. «Mi butto subito sul lavoro. Bisogna fare in modo che tutti tornino a essere fieri della Fifa. Il mio mandato scade nel 2019, poi si vedrà. Non è vero che l’Africa è divisa. Il calcio costruisce ponti, non muri: sono qui per questo». Anche il presidente della Reggina, Mimmo Praticò, era a Zurigo per festeggiare l’italiano di Svizzera, che tornerà a Reggio da presidente della Fifa. Come sognava. (e. cu.)

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MARIO SCONCERTI, CORRIERE DELLA SERA 27/2 –
Gianni Infantino è una garanzia di competenza e almeno una speranza di onestà collettiva. Più difficile capire quanto la Fifa voglia rinnovarsi davvero. Infantino dovrà gestire adesso non solo un consesso inquieto, ma tutto un mondo che ha voglia di emergere. L’Asia con i suoi nuovi soldi, l’Africa con il suo nuovo peso tecnico, il Sud America che si è sentito trascurato dall’Europa negli ultimi venti anni. Infantino rappresenta la forza e il fascino del vecchio calcio europeo, i padri fondatori e l’unica merce davvero universale. Ma sa che se vorrà lottare contro la corruzione dovrà essere il presidente di tutti. Ha una forza che Blatter non aveva nonostante tutti i suoi trucchi: la consapevolezza che tutto il calcio sa di dover cambiare. Il vero problema è come. Il calcio è una delle aziende più forti al mondo con due vantaggi fondamentali: i suoi mercati si aprono senza costi di produzione, basta accendere un televisore in un qualunque Paese per raggiungere i «clienti». Il secondo è che, come i generi alimentari, non risente delle mode, è una necessità. Genera cioè ricchezza spontanea e infinita, come le tentazioni che ne conseguono. Infantino, dalla vecchia Europa, può però partire come Alessandro verso un sogno universale. Il calcio di Blatter è finito perché non ha capito il tempo, l’ha voluto soltanto usare. Ma nonostante i suoi 150 anni e l’uso continuo che ne viene fatto, il calcio è alle soglie di una nuova rivoluzione industriale. Per la prima volta stanno arrivando i mercati più ricchi e popolosi del pianeta: la Cina, l’India, il Giappone, gli Stati Uniti. Miliardi di nuovi utenti, un’organizzazione che non basterà allargare, sarà per forza da rifondare. È questo spazio illimitato la vera forza di Infantino. Potrà far pesare le idee almeno quanto i soldi, le uno varranno gli altri. E la necessità di esserci, di stare dentro al nuovo mondo, sarà forse per tutti la condanna a una maggiore onestà.

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GAIA PICCARDI, CORRIERE DELLA SERA 27/2 –
Sesso, Fifa e rock’n’roll. Alle sei de la tarde, in un clima sbracato e frivolo da post-concerto, nella pancia dell’Hallenstadion che ha ospitato Pink Floyd e Queen l’avvocato si aggira con aria emozionata e satolla. Gianni Infantino, 45 anni, è il traghettatore del dopo Blatter: raccoglie il mandato dal reuccio terremotato dagli eventi, cui è stato chiesto di andarsene dall’appartamento pagato dalla Fifa, e interrompe con un contropiede da manuale allo sceicco del Bahrein l’era delle dittature, perché il pallone possa ricominciare a rotolare. L’Europa respinge l’assalto del Golfo Persico, cui ha immolato il Mondiale 2022 (Qatar, tra le polemiche) e si tiene stretta il calcio, quel gioco semplice e bellissimo entrato, per peccato di bramosia, nei faldoni della Procura svizzera e dell’Fbi.
«La vittoria del cuore. Quante ore ho per esprimere le mie emozioni?» ricaccia indietro le lacrime il tenero Gianni sdoganato dai guai di Michel Platini alla fine di questa favola in cui il delfino si fa crescere i denti e sbrana il pescecane fiocinato dalla squalifica di 6 anni, perché se agli Usa non fosse saltata la mosca al naso per la doppia assegnazione dei Mondiali 2018/2022 oggi le Roi entrerebbe a Fifastrasse 20 da padrone e Infantino continuerebbe a reggere le sorti dell’Uefa, la potente Confederazione europea che l’ha votato in blocco, il modello virtuoso su cui plasmare una Fifa spaccata (metà Africa voleva lo sceicco) e piena di lividi (550 milioni di dollari di ritardo sugli obiettivi finanziari fino al 2018, contratti di sponsorizzazione da rinnovare, una perdita di almeno 100 milioni attesa nel prossimo report), ma lucida abbastanza da comprendere che era il momento di mandare un segnale, un palpito di vita.
Il volto livido di Salman bin Ibrahim al Khalifa, grande favorito della vigilia, dopo la prima votazione (88 a 85 per Infantino) è stato la spia di un malessere arrivato al livello di guardia: lo sceicco era considerato un’emanazione Blatteriana, un tentativo di cambiare tutto per non cambiare niente, una pericolosa apertura verso l’Asia e i suoi fanatismi, il mercato del futuro che può attendere ancora per un po’. Con la regia decisiva del principe Al Hussein di Giordania (i suoi 27 voti, più i 7 di Champagne, con Conmebol, parte di Caf e Asia sono confluiti verso lo svizzero), Infantino ha dilagato nella seconda votazione, finita 115 a 88.
È il successo postumo di Platini («Lo ringrazio per ciò che mi ha insegnato» dice Gianni), che nel 2015 appoggiò Al Hussein contro Blatter. È il trionfo del bambino umile innamorato del calcio, figlio di emigrati negli anni Sessanta appena al di là di Domodossola (papà lavorava sui treni, mamma aveva un chiosco di giornali), tifoso di Altobelli e Beccalossi, stregato dagli eroi del Mundial ‘82 che proverà a chiamare in quella squadra di Legends cui vorrebbe affidare il ruolo di testimonial. «Si apre una nuova era, vi renderò fieri di questa Fifa». Vuole il Mondiale a 40 squadre, promette 5 milioni di dollari in 4 anni alle Federazioni, avrà un segretario non europeo. Putin gli manda un telegramma, Maradona lo insulta. Ma che importa: dopo le manette e il fango, si ricomincia a giocare.
