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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

...E NEPPURE IO MI SENTO TANTO BENE


Alle 2,30 della notte di Natale, Matteo, 55 anni, si era svegliato con il cuore in gola. «Da 3-4 giorni qualcosa non andava, mi era anche sembrato di percepire qualche extrasistole, ma quella tachicardia era una sensazione nuova», ricorda. Con la moglie erano andati al pronto soccorso dove, dopo due ore di osservazione e l’elettrocardiogramma di rito, lo avevano tranquillizzato e rimandato a casa. Non era la prima volta che l’uomo si rifugiava in ospedale. Ci era finito un mese prima, dopo una notte fortemente disturbata da un formicolio al braccio sinistro. E quella volta, dopo il solito elettrocardiogramma, i medici avevano ipotizzato un’infiammazione ai nervi e consigliato un po’ di potassio, più per il suo effetto placebo che per la reale attività terapeutica. In un paio di ore il formicolio era scomparso.

IL DÌ DI FESTA. Matteo (nome di fantasia ma persona reale) è un ipocondriaco della domenica: il problema gli si presenta sempre nei giorni festivi. Ma sa di esserlo e il più delle volte si tranquillizza da solo. Per evitare le crisi riempie di attività anche i giorni di vacanza (di professione scrive libri scientifici). Ma a novembre e dicembre, tra un lavoro e l’altro, i sintomi si sono ripresentati.
Ipocondria, spiegano Thomas Hartl e Hans Morschitzky autori di Guarire la malattia che non c’è, guida alla sopravvivenza per ipocondriaci (Urrà edizioni 2014) deriva da hypochondrion, così i Greci del periodo classico definivano la parte superiore del ventre posta “sotto (hypo) la cartilagine costale (chondros)”: lì si aggregano a destra fegato e cistifellea; al centro stomaco e apparato digerente e a sinistra la milza; e poiché vi si concentrano la maggior parte dei dolori, lì si pensava avesse sede la malattia.

PIÙ SESSO. La terapia degli antichi? Più sesso. Poi, tra il 17° e il 18° secolo l’ipocondria assunse l’attuale inquadramento di paura patologica delle malattie.
Matteo non è un’eccezione. «Chi più chi meno, tutti oggi siamo ipocondriaci», dice Enrico Rolla, psicoterapeuta cognitivo comportamentale dell’Istituto Watson di Torino. E anche per Brian Fallon, psichiatra alla Columbia University, almeno un quarto dei pazienti che si recano in ambulatorio ci va senza una causa medica identificabile e circa il 12% della popolazione soffre di qualche tipo di “paura della malattia”. Oggi è anche peggio, perché la tecnologia amplifica le paure. Ci sono app, come Sickweather, che scansionano i social network a caccia di informazioni sulla salute e aggiornano sulla distribuzione geografica dei rischi: influenza a Milano, Como e Varese, pertosse a Roma Primavalle... E poi ci sono le mail con avvisi sanitari planetari: epidemia di Norovirus a Baltimora, streptococco a Londra, tonsillite a Berlino. Si aggiungono i sistemi di misurazione ormai alla portata di tutti: dall’orologio con cardiofrequenzimetro al misuratore continuo della pressione arteriosa alle strisce di reagente per analizzare i parametri delle urine.
Qualche responsabilità ce l’hanno anche i mass media, in particolare i programmi tv che si occupano di salute. Un report della società Omnicom Media Group somma le singole audience del 2014 arrivando alla strabiliante media giornaliera di 6 milioni di spettatori: 1 italiano su 10. Il risultato è su Facebook, dove la community “Diario di un ipocondriaco” ha oltre 55mila seguaci. E su Twitter: con l’hashtag ipocondria, l’utente Carola scrive: «dopo 15 minuti di Elisir sto già chiamando l’ambulanza». Risponde Dilnick: «Devo smetterla di vedere Dottor House, a fine puntata mi faccio venire tutte le malattie di questo mondo».

