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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

TELEVIDEO, LA RETE PRIMA DELLE RETE – 

Prima di internet, quando era la Tv a rovinare le nuove generazioni e non l’influenza del “popolo del web”, c’era il Televideo, un servizio composto di centinaia di schermate trasmesse via televisiva e aggiornate in tempo reale. Ma è difficile parlare del Televideo al passato: esso esiste ancora oggi e viene ancora utilizzato per avere informazioni sul meteo, i programmi Tv e il traffico. Tutte cose che si trovano anche su internet, certo, ma non tutti gli italiani sono online: per alcuni di noi la cultura digitale è iniziata – e finita – con quelle pagine nere e pixelate.
Teletext in Europe. From the Analog to the Digital Era è una raccolta di saggi sul teletext a cura di Hallvard Moe e Hilde Van den Bulck ed edito da Nordicom, un centro studi nordeuroeo. Teletext è il nome ufficiale del Televideo, una tecnologia nata nel Regno Unito e diffusasi in tutta Europa, arrivando in Italia a seguito di una trafila politico-burocratica piuttosto folkloristica.
Un capitolo del libro, scritto da Luca Barra e Gabriele Balbi, si concentra sulla versione italiana del servizio e il suo successo: il teletext si fece Televideo in RAI prima ed espressione di Tv private come quelle di Mediaset poi, ispirando “magazine” digitali ed edizioni internazionali e regionali. Nato ufficialmente nel 1984, il Televideo trasmetteva pagine leggere (appena 1 KiloByte ciascuna) e ancora oggi si basa su una tecnologia “povera”, perché ogni progresso nel settore avrebbe richiesto televisori più potenti e quindi una frammentazione del pubblico. Oggi il servizio sopravvive in televisione e anche online (con un discreto successo, come vedremo), ed è considerato un primissimo esempio di mezzo di comunicazione di massa aggiornabile in tempo reale e fruibile liberamente, senza palinsesti e orari: vi ricorda qualcosa?
Questa proto-internet con telecomando venne sviluppata a partire dal 1977 presso il Centro Ricerche Rai di Torino, dove tra i due standard all’epoca disponibili – quello britannico e quello francese – fu scelto il primo. Nel 1980 la RAI fu ufficialmente autorizzata alle prime trasmissioni prova, con la supervisione del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e dell’ANIE, l’Associazione Nazionale delle Industrie Elettroniche. Il 5 settembre 1984 cominciarono le trasmissioni e milioni di italiani dovettero imparare a usarlo, anche grazie a guide come le trasmissioni notturne su RaiTre – tutorial – e campagna stampa in cui la novella “TV da sfogliare” veniva presentata come il “giornalismo del futuro”.
Ci furono beghe politiche – siamo in Italia e il Televideo è un medium di massa, ergo: beghe politiche – e tecniche, con molti italiani spinti a comprarsi un televisore nuovo per accedere al teletext. Per esempio, per molti anni, nessuno sbrogliò ufficialmente una questione burocratica: il Televideo era una piattaforma di telecomunicazione o uno strumento di broadcasting di massa? Il servizio è nato e si è sviluppato in questo vuoto normativo, in questa incertezza di fondo: mai regolato del tutto, egli fu, nonostante i cavilli legali.
I primi anni furono di fuoco, come raccontano Luca Barra e Gabriele Balbi: “Se a sviluppare il progetto dal punto di vista tecnico era stato Giorgio Cingoli, primo direttore del servizio, nel 1991 serviva rimarcarne maggiormente la natura informativa, di testata ulteriore che si aggiunge a quelle dei TG: Televideo viene così affidato ad Aldo Bello, giornalista, che si circonda di una redazione numerosa e potenzia la struttura informativa del Televideo, dalla pagina 101 dell’Ultim’ora (il cardine del servizio, primo accesso per molti lettori-spettatori) fino ai mille rivoli di sezioni e sottosezioni, di cronache, economia, sport. Col tempo si raggiungono negli anni d’oro la quota di 1100 pagine (e sotto-pagine), che rendono Televideo il teletext più ampio d’Europa”.