Gaia Piccardi

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GUIDO DE CAROLIS, CORRIERE DELLA SERA 27/2 – 
La guerra è vinta, il successo totale. La salita al soglio del calcio di Gianni Infantino è festeggiata con gaudium magnum dalle federazioni del vecchio continente. Aver scelto una guida europea è la santificazione del modello Uefa: pochi scandali e molti introiti. Il presidente della Figc Carlo Tavecchio è stato chiaro. «Per l’Italia è una vittoria per 2-0. Il primo gol l’abbiamo segnato a maggio scorso non votando Blatter, l’altra rete schierandoci in modo deciso con Infantino. Il nuovo presidente ha sangue italiano e non può che farci piacere. Mi auguro possa guidare la Fifa in una nuova era, il calcio deve recuperare credibilità. C’è bisogno di continuare il processo di riforme cominciato qui e l’Italia è a disposizione per contribuire. Ha vinto un’idea e un progetto espressione di Paesi e confederazioni che hanno il calcio nel dna».
L’Uefa esce con la Coppa del Mondo tra le mani, ora si apre un vuoto di potere nel calcio europeo, orfano del presidente Michel Platini e pure del segretario Infantino. Non si andrà a elezioni subito, però la settimana prossima il comitato esecutivo che si riunirà a Nyon dovrà nominare il greco Theodore Theodoridis segretario ad interim. Il 3 maggio è fissato un congresso straordinario a Budapest e non sarà quella la sede e la data per eleggere un nuovo presidente. Bisognerà attendere il giudizio del Tas su Platini, squalificato per 6 anni dalla Fifa per aver ricevuto 1,8 milioni da Blatter nel 2011. Zbigniew Boniek, ex compagno del francese alla Juve e oggi presidente della Federcalcio polacca, ha ribadito la linea: «Infantino governerà per 12 anni la Fifa, non fa business, è un altro Platini. Michel dovrebbe stare al suo posto, perché l’Uefa un presidente ce l’ha ed è lui: lo aspettiamo. Ora vediamo le decisioni del Tas, spero non ci sia più un giudizio politico ma vera giustizia».
I tempi del Tas però non sono celeri e l’Uefa sarà costretta a presentarsi a Euro 2016 senza presidente né segretario. Se Platini sarà assolto tornerà nel suo ufficio di Nyon, se di contro la condanna resterà superiore a 3 anni toccherà indire nuove votazioni: probabilmente a fine settembre. E ci saranno in ballo due posti pesantissimi, due miliardi di euro di ricavi da gestire e una cassa con una liquidità di 530 milioni. In Uefa gli scenari cambiano in fretta e la compattezza mostrata a Zurigo non sarà più tale al momento di scegliere. Difficile possa esserci un presidente espressione di una delle cinque maggiori federazioni, l’Italia però come sistema Paese (tra tv e sponsor) è tra i contribuenti maggiori dell’Uefa e può strappare un posto di rilievo con un candidato di rilievo. Chiusa una partita si può già scaldarsi per l’altra.
Guido De Carolis

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PAOLO BRUSORIO, LA STAMPA 27/2 –
Il potere del calcio si sposta di 9,73 chilometri: quelli che ci sono da Visp a Briga. Due puntini nel mondo ma, per quello del pallone, i luoghi di nascita di Sepp Blatter e Gianni Infantino, il decimo e nuovo presidente della Fifa: il successore del Colonnello defenestrato dopo 4 mandati di fila e in castigo per i prossimi sei anni. Da uno svizzero a un altro svizzero, più che eleggere l’uomo più potente del calcio sembra di giocare ai Quattro Cantoni, ma le affinità tra i due (a parte un certo compiacimento nel cambiare lingua a seconda di chi fosse il destinatario del messaggio, tipica arte blatteriana), finiscono qui.
Infantino era l’underdog: vince alla seconda chiamata con 115 voti, ma già alla prima ha un sorriso largo quanto l’arco alpino che domina la sua Briga. Il grande sconfitto è lo sceicco Salman Al-Khalifa: entrato Papa è uscito dall’Hallenstadion meno che cardinale. Ha preso 88 voti, il resto sono pugnalate difficili da individuare. Il regista dell’operazione Infantino è stato il principe giordano Ali che ha messo a disposizione il suo pacchetto voti: più corposo del previsto, è finito nel paniere del segretario Uefa con sangue italiano e radici per conto di mamma a Reggio Calabria, di cui diventerà cittadino onorario.
La linea di Le Roi
Si può dire che abbia vinto la linea Platini? Forse. Di Michel, Infantino è stato il delfino per nove anni. Gli ha fatto da segretario e da eminenza grigia. L’uomo dei sorteggi per tutti, in realtà il grande tessitore della rete del suo ex presidente. Tanto abile da riannodare i fili pro domo sua non appena la condanna di Platini gli ha dato il via libera. A fine giornata ha un pensiero per il suo ex capo. «Lo ringrazio per tutto quello che ha fatto per me». Da spalla a attore principale, Infantino: con lui l’Europa si riprende quel ruolo di superpotenza perso con Blatter, terzomondista (per convenienza) a dispetto delle radici. Ora le gerarchie si riposizioneranno nel solco delle novità, la Fifa di Infantino non spenderà di meno, anzi. Il neo presidente fa le cifre: «Cinque milioni di dollari per le federazioni nei prossimi quattro anni». E poi il Mondiale a 40 squadre, uno degli asset principali del suo programma: gigantismo spacciato per ecumenismo. È il modo trasparente, almeno speriamo, di far partecipare al banchetto più paesi. Come nominare, forse, come segretario generale l’egiziano Gamal Allam. «Non dobbiamo costruire muri, ma ponti», la sua frase slogan. Come Platini ha allargato il prossimo Europeo a 24 squadre, così nei piani di Infantino c’è questo Mondiale taglie forti. Ecco il segno della continuità.
