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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

MI SONO FATTO L’HAMBURGER


Immaginate la scena. Anno 2020 (o poco più), un supermercato, clienti al banco frigo del reparto carni. Come oggi, prendono confezioni, leggono etichette, scelgono. Diversamente da oggi, però, lo fanno soprattutto tra due grandi categorie di prodotti: la carne “normale” e quella con la scritta “Nessun animale è stato ucciso per questo alimento”. Eppure anche questa sarà carne a tutti gli effetti, fatta di muscolo e grasso, ma prodotta in laboratorio.

PROTOTIPO. Ecco, è esattamente il futuro che immagina Mark Post, medico olandese dai modi gentili che promette di cambiare per sempre il nostro rapporto con gli animali d’allevamento. Un primo passo in questa direzione l’ha già fatto, creando l’hamburger più costoso della storia, il primo prodotto in vitro: 250.000 euro per una piccola “svizzera” cucinata a Londra in diretta tv nell’agosto 2013. «Era solo un prototipo, con un costo astronomico perché fatto praticamente fibra per fibra in un’università da tecnici specializzati, ma serviva a dimostrare che si può davvero produrre carne artificiale», dichiara Post, professore di fisiologia all’Università di Maastricht. Dimostrazione riuscita: ora la prospettiva è che nel giro di pochi anni la carne non la otterremo più macellando animali, ma in provetta, a partire da cellule capaci di dare origine a muscoli e grasso, prelevate senza troppo disagio da mucche, maiali, polli, pesci. «Volendo, perfino balene», precisa il fisiologo. Che ora è pronto per la fase due: saltare dal laboratorio al supermercato, rendendo il processo sostenibile su larga scala. «Con l’Università di Maastricht abbiamo lanciato la società Mosa Meat, spin-off che si occuperà dello sviluppo industriale». Per Post, produrre carne in laboratorio è «un’esigenza irrinunciabile, per dar da mangiare a tutti e tutelare l’ambiente». Già ora macelliamo circa 60 miliardi di animali l’anno (dati Fao 2013), soprattutto polli, poi maiali e bovini. «Ma la popolazione mondiale sta crescendo, e con essa le persone che, soprattutto nei Paesi emergenti, vogliono mangiare carne. Non riusciremo a stare dietro a lungo alla richiesta», spiega il medico olandese.

PARTITO DAI VASI. Post ricorda anche quanto sia dannosa la filiera della carne in termini di consumo di risorse – un terzo della produzione agricola riguarda colture che servono per nutrire animali – e di emissioni di gas serra. Sempre secondo la Fao, l’allevamento è responsabile del 14,5% di tutte le emissioni dell’uomo. Con la carne prodotta in laboratorio le cose andrebbero decisamente meglio: uno studio coordinato nel 2011 da Hanna Tuomisto, oggi all’Università di Oxford, sostiene che il manzo in provetta “costerebbe” fino al 99% di suolo e al 96% di emissioni in meno rispetto al tradizionale. «In più, consideriamo che meno animali sarebbero uccisi», aggiunge Post. Ecco perché, quando gli è capitata la possibilità di lavorare alla carne in provetta, il fisiologo non ci ha pensato due volte. «Nei primi Anni 2000 Willem van Eelen, uno dei pionieri della carne artificiale, ha lanciato un progetto che ha coinvolto le Università di Amsterdam, Utrecht e Eindhoven, e che ha ottenuto fondi governativi. Quando nel 2008 una dei ricercatori coinvolti si è ritirata, mi è stato chiesto di prendere il suo posto. Io lavoravo nel campo dell’ingegneria dei tessuti: mi sono occupato per 25 anni di ricerca cardiovascolare e nell’ultimo periodo proprio della “crescita” di vasi sanguigni artificiali, a partire da cellule staminali (quelle con la capacità di dividersi e produrre altre cellule), per usarli come by-pass per persone con malattie cardiache. Si è trattato solo di cambiare obiettivo», ricorda lo scienziato, che comunque continua a dedicare una parte del suo tempo ai vecchi progetti.

