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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

ALBERTO SORDI

Roma, febbraio
Sono tredici anni che l’Albertone nazionale non c’è più, tredici anni il 24 febbraio. Eppure, prima dei ricordi, tocca occuparsi di un’attualità molto prosaica.
Nell’ottobre scorso, dieci persone sono state rinviate a giudizio per circonvenzione d’incapace e ricettazione. Risponderanno del primo reato l’autista peruviano di casa Sordi, Arturo Artadi, due avvocati e un notaio. Del secondo, i domestici che avrebbero accettato donazioni pari a 2,5 milioni pur conoscendone la provenienza dubbia. Vittima la signorina Aurelia Sordi, morta poi nell’ottobre 2014 a 97 anni, e fino ad allora erede di tutto quanto avesse Alberto.
La prima udienza è stata fissata a gennaio 2017, ma quello che hanno definito er pasticciaccio brutto de casa Sordi si tinge anche di giallo, con allontanamenti e sparizioni. 37 parenti del grande attore, che non aveva figli ma solo due sorelle e un fratello anche loro senza prole, hanno impugnato il testamento di Aurelia col quale designava erede universale la Fondazione da lei costituita. Era il 21 aprile 2011. Si vuole accertare se la signorina fosse ancora nel pieno delle sue facoltà.
INGENTI E SOSPETTE MOVIMENTAZIONI DI SOLDI
Tutto parte dalla denuncia alla Procura del direttore di banca Umberto Catellani che gestiva la fortuna dei Sordi con grande prudenza e che si insospettisce di fronte alle ingenti movimentazioni di denaro dell’ex autista, dotato di procura generale. Siamo nei primi mesi del 2013: le donazioni ai domestici risalgono al novembre 2012, la procura ad Artadi è del gennaio 2013.
Viene istruita dal tribunale una perizia sulle reali condizioni di salute di Aurelia e la perizia dice che, al momento dei fatti contestati, la donna presentava un evidente degrado cognitivo, insomma una demenza senile.
Ma nel 2011, quando Aurelia fece testamento e istituì la Fondazione Museo Alberto Sordi, quali erano le sue reali condizioni? La perizia del gip, nero su bianco, dice: «Si deve ritenere che questo stato fosse già presente all’epoca», quando il medico di famiglia professor Rodolfo Porzio va per la rituale visita alla signorina e se la ritrova a parlare con i personaggi in televisione. Per questo è in corso anche un processo civile (prossima udienza in primavera) che potrebbe stabilire la nullità del testamento.
Soldi, truffe, risse. «Che me metto, ‘n’estranea in casa?», era la celebre battuta con cui Albertone liquidava chiunque gli chiedesse conto del suo essere celibe. Già, chi c’era in casa? Innanzitutto Arturo, che Alberto aveva preso a 17 anni e dotato di patente, più la governante Pierina, la badante di Aurelia e altri collaboratori. Tutti a dire del grande amore che li lega ai Sordi, dell’affetto e della riconoscenza, «dell’essere come figli». Piagnucolosi in tv a dare degli «avvoltoi» ai parenti, almeno fino al rinvio a giudizio. Pare che in questo famoso testamento ora in esame, Aurelia avesse garantito a tutti un posto di lavoro alle dipendenze della neonata Fondazione, ma niente quattrini. Artadi, però, avrebbe convinto la padrona a cambiare notaio e avvocati, attualmente sotto processo, per farsi firmare la procura generale su un patrimonio stimato 80 milioni (solo la casa di via Druso, che affaccia sulle Terme di Caracalla, sembra ne valga 25). Quando fu allontanato su ordine del giudice, a ottobre 2014, Aurelia rimase in vita per pochi giorni ancora. Gli era molto affezionata, comunque.
Oggi ha sentito i parenti, quelli che secondo qualcuno non s’erano mai visti prima e «invece mo’ spuntano come funghi». Loro no, non ci stanno a interpretare la parte dei “parenti serpenti”. Dice per tutti Igor Righetti, pronipote di Sordi da parte della madre Maria Righetti, conduttore radiofonico e televisivo, attore, per 12 anni al timone del Comunicattivo su Radio 1: «Non ci interessano i soldi. Noi vogliamo solo aiutare la magistratura nella ricerca della verità e che i colpevoli vengano puniti. Io personalmente, come molti altri, non riuscivo più a comunicare con zia Aurelia. Mi dicevano “ora non c’è”, “ora non si sente”, “ora è a Messa”, per cui non potevo più farle neanche gli auguri di Natale o di Pasqua. Questo isolamento è stato voluto e non ha riguardato solo noi parenti, ma anche il medico curante di Aurelia e le sue amiche più care».
LA GRATITUDINE PER IL PRIMO SMOKING
A Igor restano i ricordi belli di famiglia: «Mio padre capo claque all’Ambra Jovinelli e negli altri teatri di rivista, il primo smoking che ad Alberto regalò mio nonno Primo: lui lo ricompensò pagandogli tutte le cure di cui poi ebbe bisogno, quando rimase paralizzato.