La posizione dell’Italia
Il nuovo presidente Fifa ha conquistato l’Europa prima ancora che il mondo. Il sostegno della sua confederazione è stato praticamente compatto e l’Italia ha giocato chiaro fin da subito. «Due a zero per noi. Continuiamo sulla via delle riforme, siamo a disposizione per contribuire a questo rinnovamento»: le parole sono del presidente federale Tavecchio, la speranza, non solo sua, di poter contare qualcosa di più dentro il calcio mondiale. E il mancato appoggio allo sceicco, forse dannoso in chiave Roma 2024, viene chiosato dal vice presidente Uefa Abete: «A volte è meglio consigliarsi da soli, che farsi consigliare dagli altri». C’era una partita da vincere, qui: Infantino ha trionfato e l’Europa esce a braccia alzate. Nel «suo piccolo», la Federcalcio anche.

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PAOLA ZONCA, LA STAMPA 27/2 –
La novità è che le venti squadre di calcio più potenti del mondo sono più forti dei petrodollari, un fronte che negli ultimi tempi ha perso poche sfide e che è abituato ad ottenere risultati in contanti. Ma stavolta c’è chi ha fatto lobby migliori.
A sorpresa Salman esce sconfitto, tradito dal suo stesso continente, dai voti rastrellati e poi gestiti dal principe Ali: un giordano che fa lo sgambetto a un bahreinita, un pezzo di Asia che ne affonda un altro. E non è certo la sola defezione del blocco visto che tra i 27 consensi del principe c’erano di certo altri fuoriusciti della confederazione di Salman. Faide geopolitiche e in questo caso pure personali visto che Ali ha pessimi rapporti con Salman.
Lo sgambetto del principe
Certe divisioni ci sono sempre state e non hanno impedito altre scalate. Il Qatar, non proprio amico del Bahrein, si è preso indisturbato un’enorme fetta del pallone in tv con Bein Sports. Campionati in esclusiva trasmessi in Francia e presto in Spagna grazie a diritti arpionati a suon di offerte impossibili.
Di solito quando i Paesi del Golfo vanno all’asta si assicurano l’obiettivo e l’Europa fatica a mantenere le posizioni. L’Etihad, compagnia area degli Emirati, ha comprato un pezzo di Alitalia, sempre sul fronte Qatar, il fondo Investment Authority (Qia) si è preso un quartiere di Milano e ha messo la bandiera sui grattacieli di Porta Nuova. Quando si muovono hanno sempre una posta piuttosto alta in mente e sanno condizionare il mercato. Il Bahrein ha pompato soldi dentro una Formula Uno in affanno per avere un Gran Premio in casa. L’America ha perso i Mondiali 2022 davanti a un Paese del Golfo, ancora il Qatar, e oggi si conquista una piccola rivincita. Di sponda, ma pur sempre un successo. Gli Usa hanno votato Ali al primo giro perché sono partner della Giordania in molti mondi, poi il capo della Federazione Gulati è passato davanti al banco di Infantino e ha annuito vistosamente. Non un cambio dell’ultimo minuto, ma un accordo sancito anche dal principe Ali.
Fronte alternativo
Salman non era stupito alla seconda conta, ma era scioccato alla prima. Conosce la logica e sapeva che la tendenza è seguire chi sta nella posizione dominante, solo che era convinto di esserci lui, forte del pronostico e dei fondi con cui stava per attirare sudamericani e altre realtà vacillanti, che erano pronti, eccome, a seguire l’onda. Invece no, ranghi molto più compatti del previsto e a serrare le fila da una parte la tela di Infantino foraggiato dall’Uefa e dall’altra il convincente potere del G20, un’aristocrazia finanziaria che proprio non era pronta a cedere spazio. Va bene importare capitali stranieri, vendere il Paris Saint Germain al Qatar ma proprio farsi gestire così lontano da casa, da gente che probabilmente ha interessi molto diversi è un’altra storia. Non votano i club certo, ma neanche stanno a guardare e infatti proprio nel periodo delle elezioni Fifa l’Eca, che rappresenta le società europee, prima si è rimessa a parlare di una Lega alternativa, poi ha dato il proprio appoggio a Infantino. Stavolta l’Europa, a ogni livello, ha deciso di reggere l’urto dei petrodollari. L’intenzione era nota, però era difficile prevedere che per una volta i fondi illimitati del Golfo non sarebbero bastati.

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FABIO LICARI, LA GAZZETTA DELLO SPORT 27/2 – 
Un «italiano» capo del calcio mondiale. Dopo il regno infinito di Sepp Blatter e quello ancora più lungo di Joao Havelange. Contro ogni previsione, quasi da outsider, perché è entrato in corsa soltanto all’ultimo minuto: quando s’è capito che Michel Platini (l’altro sconfitto come lo sceicco Salman Al-Khalifa) non avrebbe partecipato a un’elezione che, visti i risultati di ieri, avrebbe vinto facile. Gianni Infantino da Brig, 45 anni, svizzero ma soprattutto italiano, è il nuovo presidente Fifa. La rimonta è riuscita. Una svolta storica che, si spera, possa aprire una nuova era: «C’è da riportare la Fifa al calcio e il calcio alla Fifa», dice. Adesso sono cavoli del nuovo presidente: perché la crisi politica, finanziaria e di immagine della Fifa richiede una ricostruzione totale.