UN PO’ DI SALE... Il processo che ha portato al primo hamburger sintetico si compone di pochi passaggi. «Si parte dalle cellule staminali da cui derivano le fibre muscolari, prelevate dal bovino con una biopsia», spiega Post. La differenza non è da poco, visto che la mucca se la cava con un’anestesia. Il secondo step è la moltiplicazione delle cellule in provetta: quando ce ne sono abbastanza, sono trasferite in un bioreattore, un contenitore con un liquido in cui possono crescere ulteriormente. «Nel fluido fluttuano microsfere alle quali le cellule possono attaccarsi per moltiplicarsi meglio», continua lo scienziato. «Poi preleviamo le cellule dal bioreattore e lasciamo che, con vari passaggi, si organizzino in fibre. A questo punto basta assemblarle e il gioco è fatto. Tempo: da 3 a 5 settimane per far proliferare le cellule, più altre 3 per arrivare alle fibre finali. Abbiamo cosi le striscioline di carne da cui partire per costruire l’hamburger». Strisce lunghe un paio di centimetri e larghe pochi millimetri: per realizzare la svizzera cucinata a Londra ce ne sono volute circa 20.000, impastate con albume d’uovo, pan grattato, sale, pepe, zafferano. «E succo di barbabietola rossa per dare colore, perché altrimenti la carne sarebbe stata biancastra», precisa Post. Che ha assaggiato con entusiasmo la sua creazione, trovandola «migliore di qualunque sostituto vegetale della carne». Anche i critici gastronomici coinvolti nell’evento hanno promosso l’hamburger, giudicandolo molto simile a quelli di carne vera, solo un po’ meno morbido e succoso e un po’ più insipido. In effetti, il sapore della carne dipende da una sinfonia di componenti – muscolo, ma anche grasso e altri tessuti – mentre l’hamburger in provetta era fatto solo di fibre muscolari. Ora, però, Post e colleghi stanno lavorando proprio per migliorare questo aspetto. L’obiettivo è aggiungere al loro hamburger tutto muscolo almeno due nuovi elementi. Il primo è la mioglobina: una proteina simile all’emoglobina, che trasporta ossigeno ed è abbondante nei muscoli; contiene ferro e conferisce alla carne cruda il suo bel colore rosso. Il secondo è il grasso, fondamentale per gusto e consistenza.
«Le cellule usate per il nostro primo hamburger non producevano mioglobina per ragioni legate alle condizioni di coltura. Ora stiamo provando a farla produrre, per dare alla carne il colore rosso e il ferro: qualcuno dice che contribuisca anche al gusto», spiega Post. «Per quanto riguarda il grasso, si tratta semplicemente di coltivare anche lui a partire da cellule staminali. E lo stiamo già facendo».

COSTI. La sfida più grossa, comunque, rimane la produzione su scala industriale, per abbattere i costi. «Finora abbiamo lavorato con bioreattori da un litro e mezzo, ma con Mosa Meat puntiamo ad arrivare a un bioreattore da 25mila litri», dice Mark Post. A regime, potrebbe garantire carne per un anno a 10mila persone, a prezzi un po’ più abbordabili: la stima è di arrivare a 60 dollari al kg nel giro di 4/5 anni. Ma i consumatori saranno pronti? «Io credo di sì», scommette il medico. «Se consistenza, sapore e prezzo finiranno per essere gli stessi della carne normale, saranno in molti a preferire quella artificiale, per ragioni etiche e ambientali». Impossibile sapere a che punto siano i lavori di Mosa Meat: Post rimane sul vago, limitandosi a dire che sono in corso trattative con possibili investitori. I precedenti sono rassicuranti: l’hamburger da 250.000 euro è stato realizzato anche col grosso contributo di Sergey Brin, cofondatore di Google.
Valentina Murelli