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 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

Ecco perché il 2016 può essere l’anno più volatile di sempre per i mercati In un mondo normale oscillazioni di Borsa come quelle registrate ieri da Piazza Affari, con l’indice Ftse Mib in calo del 2,59%, sarebbero eventi piuttosto rari

Ecco perché il 2016 può essere l’anno più volatile di sempre per i mercati In un mondo normale oscillazioni di Borsa come quelle registrate ieri da Piazza Affari, con l’indice Ftse Mib in calo del 2,59%, sarebbero eventi piuttosto rari. Ma l’eccezionalità pare essere diventata la normalità in questo finora turbolento 2016 dei mercati. Da inizio anno il paniere delle blue chips italiane ha registrato oscillazioni superiori al 2%, al rialzo e al ribasso, per ben venti sedute su un totale di trentotto giornate di contrattazione. Variazioni normali, cioè inferiori all’1%, si sono registrate in appena quattro giornate di scambi. È capitato più spesso (sei sedute) che l’indice registrasse oscillazioni superiori al 4 per cento. Evento che nel corso dell’intero 2015 è capitato solo tre volte. «Nelle prime sei settimane dell’anno - scrivono gli analisti di Jp Morgan Asset Management - l’indice S&P 500 di Wall Street si è mosso di oltre l’1% per 20 giorni, circa tre giorni a settimana, cioè più di quanto sia successo in tutto il 1993 e in tutto il 1995. Tenendo questa andatura quest’anno potremmo vedere oscillazioni di questa misura per 180 giorni. Molto di più di quanto rilevato durante la crisi dell’area euro e durante la crisi finanziaria». In altre parole: il 2016 rischia di essere l’anno più volatile di sempre. Di ragioni per vendere sui mercati ce n’è più di una: la Cina che rallenta, il mercato delle materie prime che collassa, l’incertezza sugli effetti della normativa sui salvataggi bancari in Europa... Ma sono ragioni sufficienti a giustificare crolli di tale entità? In molti hanno dei dubbi. Secondo Domenico Rizzuto di Dr Finance Consulting quella che potrebbe una fisiologica correzione di rotta dei mercati è stata enormemente amplificata da una questione di natura tecnica che riguarda il ruolo delle banche nel «fare mercato», cioè assorbire le oscillazioni garantendo l’adeguata liquidità. «Dopo la grande crisi finanziaria del 2008 in Europa e negli Stati Uniti il settore bancario ha dovuto sottostare a un’enorme mole di regole il cui obiettivo era mettere fine agli eccessi speculativi che hanno dato origine al crack. Dovendo rispettare requisiti patrimoniali sempre più stringenti le banche hanno oggi molto meno margine di manovra per agire sui mercati e non possono più correre i rischi di un tempo». Bene per i bilanci che sono più solidi, male per i mercati: senza le banche a fare da “market maker” chi vuole vendere fa molto più fatica di prima a trovare un compratore e gli shock ribassisti sono più difficili da assorbire. Può sembrare un paradosso ma la realtà è che i mercati si scoprono illiquidi nonostante, mai come in questo periodo storico, la liquidità sia stata abbondante sui mercati per effetto delle politiche ultraespansive delle banche centrali. Ciò è vero in Borsa ma soprattutto in mercati meno liquidi come quello delle obbligazioni societarie. «Il segmento dei corporate bond - spiega Rizzuto - ha vissuto momenti di estremo stress in questa prima parte dell’anno. Ho visto titoli investiment grade (cioè ad alto rating ndr.) generalmente molto liquidi registrare uno spread bid-ask (il differenziale tra il prezzo di vendita e quello di acquisto ndr.) di un punto e mezzo percentuale contro una media storica dello 0,15 per cento».