Infantino è il nono presidente della storia, se si esclude il camerunese Hayatou che ha gestito ad interim questi ultimi mesi di crisi. Nella seconda votazione, quando servivano 104 voti, ne ha presi addirittura 115: convogliando sul suo nome tutta l’Europa, il Sudamerica, quasi tutto il Nordamerica e un po’ d’Asia e d’Africa. Lo sceicco bahrenita Salman s’è fermato a 88. Ma già nel primo voto Infantino era in vantaggio di 3 punti, 88-85, segno che gli equilibri non erano quelli attesi della vigilia. Qualcuno ha tradito Salman, promettendogli voti poi non dati. Nessuno s’aspettava il successo di Infantino, escluso lo stesso interessato che, alla vigilia, era sicuro dei voti da tutti i continenti. Qualcosa è successo: tra Tokyo Sexwale, il principe Ali e il ruolo decisivo degli Usa.
Meglio riavvolgere il nastro al momento dei discorsi. Di gran lunga vince il sudafricano Tokyo Sexwale, il più vecchio, 62 anni, e il più brillante, ex compagno di prigione di Mandela, ricco imprenditore: però, alla fine, spiega che si ritira. Non lo dice, ma fa capire che darà l’appoggio, e i suoi 4/5 voti, a Infantino. L’«italiano» sfoggia le sue lingue, parla appassionatamente, gesticola, e conferma la promessa di distribuire gli utili. Tanti applausi per lui. Più sotto tono lo sceicco Salman, ma si sente sicuro. Restano in quattro candidati ma, si sa, è gara a due. Prima votazione, servono due terzi delle 207 federazioni votanti (138). Ed ecco la sorpresa: Infantino conduce 88-85, il principe giordano Ali si ferma a 27 e il francese Jerome Champagne a 7. È chiaro che Salman ha perso voti per strada, soprattutto dall’Africa. Nessuno però si ritira. Si passa al secondo voto.
E qui cominciano le manovre. Protagonista sembra il presidente federale statunitense Sunil Gulati che, alla fine del primo voto, prende sottobraccio Ali e lo porta fuori: Ali ha un serbatoio di 27 voti. Rientrano in sala e Gulati adesso va da Infantino. Parte un sms dalla platea: «Credo che Infantino vinca». E infatti allo spoglio non c’è gara: Champagne zero, Ali 4, Salman 88 con la faccia pietrificata, Infantino 115. Perde anche Al Sabah, lo sceicco del Kuwait che ha scelto di schierarsi con Salman. Infantino si alza in lacrime: la moglie fa saltare il protocollo, correndo ad abbracciarlo. Lui barcolla verso il palco, si batte il petto: «Devo ricostruire la Fifa. Ho viaggiato per tutto il mondo e continuerò. Lavoreremo tutti assieme».
Paura di un presidente arabo o comunque di un Paese lontano dal calcio? Veti incrociati? Di sicuro 23 voti di Ali, nemico dello sceicco che gli ha tolto il posto nell’Esecutivo Fifa, sono andati a Infantino. L’Europa lo ha votato compatta come il Sudamerica. Una decina di voti asiatici hanno completato l’opera, come quelli africani e soprattutto i nordamericani. Resterà in carica fino al 2019, almeno per il primo mandato. Che Fifa sarà quel giorno? Ancora assediata dalle procure? «Vorrei vedere una Fifa che investe sul calcio, la Lega dei Caraibi, le scuole in Africa, bambini che giocano a pallone in Oceania… Non ho paura della mia promessa: i soldi per le federazioni ci sono, la Fifa ha un bilancio di 5 miliardi e può distribuirne 1,2 per aiutare tutti. Parlerò con gli sponsor e la tv, i ricavi torneranno a crescere. Ho una certa esperienza, parlano i bilanci Uefa».
Nel suo programma elettorale, un Mondiale a 40 squadre, i 5 milioni di dollari a ogni federazione, i 40 milioni alle confederazioni. E poi l’apertura alla tecnologia: la settimana prossima presiederà l’International Board che dovrebbe approvare l’uso della tv in campo. Infantino riceve l’applauso dell’Eca, che però ripete il suo «no» a un allargamento del Mondiale, incompatibile con le esigenze dei club. Lo saluta anche il sindacato calciatori, ricordandogli però del discusso sistema trasferimenti che potrebbe «saltare». In Italia non tutti sono contenti, visto che il Coni propendeva per Salman (con vista su Roma 2024). Il bilancio Fifa è problematico. C’è da scegliere un segretario generale: non sarà europeo. Da Blatter arrivano gli auguri, purtroppo anche da Putin. A Platini, l’ex segretario Uefa dedica un grazie «e un forte pensiero per i nove anni di lavoro assieme».
E adesso cosa succede all’Uefa? La parola spetta al Tas: se libererà Platini dalle accuse, il francese tornerà il capo di Nyon. Altrimenti andranno indette nuove elezioni, probabilmente dopo l’Europeo. Si candiderebbero l’olandese Van Praag e il portoghese Gomes: questi i nomi «caldi» ora, poi chissà. Segretario, il greco Theodoridis. Si rafforzerà in ogni caso il legame Uefa-Fifa. Il mese prossimo Infantino presiederà il primo Consiglio (nuovo nome dell’Esecutivo), poi a maggio, a Città del Messico, il Congresso ordinario. Per ricostruire il pallone e ridare credibilità alla Fifa. Non sarà un’impresa facile.

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FABIO LICARI, LA GAZZETTA DELLO SPORT 27/2 –
Presidenti per non più di 12 anni. Meno commissioni. Più potere al segretario. Più partecipazione di giocatori, club, leghe. All’improvviso le 207 federazioni mondiali scoprono di voler cambiare la Fifa e approvano le riforme anticorruzione in blocco, a larghissima maggioranza, altro che legge Cirinnà. Senza aspettare la nomina del nuovo presidente, l’89% dei votanti in mattinata dice «sì» agli attesi cambi degli Statuti (che però non serviranno a niente se gli uomini nelle istituzioni agiranno come prima). Erano giorni che la Fifa lanciava alle federazioni appelli insistenti, così insistenti da sembrare sospetti. Cosa c’è dietro la fretta? La paura dell’Interpol.
