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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

APPLE – Milano, febbraio Quella che si sta giocando in questi giorni è una partita storica: da una parte c’è l’Fbi, la potentissima polizia federale degli Stati Uniti, dall’altra la Apple, la società più ricca del mondo

APPLE – Milano, febbraio Quella che si sta giocando in questi giorni è una partita storica: da una parte c’è l’Fbi, la potentissima polizia federale degli Stati Uniti, dall’altra la Apple, la società più ricca del mondo. Oggetto del contendere, un iPhone, per la precisione quello di Syed Rizwan Farook, il fondamentalista islamico che, insieme alla moglie Tashfeen Malik, lo scorso 2 dicembre ha assaltato un centro sociale a San Bernardino, in California, uccidendo 14 persone e ferendone 23. L’Fbi ha chiesto alla Apple di eliminare alcune protezioni da quel telefono per permettere l’accesso alla memoria interna, ma Tim Cook, l’amministratore delegato del marchio della mela morsicata, ha risposto con una lettera aperta, indirizzata a tutti i consumatori, nella quale, in buona sostanza, sostiene che la Apple non ha alcun programma disponibile per aggirare la protezione di quel telefono, e che non ha nessuna intenzione di realizzare un programma ad hoc, perché sarebbe un pericolo per la privacy di tutti. Un super spot per Apple La vicenda si è velocemente trasformanta in un super spot planetario per la Apple. Com’è possibile che gli esperti informatici a disposizione delle autorità statunitensi, gli stessi capaci di penetrare in qualsiasi computer, non riescano a violare un banale smartphone? L’ingegner Paolo Ginocchio, titolare di una società che si occupa di sicurezza informatica, spiega: «Localizzare telefonini, intercettare telefonate, sms, penetrare nelle mail o nelle conversazioni Skype non è così diffficile. Mentre, per esempio, per il tipo di funzionamento, cioè il passaggio da telefono a telefono senza transitare per i server, i messaggi di WhatsApp sono molto problematici da intercettare». E gli smartphone, che cosa hanno che li rende impenetrabili? «Da tempo la Apple sta lavorando per rendere sicuri i suoi prodotti. Il sistema che ha adottato si basa su concetti semplici, ma efficaci. Il codice che permette di entrare nel telefono è anche la chiave che cripta automaticamente tutti i contenuti memorizzati. Quindi, anche riuscendo ad accedere alla memoria, se non si conosce il codice di accesso, i dati sono illeggibili. Dopo i primi tentativi sbagliati, il telefono si blocca. La prima volta per 10 minuti. Poi si può inserire di nuovo il codice. Ma se è di nuovo sbagliato il telefono si blocca di nuovo per un’ora, e così via, con tempi sempre più dilatati. Infine, dopo dieci tentativi sbagliati il telefono, automaticamente, cancella tutto. I prodotti Apple sono oggi i più protetti, ma anche Google, con il suo sistema Android, si sta avvicinando a questi standard, e infatti si è schierata a fianco della Apple e contro l’Fbi. Chiariamo: stiamo parlando solo dei contenuti memorizzati all’interno del telefono. Faccio l’ultima precisazione. Il telefono di Farook è un vecchio iPhone5c. Credo che, volendo, la Apple potrebbe riuscire a sbloccarlo. Per i nuovi modelli, che hanno una doppia criptazione, credo sarebbe veramente difficile anche per i tecnici della casa» I motivi del no Ma perché Apple ha una posizione così intransigente? Nel telefono di Farook potrebbero essere contenuti dati importanti, magari per evitare nuovi attentati. La paura della grande azienda californiana è che, se ammettesse di avere un sistema per entrare nei suoi smartphone, quella che in gergo viene chiamata backdoor (porta di servizio), si aprirebbe una breccia nella sicurezza. Innanzitutto, se il software necessario non viene realizzato nessuno lo può trafugare o diffondere. Inoltre la Apple teme che una volta aperto il primo le richieste di sblocco potrebbero moltiplicarsi. E la stessa richiesta gliela potrebbero fare anche altre nazioni, ma con regimi poco o per nulla democratici, per esempio la Cina, e quindi preferisce non rischiare. l