«Nel 1982, In viaggio con papà fu in parte girato in Maremma. Era un attimo dallo studio di scultore di mio padre ad Alberese, e lì facevamo lunghe chiacchierate. Mi chiamava lo “scugnizzo”: “A’ Igoreee”. La televisione non gli interessava, amava la radio dov’era nato: “Vedi Igoree”, mi diceva, ”devi sta’ attento al timbro della voce e poi inventate un saluto, sennò sei uguale a tutti l’altri”. Zio Alberto non era certo lo zio della domenica. Schivo, riservato, metodico con il rito della pennichella pomeridiana, ha girato quasi 200 film. Il 15 gennaio, puntualmente, partiva per un mese in Brasile.
«Noi parenti ci siamo mossi quando abbiamo letto dei presunti raggiri sui giornali. Agiamo nel rispetto di zio Alberto e di zia Aurelia. Io Alberto non lo ricordo certamente solo adesso. Dalla sua morte gli dedico uno speciale per ogni anniversario e ho ideato l’evento teatrale “Alberto Sordi privato”». Aveva manie, rimpianti? «Teneva sempre le persiane socchiuse perché il suo antiquario di fiducia, Apolloni, gli diceva che il sole rovinava quadri e mobili. Senz’altro gli dispiacque non aver mai avuto una candidatura all’Oscar, ma sperava ancora: “In fondo Chaplin ci riuscì a 83 anni”».
Renato Ferrante, pronipote da parte della mamma di Alberto, vanta una foto con l’attore sul set di L’avaro. La somiglianza c’è e si vede. «Ma io facevo il figurante, sono solo fiero di essere un suo parente. Lo vidi a Ostia sul set di I Vitelloni e tanto m’ero affezionato che l’andavo ad aspettare sotto casa a via dei Pettinari 40, allora abitava lì. Un giorno lo incontrai e lui mi offrì un cappuccino al baretto. “Ma dimme ‘n po’”, mi fece, “tu sei venuto qui per me o per il cappuccino?”. Cosa vogliamo dal processo? Che la casa diventi un museo, perché Alberto è patrimonio di tutti. E che la Fondazione sia gestita in maniera trasparente».
Gianfranco Sordi, cugino da parte del padre Pietro, carriera da musicista, ricorda gli incontri alla Fono Roma. «Io andavo lì a registrare, lui doppiava Fumo di Londra. Quando c’era Alberto succedeva la rivoluzione, i cartelli attaccati alle porte: “Vietato entrare!”. Andavo a trovarlo sui set, anche per l’affettuosità che lo legava a mio padre. E lui era sempre cortese, gentile: “Dimme, dimme se te serve qualcosa”. Quando s’ammalò sono andato più di una volta alla villa, ma lì era impossibile entrare».
Ricordi gastronomici. Carlo Filippo Livignani da Valmontone, paese di Sordi padre, è cugino da parte materna e aveva una nonna di nome Ginevra. Questa nonna faceva gnocchi e fettuccine squisite, tanto che Alberto ne decantava la prelibatezza. «Mia mamma compì 100 anni nel 2005 e per tre volte cercammo zia Aurelia che era stata cresimata da lei. Non ci fu niente da fare, le telefonate andarono tutte a vuoto. Quindi non è che i parenti fossero spariti, è che non venivano ricevuti! Alberto l’avevo visto a Venezia, dove ottenne il Leone d’Oro alla carriera nel 1995 e io avevo una casa. Mi abbracciò e mi chiese di mamma. “Ah, sei il figlio di Maria!”. L’invitai, ma aveva una conferenza stampa».
Susanna De Luca, cugina da parte di padre, ricorda i set sotto casa in corso Trieste: «Mamma gli disse che mia sorella Daria stava cercando lavoro e lui le offrì il posto da dattilografa nel suo studio». Ed eccolo lì, Alberto piccolino, al matrimonio di Fulda Sordi e Carlo De Luca. «Però, poi, le sorelle sono state molto gelose di lui, non lo lasciavano quasi avvicinare».
L’esuberante signora Mirella Sordi, un’altra cugina, racconta del padre Lelio, detto Lelletto, che faceva avanspettacolo. «Era più grande di Alberto e fu lui, in parte, a instradarlo. Mi ricordo come fosse ieri quel giorno del 1967 in cui andai in villa: portavo allo zio la partecipazione delle mie nozze. Lui disse che non sarebbe potuto venire, ma che mi avrebbe mandato un bel regalo. E, infatti, arrivò un vassoio d’argento».
ANCHE LA SEGRETARIA È INAVVICINABILE
Maria Antonietta Schiavina, la biografa di Sordi con Storia di un commediante, ora impegnata su un nuovo libro, lamenta di non poter più parlare con la storica segretaria di Alberto, Annunziata Sgreccia, depositaria dell’archivio e dei segreti non solo dell’attore e responsabile dell’amministrazione domestica e finanziaria. «A via Druso non c’è più e so che si trova in una casa di riposo alle porte di Roma. Suo nipote Tonino, però, non vuole che la incontri. Per quali ragioni?». Speriamo che Sordi trovi pace.