Al momento, gli investigatori che stanno ribaltando il potere del calcio considerano la Fifa «vittima» della corruzione e degli scandali. Ma gli sviluppi delle indagini, e nuove scoperte legate alle transazioni bancarie sospette legate a Russia 2018 e Qatar 2022, potrebbero cambiare gli scenari. La Fifa diventerebbe «complice» in questa storiaccia: con effetti disastrosi dal punto di vista politico e finanziario (in teoria la Svizzera potrebbe anche sciogliere l’organizzazione). L’approvazione delle riforme serve a offrire un’immagine diversa. Era quello che chiedeva l’amministrazione di Zurigo che è continuamente in contatto con la procura di Berna.
Quali sono riforme approvate? Dopo 24 anni di Havelange e 17 di Blatter, il nuovo presidente non potrà restare in carica più di 3 mandati quadriennali (12 anni), e come lui «esecutivi», revisori, giudici. Addio ai sovrani: soltanto 9 presidenti, da Guerin nel 1904 a Infantino oggi, danno l’inequivocabile idea di un potere gestito in maniera personale. Questa la novità più importante, non l’unica. Cambieranno anche gli equilibri di potere: il segretario gestirà con più autonomia la parte amministrativa, il presidente deciderà soprattutto le strategie politiche. E l’Esecutivo non si chiamerà più così, nome sfregiato dalle ultime vicende, ma Consiglio, con 37 membri invece di 25 e minimo 6 donne (una per continente). Saranno ridotte le commissioni: erano 26, situazione dispersiva e costosa, saranno 9. Aumenteranno i controlli di integrità. La Fifa aprirà, così dice, a giocatori, club, leghe, arbitri, allenatori. Basterà? Non saranno mosse di facciata?
Pregano che siano misure sufficienti quelli che alla Fifa House di Zurigo curano le finanze. Il bilancio sarà approvato al Congresso ordinario di maggio, a Città del Messico, ma c’è da preoccuparsi: per la prima volta in vent’anni c’è un rosso di circa 110 milioni di dollari. Da anni gli utili crollano (nel 2013 erano oltre 600 milioni, nel 2014 più di 300). Ed è lontano il previsto obiettivo di 5 miliardi di fatturato nel ciclo che porta al Mondiale russo: mancano 550 milioni. Dopo Brasile 2014 non è stato firmato alcun contratto di sponsorizzazione: nessuno vuole confondersi con un’istituzione dall’immagine «sporcata». Anche se gli analisti pensano che, alla fine, gli sponsor firmeranno per non lasciare spazio alle aziende rivali. Ma si capirà di più dalle prime reazioni delle corporazioni al nuovo presidente.

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UMBERTO ZAPELLONI, LA GAZZETTA DELLO SPORT 27/2 – Questa volta la pallina giusta non l’ha dovuta estrarre lui. Gianni Infantino, il volto di mille sorteggi Champions, è il nuovo padrone del calcio. Chiamarlo presidente sarebbe riduttivo. Il dopo Blatter ha origini italiane, calabrese il papà, della Valle Camonica la mamma, ma sul passaporto ha segnato come luogo di nascita Briga, Cantone Vallese, lo stesso di Blatter. Lo manda Platini perché di Michel è stato il segretario generale all’Uefa dal 2009 e dell’ex Le Roi ha preso il posto quando lui è finito nei guai per un assegno troppo oneroso venuto allo scoperto nel momento sbagliato.
Alla seconda votazione ha lasciato senza parole il grande favorito, l’uomo spinto dai petro-dollari, Salman Ben Ibrahim Al-Khalifa, membro della famiglia reale del Bahrein, numero uno della Federcalcio asiatica, già contestatissimo dalle organizzazioni umanitarie che lo accusano di «complicità in crimini contro l’umanità». Infantino, l’uomo dell’Europa, il perfetto conoscitore della macchina calcio, il burocrate costretto a uscire allo scoperto, ha vinto da sfavorito sbaragliando le previsioni dei tanti (anche in Italia) che lo davano per sconfitto. E in fin dei conti è un bene che a guidare il calcio sia un prodotto di Paesi dove il calcio è nato e cresciuto e non uno sceicco sponsorizzato dai dollari e da un senso dello sport più vicino al business che ad altro.
Arrivare dopo Blatter potrebbe anche sembrare un’impresa semplice, tanto aveva macchiato l’immagine della Fifa il colonnello svizzero. In realtà Infantino non avrà vita facile perché (come spiega bene Fabio Licari) non è proprio tutto oro quello che luccica nel paese di balocchi della Fifa. Ci sono conti da rimettere a posto, credibilità da riconquistare, pulizia da concludere. E in più c’è quella promessa di un Mondiale a 40 squadre che faceva tanto propaganda elettorale, ma che adesso rischia davvero di diventare realtà.
Il suo slogan è «Il calcio va restituito alla Fifa e la Fifa al calcio». A noi piacerebbe pensare che i veri padroni del calcio siano i tifosi, un po’ come Montanelli diceva che i suoi padroni erano soltanto i lettori. Ma se Infantino riuscirà a rendere davvero di vetro il palazzo del potere calcistico avrà già fatto un passo nella direzione giusta. Portare un Mondiale in Qatar, stravolgerne il calendario, non è stata una mossa per il grande pubblico del calcio e lui non potrà fare nulla per cambiare quanto già deciso, ma l’augurio è che in futuro le scelte possano esser mosse da motivazioni diverse.
L’elezione di Infantino, bravo a crederci fino in fondo quando in molti davano per firmato un patto con lo sceicco per garantirsi la presidenza Uefa, significa che, senza ingenuità e assegni, oggi a capo della Fifa ci sarebbe Michel Platini. Il grande sconfitto, prima ancora di Al-Khalifa, è stato lui. E con lui tutti i calciatori che non sono ancora riusciti a esprimere un presidente federale al contrario di quanto hanno fatto tanti altri sport, a cominciare dal Cio, governato da una campione olimpico e mondiale di scherma come Thomas Bach.
