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 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

«IO VIVO IN UN’ALTRA DIMENSIONE». INTERVISTA A PIPPO FRANCO

Mi dà appuntamento in piazzale Clodio, vicino alla Rai, dove deve partecipare a una puntata della Vita in diretta per parlare di Padre Pio a un paio di giorni dall’arrivo delle spoglie a Roma.
Noi, invece, siamo qui per parlare del film di Fabio De Luigi, Tiramisù, in cui lui interpreta un medico, un ruolo piccolo ma significativo.
Più basso di quanto me lo sarei aspettato, vestito tutto di blu, scarpe comprese, Pippo Franco arriva con qualche minuto di anticipo, poi mi «guida» in un hotel a due passi da lì. Ci sediamo nel bar – chiuso e semibuio – e accendiamo un paio di lampade giusto per riuscire a vederci in faccia.
Lei in realtà ha iniziato come pittore.
«Brava. E contemporaneamente come musicista».
Che cosa dipingeva?
«Sono passato dal figurativo relativo all’astratto. Con i soldi che ho guadagnato vendendo i quadri ci ho pagato le prime cambiali. Ma, a 23 anni, ho smesso».
Le cambiali per cosa?
«La macchina. E poi bisognava pagare anche l’affitto. Ma intanto facevo il chitarrista, suonavo nei locali (in quel periodo ha fatto parte anche di un gruppo, I pinguini, con cui esordì al cinema in un musicarello di Mina del 1960, ndr). E con quel lavoro ho continuato a pagare le cambiali».
È stato anche fumettista.
«Sì. Alcune puntate di Mandrake le ho disegnate io. E avevo persino creato un paio di personaggi, uno si chiamava Peter Paper, che in Francia ebbero abbastanza successo. È stata un’esperienza importante, che mi ha formato. Poi, però, ho smesso e ho cominciato a comporre canzoni e a presentarle in giro nei locali di Roma. All’inizio non mi voleva nessuno. Poi, una sera, erano i primi anni Sessanta, dovevo fare lo spettacolo d’intervallo di un cabaret romano. Fu un successo: il primo applauso compatto e forte della mia vita. Non lo dimenticherò mai. Mi chiesero persino il bis. Peccato che non avessi nessun’altra canzone pronta».
Facciamo un salto al presente e parliamo del film Tiramisù di Fabio De Luigi, che sta per uscire nei cinema.
«Ecco. Prima, per spiegarle il mio punto di vista, le dico una cosa che mi sembra più interessante: io vivo una vita squisitamente spirituale, nel senso che vivo in un’altra dimensione. Lo so che è un concetto difficile, ma tutto quello che accade è frutto di un disegno. Compreso quello che mi è successo con il film di De Luigi».
Ovvero?
«Mi fanno leggere il soggetto e mi accorgo che ci sono analogie con la mia vita. Io mi occupo di benessere. Prima di tutto per passione ma, poi, ne ho anche
fatto una sorta di professione».
In effetti, so che ha anche un’azienda di prodotti elettromedicali.
«Esatto. Come l’ha saputo? La società si chiama Planta Vitae, si occupa di alimentazione, fitoterapici, e di uno strumento elettronico di biorisonanza. Ma io sono solo un “appoggio” esterno, a occuparsene direttamente sono mia moglie e mio figlio (Gabriele, che è anche produttore discografico. Mentre il minore, Tommaso, fa lo psicologo, ndr)».

Squilla il cellulare. E, per un quarto d’ora buono, Pippo Franco spiega a qualcuno all’altro capo del telefono come affrontare un certo problema di salute del figlio attraverso l’alimentazione. Consiglia alcuni test da comprare in farmacia, libri come La nuova biologia della salute di Matt Traverso, e gli specialisti giusti ai quali rivolgersi.
Tornando al film...
«Il mio personaggio è un medico che non prescrive farmaci. La penso esattamente come lui. De Luigi non sapeva niente del mio interesse per la salute e l’alimentazione, non ne abbiamo mai parlato, ma non è un caso che sia successo. Tutta la vita è così: non ce ne rendiamo conto perché non siamo attenti a certe vibrazioni. Io lo so perché ho avuto esperienze (ha frequentato mistici e veggenti, in particolare Natuzza Evolo, ndr). Lei non può capire perché non le ha fatte. Chiaro?».
Non so. Ma sa quel è il punto? Mettere insieme alcuni suoi film come Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda con tutto questo misticismo stride un po’.
«Dal suo punto di vista. Io non sono d’accordo. E c’era pure Giovannona Coscialunga disonorata con onore. Quei film raccontavano gli italiani che sognavano donne bellissime ma, per loro, irraggiungibili. Erano film comici, che facevano ridere. E l’ironia fa parte della visione francescana della vita e non esclude la profondità di pensiero.
Tutt’altro».
Le spiace se proviamo a tornare indietro nel tempo? Una volta lei ha detto: «Non ho avuto un’infanzia felice».
«È così. Sono nato senza un padre. Nel senso che mia madre rimase incinta prima del matrimonio e, subito dopo, lui partì per la guerra. Stette via sei anni e morì poco dopo essere tornato. A quel punto mia mamma fu costretta ad affidarmi a un orfanotrofio di suore. Il distacco fu difficile. Lei era tutto per me. E anche mio padre. Chi perde un genitore a quell’età lo cerca per tutta la vita. Le basta?».
Immagino non fosse un ambiente facile.
«Non era un collegio duro, e quelli erano anni difficili per tutti. Nella casa in cui avevo vissuto fino ad allora, ci vivevano quattro famiglie, ognuno mangiava quello che trovava. Il mio primo biscotto l’ho assaggiato in un rifugio antiaereo, me lo diede una signora anziana. Mi ricordo ancora il sapore. Vuole che le racconti un altro episodio per farle capire come si stava allora?».
Prego.
«Ho subìto una tonsillectomia senza anestesia. All’epoca si faceva così».
È andata meglio dopo che ha lasciato il collegio?
«Quando uscii, tre anni dopo, mia madre si era risposata con un uomo che aveva tre figlie e con il quale non avevo un buon rapporto. Anzi, era lui a non avere un buon rapporto con me».
Che cosa intende?
«Osteggiava qualunque mia propensione creativa: mi chiudeva a chiave la chitarra, non voleva che leggessi di notte, che disegnassi. L’ho capito dopo, ma è anche per tutto quello che ho passato che sono diventato quello che sono, che ho sentito il desiderio di esprimermi attraverso l’arte».
A proposito di famiglia, lei ha un altro figlio, Simone, nato dal suo primo matrimonio con l’attrice Laura Troschel, che oggi ha 47 anni e che, non molto tempo fa, lei ha cercato di «ripudiare» perché sospettava non fosse figlio suo.
(Le sue labbra si fanno ancora più sottili). «È una cosa della quale non ho mai parlato, e non intendo farlo adesso».
Parliamo dell’argomento in generale, allora. Leo Gullotta, il suo ex collega del Bagaglino, ha fatto coming out nel 1995 e, di recente, si è pubblicamente espresso a sostegno della Cirinnà. Posso chiederle il suo punto di vista da cattolico?
«Penso che una legge sulle unioni civili ci voglia. Sui dettagli non mi sento di discutere».
Un’altra sua ex collega, Pamela Prati, parteciperà all’Isola dei famosi. Che cosa ne pensa?
«Me lo hanno proposto più volte. Lo stesso con Ballando con le stelle. Per me è una cosa poco più che demenziale, ma lei avrà i suoi motivi per farlo».
Beppe Grillo nel suo spettacolo Grillo VS Grillo ha ammesso di aver rubato battute a tutti, anche a lei. A che cosa si riferiva nello specifico?
«Sono contento che lo abbia fatto. Una volta, in un locale di Genova, portai uno spettacolo con le mie canzoni di cabaret. Non rideva nessuno. Dopo mi dissero: “C’è stato qui uno che si chiama Grillo, e le ha già fatte”».