AUTO-DIAGNOSI. Dall’altra parte della barricata ci sono i medici di pronto soccorso. Maria Pia Ruggieri, che è responsabile all’Ospedale San Giovanni di Roma, nota una certa corrispondenza fra i programmi di salute e le autodiagnosi dei suoi pazienti. «Nel 2001 si parlò di carbonchio-antrace per alcune lettere contenenti spore spedite negli Stati Uniti», nota Ruggieri, «e anche qui arrivavano pazienti con tutti i sintomi dell’infezione. Qualche anno più tardi, era il 2009, arrivò il turno dell’influenza suina; e la gente veniva con la febbre, convinta di essere in punto di morte. Se ieri i notiziari hanno parlato di Aids, si può essere certi che oggi ci sarà una fila di presunti infetti da Hiv».
Il nostro Matteo non si può definire un “frequent flyer” dell’ipocondria: con questo appellativo in pronto soccorso si riconoscono i frequentatori regolari. «Alcuni li vediamo una volta alla settimana», racconta Andrea Fabbri, direttore del Dipartimento emergenza e accettazione di Forlì. Aggiunge Ruggieri: «Oggi con un’autodiagnosi, domani con un’altra, tutte molto specifiche. Non dicono di aver mal di pancia, ma di avere un tumore del lobo sinistro del fegato; non hanno un dolore toracico, ma un infarto miocardico acuto laterale destro. La precisione è il risultato dei vagabondaggi su Google». Un recente studio di Aviva, compagnia di assicurazione britannica, conferma: in dieci anni i pazienti che si fanno l’autodiagnosi sono passati dal 15 al 44% del totale. «Vanno su Internet», spiega Arthur Barsky, psichiatra alla Harvard Medical School (Usa), «e così la diarrea diventa morbo di Crohn, il mal di stomaco si trasforma in ulcera perforata, e fra la stitichezza e il blocco intestinale il passo è breve».

ALLE ORIGINI. Dove nasce la paura delle malattie? A volte le radici sono nella cultura familiare. Anche Alessandro, 18 anni, è stato in cura da Enrico Rolla. La litania quotidiana delle apprensioni ipocondriache materne non può non aver fatto danni. «Copriti bene. Mettiti anche la sciarpa se non vuoi un mal di gola. Sei sicuro di star bene? Vai dal medico: bisogna stare attenti». In altri casi basta un errore di diagnosi in famiglia per non fidarsi più dei medici. Il papà di Roberto, un paziente ipocondriaco di 35 anni, è morto di tumore e la diagnosi è stata tardiva. Ora il figlio è tranquillo solo se il medico gli prescrive di routine tutti i marcatori tumorali.
Altre volte all’origine c’è un trauma: quando Matteo aveva 20 anni, il padre ha avuto due infarti e questo spiega il concentrarsi al cuore di tutti i suoi sintomi. Talora l’ipocondria è una fase passeggera, legata al mestiere: quasi tutti gli studenti di medicina ne soffrono.
Alcuni ipocondriaci, come Matteo, sono in grado di controllarsi: «Quando ho avuto l’attacco di panico più forte stavo lavandomi i denti: mi sono guardato nello specchio e mi sono detto: che diavolo stai facendo? E nel giro di 15 minuti la crisi è rientrata. L’ipocondria è irrazionale, ma dopo anni di esercizio l’autocontrollo vince sempre più facilmente». Ciò nonostante, anche se poco, la malattia condiziona Matteo: quando va in vacanza all’estero si preoccupa che la tessera sanitaria sia utilizzabile, altrimenti stipula un’assicurazione sulla salute. Per altri non è così semplice. «La malattia può assumere forme veramente gravi che disturbano la qualità della vita», dice ancora Rolla. «Questi pazienti stanno male perché le crisi di ansia sono tanto forti da non essere più controllate e rischiano addirittura di perdere il lavoro». Di loro parla il Dsm 5, la bibbia della psichiatria contemporanea: se la paura di una particolare malattia dura da almeno 6 mesi, il malanno non si chiama più ipocondria, ma “disturbo da sintomi somatici”: colpisce il 5-7% della popolazione, più le femmine dei maschi.

GUAI DELLA MENTE. Fra questi ci sono: Alberto, che si sveglia di notte con l’infarto e urla tanto da svegliare i familiari; Maria, che trascorre buona parte della notte in piedi perché ha un po’ di tachicardia e non vuole morire nel sonno; e Carlo, che nonostante gli esami ripetutamente negativi è convinto di avere la Sla e vaga tra centri plurispecialistici alla ricerca del medico abbastanza bravo da confermare le sue certezze. Dice un proverbio yiddish: “una malattia immaginaria è peggio di una malattia”. Nel caso del disturbo da sintomi somatici non si tratta di immaginazione. È una vera malattia della mente. Per fortuna, come per gli altri disturbi ossessivo-compulsivi, un rimedio c’è: è la psicoterapia cognitivo-comportamentale. La consigliano le tre maggiori istituzioni internazionali: i Nice britannici, il National Institute of Mental Health americano e la Public Health Agency canadese. Tutti concordi: è la più efficace. Ma il Servizio sanitario italiano non la offre, e i pazienti sono costretti a pagarsela. In alternativa ci sono gli ansiolitici, che però agiscono solo momentaneamente, sul sintomo.
Ma attenzione: come i medici di pronto soccorso sanno bene, l’ipocondriaco ha ragione almeno una volta nella vita. Dice l’epitaffio sulla tomba del commediografo Spike Milligan, anche lui appartenente alla categoria: “Te l’avevo detto che ero malato” (I told you I was ill).
Amelia Beltramini