Ora la palla è in mano a un uomo che nel mondo del calcio non ha bisogno di presentazioni, ma che adesso dovrà fare tutto (o quasi) da solo. Non sarà più un Furino, ma dovrà diventare un Platini. Nel caso avesse qualche scheletro nell’armadio, l’augurio è che non debba scendere a troppi compromessi per non farli venire a galla. Avrà gli occhi del mondo addosso e non soltanto per vedere il nome della squadra estratta. Il livello di guardia sarà molto più alto di prima. Perché di Blatter ce ne è bastato uno.

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DARIO SALTARI, ULTIMOUOMO.COM 25/2 –
Quelle che si terranno domani a Zurigo sono probabilmente le più importanti elezioni mai tenute nei 112 anni di storia della FIFA. Dopo 41 anni di regno incontrastato, l’era Havelange-Blatter, forse la più influente insieme a quella Rimet, è finita nel peggiore dei modi: lo scorso 27 maggio, due giorni prima delle elezioni che avrebbero rieletto momentaneamente Blatter a presidente della FIFA, sette alti funzionari dell’organizzazione venivano arrestati a Zurigo aprendo il più grande scandalo di corruzione nella storia del calcio.
Quell’operazione, diretta dal procuratore generale degli Stati Uniti Loretta Lynch (che secondo alcuni potrebbe addirittura riempire il seggio della Corte Suprema rimasto vacante dopo la morte del giudice Scalia), ha avuto però effetti più vasti di quanto ci si aspettasse inizialmente.
Sepp Blatter si è fatto da parte pochi giorni dopo la rielezione, convocando il congresso straordinario di oggi. Michel Platini, inizialmente considerato il grande favorito alla successione, è stato costretto a ritirarsi dalla corsa alla successione dalla stessa FIFA, che il 21 dicembre scorso l’ha squalificato per otto anni (poi ridotti a sei) da qualunque attività calcistica per un controverso pagamento di circa due milioni di dollari ricevuto proprio da Blatter. Infine Jérôme Valcke, ex segretario generale della FIFA, è stato licenziato dall’organizzazione lo scorso 13 gennaio a seguito della sua sospensione da parte del comitato etico per una presunta frode legata alla vendita dei biglietti dei Mondiali.
L’azzeramento dei precedenti vertici dirigenziali ci ha lasciato quindi un’inedita situazione di incertezza a cui, dopo cinque elezioni consecutive di Blatter (due delle quali in cui era l’unico candidato), non eravamo più abituati. Lo stesso Blatter si è rifiutato di indicare il suo possibile successore ma ha rivelato che “quattro dei cinque candidati” lo hanno chiamato per chiedergli una qualche forma di sostegno ufficiale.
Al di là della veridicità delle dichiarazioni di Blatter, i cinque candidati rappresenterebbe tutti comunque una certa continuità con il passato, nell’incuranza di alcuni temi che avrebbero dovuto essere al centro delle loro campagne elettorali: la trasparenza e il rispetto dei diritti umani. Nessun candidato, infatti, si è impegnato a firmare la lista completa di promesse per combattere corruzione e violazioni dei diritti umani stilata da un gruppo di cinque ONG (tra cui Amnesty International e Human Rights Watch), principalmente perché chiama in causa esplicitamente i Mondiali in Russia del 2018 e quelli in Qatar del 2022. La riluttanza della maggior parte di loro, inoltre, ha affossato qualunque proposta di dibattito pubblico (prima quelli televisivi di BBC e ESPN, poi quello dal vivo presso il Parlamento europeo), minando alla base quel controllo dell’opinione pubblica che dovrebbe garantire almeno in teoria il processo di democratizzazione e trasparenza della FIFA.

Gianni Infantino
Gianni Infantino è probabilmente il più conosciuto tra i cinque candidati, almeno in Europa, per via delle sue sobrie presentazioni dei sorteggi delle principali competizioni UEFA, che l’hanno fatto diventare un idolo social. Ma Infantino è prima di tutto un avvocato svizzero con origini italiane e un’incredibile capacità di apprendere le lingue (sa fluentemente l’inglese, il francese, il tedesco, l’italiano e lo spagnolo).
Prima della sua carriera nell’UEFA, iniziata nel 2000, Infantino cresce professionalmente nel CIES, il centro internazionali di studi sportivi. Dentro la confederazione europea di calcio, l’avvocato svizzero ricopre diversi ruoli: prima il direttore degli affari legali, poi direttore della divisione club licensing ed infine segretario generale, nel 2009. In questa veste, Infantino diventerà uno dei più stretti collaboratori di Michel Platini, che non abbandonerà nemmeno dopo la squalifica da parte della FIFA. In una recente intervista all’Associated Press, infatti, Infantino ha ammesso di aver continuato a consultarsi con Platini anche dopo la sua squalifica.
Infantino, quindi, non rappresenta la rottura radicale con il passato del principe Ali, ma più che altro una transizione verso il futuro morbida, senza rivoluzioni: Taking Football Forward, come recita il rilassante titolo della sua campagna elettorale.
Anche le sue uscite in pubblico sono state misurate e senza isterismi, con la volontà di presentare Infantino come un candidato capace di promuovere le riforme senza spaccare ulteriormente un’organizzazione nel bel mezzo della più grande crisi della sua storia. L’avvocato svizzero, ad esempio, ha disinnescato con una sincerità coraggiosa alcuni temi potenzialmente esplosivi: ha ammesso sul suo stesso sito i 500mila euro donati dall’UEFA per promuovere la sua campagna e ha dichiarato che la FIFA non si deve vergognare di fare soldi a patto che lo faccia in maniera trasparente.
Il suo programma si basa su tre “pilastri” fondamentali: riforme; democrazia e partecipazione; sviluppo del calcio.
