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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

UNA NEVE COI FIOCCHI


Chi nell’ultimo scorcio di 2015 aveva programmato una bella settimana bianca sulle montagne italiane, di bianco ha visto ben poco. A gennaio è andata un po’ meglio, ma nel frattempo molti avevano additato quelle cime senza neve come l’ennesimo sintomo del riscaldamento globale. Ma davvero la neve è in via di estinzione per colpa del clima che cambia? Non esageriamo. I dati mostrano che in media sui nostri monti non nevica meno che in passato, anzi. Semmai nevica in modo diverso. Perché, come vedremo, di neve non ce n’è una sola.

COME NASCE UN CRISTALLO. La neve è infatti il risultato di un delicatissimo equilibrio tra due fattori: temperatura e umidità. Basta una piccola differenza in uno dei due per dar luogo a una precipitazione più o meno abbondante, fatta di fiocchi di un tipo o di un altro, destinata o meno ad “attaccare” e rimanere al suolo più o meno a lungo. Gli ingredienti di una nevicata sono nuvole sature di acqua (vapore o minuscole goccioline) e temperatura sotto zero. Il primo seme di un fiocco di neve è una particella di polvere o polline presente nella nube, attorno alla quale congela una goccia d’acqua. I legami chimici tra le molecole d’acqua fanno sì che esse si dispongano in forma di esagono, iniziando la famosa struttura simmetrica del fiocco. Quest’ultimo poi cresce attirando altre molecole di vapore d’acqua, che si aggiungono l’una sull’altra come mattoncini Lego.
Sono sempre temperatura e umidità all’interno della nube a determinare dove si sistemano i nuovi mattoncini, e quindi la forma del fiocco. Se siamo appena sotto lo zero, il cristallo cresce per lo più in larghezza, diventando un esagono piatto chiamato piastrina; se però l’umidità è particolarmente alta, la crescita avviene sul perimetro esterno del fiocco e si formano i dendriti, le tipiche stelle a sei punte come nella foto a sinistra. Sotto i -6 °C, il fiocco cresce invece soprattutto in altezza, formando aghi a sezione esagonale. Attorno ai -10 °C, sorpresa: il processo si inverte e tornano a formarsi le piastrine. Tra i 12 e i 18 gradi sotto zero tocca di nuovo ai dendriti. Poi sotto i -18 °C si torna a crescere in altezza, con la formazione di prismi esagonali. Quando raggiungono un certo peso i fiocchi iniziano a cadere, raccogliendo via via altre particelle d’acqua. E se nel tragitto non incontrano aria calda, arrivano al suolo in forma di neve.

PIÙ STELLINE. Ecco spiegato quindi perché il riscaldamento globale non fa per forza diminuire la neve. È vero che ci sono meno giorni in cui l’aria è abbastanza fredda perché nevichi. Ma c’è anche più umidità nell’aria, per cui quando finalmente la neve si forma, cade più copiosa. Non solo, spiega Igor Chiambretti, direttore tecnico dell’Aineva (l’associazione che riunisce gli enti che studiano nevi e valanghe per le Regioni dell’arco alpino): cambia anche il tipo di fiocchi. «Aumentano quelli che si formano vicino agli zero gradi, come i dendriti stellari e le piastrine, a scapito di colonne e aghi che richiedono temperature un po’ più basse. Aumentano i cristalli irregolari, perché le temperature nei diversi strati delle nubi sono meno omogenee e si formano cuscini di aria fredda intrappolati fra strati di aria più calda. Nel complesso i cristalli aumentano anche di diametro, perché c’è più umidità a disposizione».

PERICOLO VALANGHE. Di qualunque tipo siano i fiocchi, una volta depositati al suolo iniziano a subire il cosiddetto “metamorfismo della neve”: trasformazioni dovute all’effetto di Sole, vento, nuove precipitazioni. Alcune lingue nordiche hanno un ricco vocabolario per descrivere i tipi di neve che possono così formarsi. «È una terminologia sviluppata in funzione della pastorizia delle renne», racconta Chiambretti. «A seconda delle condizioni della neve diventa più o meno facile far spostare le renne e trovare i licheni di cui si nutrono». