Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 25 Giovedì calendario

MILIARDI BRUCIATI

Basterebbe poco. Basterebbe far funzionare quell’immenso, invasivo, inefficiente, incompetente, improduttivo moloch che va sotto il nome collettivo di «Stato». Un pachiderma. Anzi, «il» Pachiderma, la cui lentezza funzionale rende impossibile perfino (perfino!) incassare i soldi che gli sono dovuti e rende inevitabile l’umiliazione di dover chiedere, come sta facendo Matteo Renzi, a qualche superburocrate europeo il permesso di fare 3,3 miliardi di maggiori debiti.
Basta spulciare il bilancio del Pachiderma e andare alla voce «residui attivi». Si tratta di entrate «extra tributarie» che il ministero dell’Economia e quello di Infrastrutture e Trasporti hanno diritto a incassare ma che non vogliono incassare. Di quanto stiamo parlando? Solo quelli di competenza del ministero dell’Economia di Pier Carlo Padoan ammontano a 5,9 miliardi di euro: sì, 5,9 miliardi che da soli ci garantirebbero quasi il doppio della flessibilità che Renzi implora all’Europa. Nella maggior parte dei casi sono soldi che le imprese hanno ottenuto sotto forma di aiuti di Stato ai quali non avevano diritto e che ora, sulla base di sentenze della Corte di Giustizia europea, dovrebbero restituire, se qualcuno facesse lo sforzo di chiederglieli. Perché non lo fa? Perché, scrive la Corte dei Conti, di questa somma il Pachiderma «ignora l’esercizio di formazione né si conoscono le motivazioni che hanno determinato il relativo accertamento, ad oggi non ancora riscosso». Siamo alla inefficienza pubblica allo stato primordiale. Basti dire che nel 2014 di questa massa di denaro è stato recuperato appena il 4,81 per cento e che l’anno precedente si era arrivati ad appena il 2,61.
Ma non è finita: il ministero delle Infrastrutture guidato da Graziano Delrio deve riscuotere altri 6,9 miliardi di euro sempre derivanti da incentivi e sconti fiscali concessi a chi non ne aveva diritto. Ad esempio l’Alcoa, che dopo aver usufruito di sconti sulla bolletta elettrica per decenni in Sardegna, è stata condannata dall’Europa a restituire 295 milioni di euro. Mai pervenuti. Poi ci sono i 30 milioni concessi sotto forma di sconti fiscali alle imprese del Veneto (compreso l’hotel Cipriani), poi ci sono le società che sono andate in Borsa approfittando degli sgravi fiscali che sono stati giudicati illegali. Insomma: una massa impressionante di soldi pari all’incredibile cifra totale di 12,8 miliardi: 4 volte i 3,3 miliardi che Renzi pietisce all’Europa.
Tra questi «residui attivi» ci potrebbero essere, secondo la Corte, perfino soldi ancora giacenti nei conti correnti dell’Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno, nata nel 1986 e soppressa nel 1993. Quanti soldi ci sono in quei conti correnti? La Corte non lo dice, fatto sta che non si trova nemmeno un commesso del ministero dell’Economia che abbia cinque minuti di tempo per andare a controllare. Sì: basterebbero pochi minuti perché a differenza di altri crediti, come quelli iscritti nel bilancio di Equitalia, questi soldi sono considerati esigibili al cento per cento. Significa che il bilancio del Pachiderma (a meno che non sia falso) certifica che tutti questi 12,8 miliardi siano interamente incassabili dai ministeri che hanno il potere di farlo. Solo che non lo fanno. Ma in tutti i bilanci di tutti gli enti pubblici sono presenti questi «residui attivi». Equitalia, ad esempio, ha iscritto a bilancio la cifra incredibile di 1.058 miliardi di crediti, ma di questi solo 51 sono «lavorabili», secondo l’espressione dell’amministratore delegato Ernesto Maria Ruffini. Cinquantuno miliardi che da soli basterebbero per farsi beffe di qualsiasi euro-austerity passata, presente e futura. Potrebbero essere investiti, anche se sulla capacità di programmare lo sviluppo da parte del Pachiderma non è il caso di scommettere. A due anni dalla fine del settennato di programmazione dei fondi europei, il Pachiderma deve ancora capire se è riuscito a spendere tutti i soldi disponibili, 45,7 miliardi. «Ballano» ancora 2,9 miliardi.
In quanto a inefficienza anche i Pachidermi locali non scherzano. Il Comune di Roma non riesce a recuperare i soldi degli affitti, anche quelli a canoni ridicoli, semplicemente perché non sa quante case possegga, e intanto ha13,2 miliardi di debiti. In Puglia gli enti che gestiscono le case popolari hanno «residui attivi» per 213 milioni la cui incassabilità è zero. È solo ignavia? No, non è solo questo. Nella lotta all’evasione fiscale (stimata in 60 miliardi l’anno) i Comuni sono colpevoli del «reato» di inconcludenza. Nel 2005 è stata varata una legge che concedeva loro il 30 per cento delle somme recuperate dall’evasione fiscale scoperta dalle strutture amministrative locali. La quota è salita poi al 50 per cento nel 2011 e addirittura al 100 per tutti gli anni tra il 2012 e il 2017. Ebbene: quanti soldi sono andati nelle casse dei Comuni nel 2014 grazie alla lotta all’evasione? Tre miliardi? Due miliardi? Un miliardo? No, 26 milioni. Ventisei milioni diviso 8.003 Comuni significa che ogni municipio ha, in media, scoperto 3.248 euro di evasione fiscale: si va dai ridicoli 186mila euro incassati dai Comuni del Veneto agli scandalosi 29 euro (29!) recuperati da tutti i Comuni della Calabria. Contemporaneamente, però, mentre i Comuni non sanno incassare e non vogliono combattere l’evasione, si fanno rubare sotto al naso 3 miliardi da 4.835 dipendenti pubblici corrotti o ladri: lo dice la Guardia di finanza in un rapporto sui danni erariali contestati nei primi sei mesi del 2015. Quegli stessi Comuni che non riescono a gestire nemmeno i biglietti dei tram (a Roma il 40 per cento non paga) si rivolgono alla Cassa depositi e prestiti per accendere mutui (9 miliardi nel 2014) alimentando la spirale del debito locale, mentre la stessa Cdp investe in operazioni finanziarie dalle perdite sanguinose come nel caso del 12,5 per cento della Snam che, comprato per 900 milioni, ora in Borsa vale 445 milioni.
È chiaro che quando questa inefficienza del Pachiderma, centrale e locale, viene eletta a sistema, quelli che ne fanno le spese sono i cittadini, colpiti nel loro punto debole: l’automobile. Senza, ovviamente, riuscire a tirare fuori un ragno dal buco.
A Roma nel 2014 sono state aumentate del 30 per cento le multe, ma gli incassi sono diminuiti del 23 per cento a quota 115 milioni. Idem a Bologna: nel 2014 le multe sono state 16mila in più sul 2013 ma gli incassi sono stati il 30 per cento in meno (24 milioni). A Napoli, dove secondo uno studio viene fatta una multa ogni 10 secondi, gli incassi del 2014 sono stati il 19 per cento in meno rispetto al 2013, a Palermo il 31 in meno. Ha senso tutto ciò? Sì, perché la massa di multe non incassate finisce nel bilancio dei Comuni proprio alla voce «residui attivi», magari con un grado di incassabilità del cento per cento, così da abbellire rendiconti che dovrebbero essere messi nelle mani di capaci curatori fallimentari.

(ha collaborato Francesco Bisozzi)