Nel primo pilastro vengono incluse sostanzialmente due questioni e cioè la riforma del comitato esecutivo (vero e proprio vaso di Pandora dello scandalo corruzione) e l’aumento della trasparenza. Il primo verrebbe rinominato (da comitato esecutivo a consiglio della FIFA) e svuotato di gran parte del suo potere, nonostante le riforma preveda l’introduzione di ben 13 nuovi membri. Nel testo del manifesto, infatti, si legge che “l’organo non avrà nessuna responsabilità manageriale o esecutiva diretta diversa dal nominare il Segretario Generale”. Accanto al consiglio della FIFA verrebbe creato anche un altro organo consultivo, chiamato Football Stakeholders’ Committee, in rappresentanza delle leghe nazionali, i club e i giocatori. Per il resto, il primo pilastro si traduce in diverse misure volte alla separazione chiara dei poteri tra gli altri organi della FIFA e la pubblicazione di qualunque transizione finanziaria rilevante, dagli stipendi degli alti funzionari fino ai contratti commerciali.
Col secondo pilastro, il programma di Infantino cerca di dare un maggior potere sulla direzione dell’organizzazione alle federazioni nazionali e più in generale al congresso plenario della FIFA, sempre a scapito dell’attuale comitato esecutivo.
Il terzo e più controverso pilastro, quello che tratta dello sviluppo calcistico, contiene una serie di riforme volte alla redistribuzione dell’immensa fortuna accumulata dalla FIFA sotto la gestione Blatter (circa un miliardo e mezzo di dollari al 2014). Il piano di Infantino è ambizioso e prevede: 5 milioni in quattro anni a tutte le federazioni nazionali; 40 milioni in quattro anni a tutte le confederazioni regionali; un milione in quattro anni per le spese di viaggio delle federazioni più bisognose; 4 milioni in quattro anni per ogni associazione regionale giovanile. Un piano finanziariamente mastodontico che secondo il principale avversario di Infantino, lo sceicco Salman, porterebbe la FIFA alla bancarotta.
Un altro punto forte del terzo pilastro è la riforma dei Mondiali, che passerebbero da 32 a 40 squadre e non verrebbero più organizzati da unico paese ma verrebbero “spalmati” su regioni più ampie (sul modello del Mondiale nippo-coreano del 2002). Un’idea che ancora una volta Infantino ha ripreso da Platini, che ha allargato l’Europeo del 2016 da 16 a 24 squadre e ha deciso di coinvolgere ben 13 stati europei diversi in quello del 2020.
Per adesso, Infantino ha raccolto il sostegno ufficiale di UEFA, CONMEBOL (la confederazione sudamericana) e una parte della CONCACAF (la confederazione di Nord America, Centroamerica e Caraibi). In assenza di soprese, quindi, Infantino dovrebbe raccogliere intorno ai 70 voti, una cifra che non gli permetterebbe di arrivare alla presidenza nemmeno dal secondo turno. Ma le cose potrebbero cambiare se il fronte africano e asiatico che attualmente sostiene Salman si dimostrasse meno solido di quanto appare adesso. In questo senso, sapremo solo domani quanto contribuiranno il sostegno di Sexwale e gli astuti viaggi diplomatici di Infantino.

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MARCO BELLINAZZO, IL SOLE 24 ORE 27/2 –
Il decimo presidente della Fifa è l’italo-svizzero (il padre è originario di Reggio Calabria, la madre della Valcamonica) Gianni Infantino. Alla seconda votazione, l’ex segretario generale della Uefa, subentrato in corsa a Michel Platini, azzoppato dalla squalifica inflittagli dal comitato etico, ha sbaragliato la concorrenza dello sceicco del Bahrein Salman Al Kalifa. Infantino ha ottenuto 115 voti contro gli 88 del rivale.
Gli endorsement della diverse Confederazioni prefiguravano un leggero vantaggio per Al Kalifa, presidente dell’associazione calcistica asiatica, ma evidentemente Infantino è riuscito a strappare il consenso delle singole Federazioni nazionali e a coagulare intorno alla sua proposta di riforma dell’organo di governo del calcio mondiale il consendo necessario (il principe giordano Ali Al Hussein ha conservato 4 voti, mentre nessun voto è andato al francese Jerome Champagne). Inizia così una nuova era, dopo i 17 anni di regno di Joseph Blatter e i 23 del suo mentore João Havelange. La Fifa ieri mattina ha deciso di limitare a tre mandati e a complessivi 12 anni il mandato presidenziale. Un tempo che comunque tutti si augurano sia sufficiente per voltare pagina e dimenticare gli ultimi anni, i più bui e difficili nella storia della Fédération Internationale de Football Association, funestata da scandali, arresti e inchieste che ne hanno decimato i quadri dirigenziali. «Voglio essere il presidente di tutte le 209 federazioni e intendo lavorare insieme a tutti voi per rimettere il calcio al centro della scena». Sono state queste le prime parole di Infantino dopo la sua proclamazione di fronte alla platea del Congresso di Zurigo. Del resto, l’agenda del neopresidente è già piena di impegni e insidie. Nei prossimi mesi dovrà essere rinnovata la governance Fifa prendendo atto anche dei possibili sviluppi dell’inchiesta che dallo scorso maggio stanno conducendo l’Fbi e la magistratura svizzera e che ha portato indirettamente all’estromissione dei due (ex) uomini più potenti del sistema calcistico mondiale, Blatter e Platini (si attende l’esito del ricorso al Tas di Losanna contro la squalifica di sei anni inflitta a entrambi per un pagamento indebito fatto nel 2011 dalla Fifa all’ex fuoriclasse francese in virtù di una consulenza prestata nove anni prima). Le verifiche in corso sui brogli e le tangenti che avrebbero dirottato i mondiali del 2018 e del 2022 verso Russia e Qatar imporranno poi una decisione definitiva su queste assegnazioni. Nonostante le polemiche fossero già deflagrate, uno degli ultimi atti di Blatter era stata la conferma delle due sedi. È difficile che adesso Infantino possa stravolgere il calendario internazionale. Ma le vicende degli ultimi mesi e le pressioni di Usa e Gran Bretagna dimostrano che tutto può accadere. Anche perché si stanno definendo nuovi equilibri a livello mondiale (con la Cina nuovo polo sportivo e finanziario).In ogni caso, uno dei primi a congratularsi per l’elezione è stato il ministro dello Sport russo, Vitali Mutko: «Il mondo del calcio ha bisogno di una persona pratica e pragmatica come Infantino». Noto al grande pubblico come l’uomo dei sorteggi, Infantino ha un lunghissimo curriculum in Uefa. Ha diretto il gruppo di lavoro sulle licenze, ha collaborato nella creazione del fair play finanziario e ha seguito da vicino lo sviluppo del marketing della Uefa, riuscendo a triplicare il fatturato della stessa, come ha rimarcato ieri mattina nel suo discorso di presentazione. Si troverà ora ad amministrare un’organizzazione che ha un giro d’affari quadriennale di oltre cinque miliardi di euro. E vedremo se avrà la forza di attuare la proposta cardine del suo programma: allargare il Mondiale da 32 a 40 squadre.