Televideo rimediava parecchi altri medium. La televisione per prima, certo, ma anche il telefono: prendiamo Videotel, un servizio della SIP anni 70 durato poco, a sua volta calco del francese Minitel. Constava di una serie di terminali accessibili via telefono attraverso i quali gli utenti potevano ottenere informazioni in tempo reale – e a voce. Era una specie di Siri in carne ed ossa che dovevi chiamare a casa. Nonostante i legami con gli altri mezzi di comunicazione, spiegano gli autori del saggio, il Televideo è televisione spuria: si basa sulla testualità invece della combinazione di video e audio, è un medium elettronico da leggere, una sorta di Ansa casalingo. Il Televideo risiede però nella televisione e da questa prende alcune caratteristiche essenziali come la la distribuzione di massa (da uno a molti), la facilità d’uso e la gratuità. Se la trasmissione televisiva è composta da 25 fotogrammi al secondo, in grado di dare l’illusione del movimento, il teletesto era inserito nei vuoti tra un fotogramma e l’altro, “un meccanismo che si manifestava nello scorrere vorticoso dei numeri di pagina del servizio e dei secondi d’attesa necessari a caricare la pagina prescelta”. Non era buffering ma attesa per l’arrivo del “giusto” pacchetto di dati. Nel corso degli anni la RAI decise di non sfruttare completamente le potenzialità del servizio per consentire a tutti di accedervi, senza costringere gli italiani a comprare televisioni sempre nuovi. Televideo rimase un medium povero. E lo è tuttora.
Non servono davvero test del DNA per incastrare il nostro come genitore del nostro World Wide Web: prendiamo Telesoftware, un aggeggio anni 90, che “permetteva il trasferimento di dati (come programmi, aggiornamenti e giochi) da computer a computer tramite un’apposita scheda”. Un peer to peer ante litteram. E ricordiamo un dettaglio minuscolo per noi ma inedito per i tempi, come l’assenza totale di palinsesto: i contenuti del servizio erano fruibili singolarmente in qualsiasi momento e piuttosto velocemente per gli standard.
Solo più tardi, come un figlio mitologico, Internet arriva a uccidere il suo genitore, prima trasferendolo online , poi rendendolo obsoleto. Ma è sbagliato parlare di morte del servizio: nel 2000, l’edizione online di Televideo arrivò ad attirare 8 milioni di click al mese, restando a lungo il sito più visitato della Rai. E così la TV pubblica difende la sua creatura, dichiarando che “nessuna innovazione vuole distruggere o sminuire l’autorevole immagine del Televideo, che ha un’identità editoriale consolidatasi in oltre vent’anni”. E le scritte bianche su fondo nero approdano persino, insospettabili, sugli smartphone, in un caso di rimediazione non prevista.
Il Televideo è stato un incrocio tra il telegrafo e il web, un’avanguardia tecnologica diffusasi con il classico ritardo italiano eppure dura a morire, e tuttora persistente, sia pur ai margini. Internet prima di internet non è un generoso slogan nostalgico: con il teletext la tecnologia offriva per la prima volta la possibilità di utilizzi alternativi e specifici del mezzo televisivo, di letture personalizzate, e il telesoftware era una versione primordiale della cultura peer to peer e dello sharing. Era l’alba ingenua di un mondo pieno di informazioni consultabili in ogni momento e affiancate da messaggi pubblicitari simili ai banner del web (seppur pixelati). Le breaking news, i risultati delle partite di calcio, il meteo, gli orari dei treni: erano tutti punti forti del teletext, e sono tutti oggi nel World Wide Web, diluiti e moltiplicati. Anche per questo il Televideo, per quanto superato, resiste insospettabile nelle abitudini di molte persone, non soltanto mature o ai bordi del divide digitale, e potrebbe persino trovare ancora spazio, anche perché il Televideo ha ormai accettato internet, e in parte ci si è trasferito. Se internet un giorno venisse sospeso, sappiamo già dove andare.
C’è stato un tempo in cui il Televideo era ovunque, grande e potente. Veniva “navigato” da giovani e anziani, forniva aggiornamenti sul meteo, sulla borsa, sui programmi tv. Senza contare la pagina 777 con i sottotitoli per i non udenti. Anche nei subs, quindi, il Televideo ha anticipato internet – ne è anzi il nonno attempato che cammina e saltella ancora mentre tutta la famiglia si chiede come diavolo faccia, alla sua età.