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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

PIERDANTE PICCIONI

Codogno (Lodi), febbraio
Tentare di raccontare la storia di Pierdante Piccioni, stimato medico lombardo e padre di famiglia, significa rimboccarsi le maniche e affrontare i paradossi che impongono i viaggi nel tempo. È la mattina dell’ultimo giorno del maggio 2013. Piccioni, per qualche motivo che nessuno conosce, esce di strada con la sua auto. Un incidente come mille altri. Sbatte la testa, perde i sensi, e si risveglia qualche ora dopo al Pronto Soccorso di Pavia, ricoverato nella struttura della quale è primario.
UN LUNGO SALTO INDIETRO NEL TEMPO
Il paradosso inizia quando riapre gli occhi: si risveglia qualche ora dopo, ma lui, il dottor Piccioni, quando riprende conoscenza, è convinto che sia il 25 ottobre del 2001: certo, ha avuto un incidente d’auto, ma subito dopo aver portato a scuola suo figlio Tommaso, che compie 8 anni, e proprio per questo prima si è fermato lungo la strada a comprare dei pasticcini. Dalla sua memoria sono scomparsi 12 anni di vita. Liti, successi, letture, studi, vacanze, film: non c’è più nulla, nemmeno la più flebile traccia, e se ci si riflette, quello che non si ricorda in fin dei conti è come se non lo si fosse nemmeno vissuto.
CHE FINE HANNO FATTO FILIPPO E TOMMASO?
«Ho aperto gli occhi sul letto dell’ospedale e come prima cosa ho chiesto dei miei due adorati bambini. Non ricordavo nulla dell’incidente e temevo fossero in auto con me». Racconta Pierdante Piccioni. «Mi hanno rassicurato e mi hanno detto: “Dai, stanno bene, sono qui fuori”. Dopo un istante sono entrati due ragazzoni sgraziati. Chi erano quei due sconosciuti? Che fine avevano fatto i piccoli Tommaso e Filippo, di 8 e 11 anni, che avevo appena lasciato a scuola?». Poi fa una pausa, ha gli occhi lucidi: «Il più grande, si è avvicinato al letto e mi ha detto: “Papà, sono Filippo, mi riconosci?”. Ho cercato di riconoscere i suoi occhi, ma sono riuscito a dirgli solo: “Sono stanco, e molto confuso”».
«HO TRADITO MIA MOGLIE CON MIA MOGLIE»
Pierdante Piccioni è tornato nel 2001, però è solo, perché tutti gli altri gli sono andati via, sono 12 anni più avanti. «Mi sono ritrovato in un mondo che non era il mio, in cui la sensazione prevalente era il disagio. Tutte le persone che conoscevo erano inspiegabilmente invecchiate, i loro volti segnati dalle rughe. E poi c’erano delle assenze incolmabili. Che fine avevano fatto i miei due adorati bambini? Era tutto incredibile e spaventoso. Quando quei due ragazzoni si sono spacciati per i miei figli ho pensato: “Nell’incidente ho ucciso Filippo e Tommaso e ora hanno trovato due figuranti per fargli recitare una parte”. Ancora ho i sensi di colpa nei loro confronti. Quando sono entrati in camera ho detto al medico: “Ma chi diavolo sono questi? Mandateli via”».
Ogni aspetto della vita affettiva, di Piccioni viene deformato dal buco nero che ha inghiottito i suoi ultimi 12 anni: «Dopo qualche tempo ho fatto l’amore con mia moglie Assunta, per la prima volta dopo l’incidente: è stato particolarmente emozionante. Lo ammetto, parte di questa intensità era data dalla sensazione di stare con una persona nuova. È un paradosso, ma io stavo tradendo mia moglie con mia moglie. Non c’era più la ragazza delicata del 2001, e avevo al mio fianco una donna attraente e intensa, inesplorata».
LE CONSEGUENZE DEL CORTOCIRCUITO EMOTIVO
«Per sette o otto mesi ho vissuto da marziano». Descrive con queste parole il post incidente. «Io, nel 2013 ero uno straniero, un alieno, e quindi ho tentato in tutti i modi, per un periodo, di restare nel 2001. Mi sono isolato, andavo davanti alle scuole elementari dei miei figli, aspettandoli inutilmente all’uscita, rifiutavo quei due ragazzi che sostenevano di essere Tommaso e Filippo. Sono arrivato molto vicino al suicidio. Un romanzo, Uomini e Topi, di Steinbeck, in qualche modo mi hai riportato in carreggiata. In una delle ultime pagine il protagonista decide di uccidere l’amico disabile, e mi sono reso conto che anche io volevo uccidere la mia parte inferma».
Quindi cosa fece? «L’unica cosa che dovevo fare. Ho cominciato a ricostruire tutto: il rapporto con i miei figli, che respingendoli avevo rischiato di perdere. La mia posizione professionale, buttandomi nello studio e rifiutando la pensione di invalidità. Ho letto centinaia di mie vecchie mail, stupendomi che esprimessi volontà e concetti che sentivo del tutto estranei. Dovevo imparare tutto. Mi sono risvegliato pensando che il Papa fosse Wojtyla e il presidente degli Stati Uniti Bush... Una cosa mi consola: mi devo essere addolcito molto, perché tutti ora, collaboratori e famigliari, mi dicono: “Pierdante, l’avessimo saputo prima, la botta in testa te la davamo noi».