Marco Bellinazzo

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CARLO SANTI, IL MESSAGGERO 27/2 – 
Il segretario diventa re. Gianni Infantino, avvocato italo-svizzero, sale sul trono del calcio mondiale, nono presidente della Fifa. Lo sceicco Salman Al Khalifa si è dovuto arrendere vistosamente, 115 preferenze contro 88. Origini italiane, padre di Reggio Calabria e mamma della Valcamonica, Infantino è nato a Briga, appena oltre il confine con Domodossola, il 23 marzo del 1970, sotto il segno dell’Ariete, nel paese dove i suoi genitori erano emigrati negli anni Sessanta e dove il papà lavorava in ferrovia, nei vagoni letto. I treni sono stati importanti nella vita del neo presidente della Fifa, il padrone del calcio che vuole portare questo mondo nel futuro liberandolo dall’epoca del padre-padrone Blatter, il colonnello svizzero che ha fatto di questa organizzazione la sua fortezza. Adesso, Blatter è il passato. Treni importanti per Infantino perché vi ha lavorato, uomo delle pulizie dei vagoni letto ma aiutante anche della mamma nel suo chiosco di giornali. Tutto questo per pagarsi gli studi, quelli che lo hanno visto specializzarsi in diritto sportivo. Importanti i treni ai quali è legato come è legato alle sue radici, all’Italia che Infantino ha nel cuore come il nostro calcio che vedeva da vicino, tifoso a San Siro dell’Inter di Altobelli e Beccalossi. Erano i primi anni Ottanta, quelli del Mondiale di Spagna e di Paolo Rossi.
GIOCATORE MANCATO
Il calcio è entrato presto nelle attrazioni del giovane Gianni. Che, però, talento per essere un buon giocatore ne aveva pochino. Talmente poco che già a undici anni era in campo: non per giocare ma per organizzare tornei con gli amici e poi a diciotto la sua Folgore, la squadra del cantone Vallese che aveva fondato, è stata promossa alla penultima categoria. Da quella Folgore, Infantino di strada ne ha fatta. Si è laureato in legge, ha lavorato all’università di Neuchatel prima di approdare, nel 2000, all’Uefa. Primo incarico è stato quello di direttore della divisione Affari Legali e Licenze per club. Nove anni dopo, Infantino è diventato segretario generale, uomo fedele del presidente Platini che era salito al trono del calcio europeo due anni prima al quale ieri, un attimo dopo l’elezione, il nuovo capo del pallone mondiale ha rivolto un pensiero.
L’UOMO DELLE RIFORME
Poliglotta e attento alla storia, ai fatti che hanno segnato il mondo. Infantino ha chiuso la sua campagna elettorale in Sudafrica, a Robben Island, l’isola al largo di Città del Capo dove è stato prigioniero Nelson Mandela. Un bel segnale, il suo. Poliglotta, dicevano. Parla sei lingue - in casa italiano, inglese, francese e arabo visto che la moglie è libanese - e questo dono è segno non solo di rispetto verso gli altri ma anche di comunicazione. Presentando il suo programma ai membri delle Federazioni, Infantino le ha utilizzate tutte. Adesso l’avvocato italo-svizzero che sogna di tornare presto a Reggio Calabria, nella casa che possiede nella quale ci sono i ricordi del papà, è pronto a mettere la palla al centro e giocare. Un nuovo calcio, quello che promette, fatto di riforme e buona governance, democrazia e partecipazione ma anche di sviluppo. Un calcio, il suo, che non dovrà essere solo tecnologico ma trasparente con una netta, anzi nettissima, separazione dei poteri e delle funzioni e senza influenze politiche. Il neo presidente, che in questo mondo è ben navigato, sa che per mantenere fede a questa promessa elettorale dovrà faticare parecchio lottando contro il potere esistente. Non vuole più un Esecutivo nella sua Fifa, Infantino, ma un Consiglio della Fifa che avrà compiti di strategia e supervisione e sarà composto da 36 membri. Vuole aprire alle Confederazioni che dovranno avere, ognuna, almeno una donna. Vuole essere l’uomo delle riforme ma anche uomo d’azione per ridare alla Fifa che, come ha scritto lui, attraversa una delle peggiori crisi della sua storia centenaria, un volto pulito. La sfida, adesso, parte dal Mondiale che Infantino vuole a 40 squadre contro le attuali 32 per permettere a più Federazioni di investire più risorse. E alle Federazioni, che sono 209, andrà incontro, stando al suo programma elettorale, con un assegno di 5 milioni di dollari ogni quattro anni per progetti di sviluppo e, per gli stessi motivi, elargirà 40 milioni a ogni Confederazione. Tutto questo destinando la metà delle entrate della Fifa. Tra i suoi progetti anche quello di portare i fuoriclasse in giro per il mondo a raccontare le loro storie.
Carlo Santi