Paolo Mauri, il venerdì 26/2/2016, 26 febbraio 2016
KAREL ČAPEK, CHE INVENTÒ LA PAROLA ROBOT
È per lo meno dai primi decenni del Novecento che va avanti la discussione sugli esiti nefasti della tecnologia e non possiamo dire che Walter Benjamin non ci avesse messo in guardia. Cosa accadrebbe se l’uomo restasse senza lavoro perché le macchine lo hanno egregiamente sostituito? Provò a dirlo lo scrittore boemo Karel Čapek con R.U.R. nel 1920 e messa in scena l’anno dopo. Da allora non è mai stata dimenticata: l’ultima edizione italiana credo sia quella di Marsilio dell’anno scorso. Čapek inventò praticamente la parola robot che ebbe in tutte le lingue un grande successo. Il titolo sta per «Rossum’s Universal Robots». In breve lo scienziato Rossum, poi sostituito dal nipote, inventa un surrogato dell’uomo: docile, laborioso, intelligente e destinato a durare vent’anni. La fabbrica Rossum produce robot a centinaia di migliaia in un’isola dove un giorno approda la bella Helena di cui tutti i dirigenti si innamorano all’istante. Dieci anni dopo Helena è ancora lì, nell’isola: ha sposato Domin, uno dei dirigenti. Ma i robot, per i quali Helena ha molta simpatia, si stanno organizzando e ad un certo punto decidono di eliminare gli uomini... Čapek ha certamente presente il Golem della tradizione ebraica, ma anche la allora recente affermazione del collettivismo in Russia: i robot sono riuniti in un Comitato Centrale... È la fine dell’umanità? Il finale apre uno spiraglio.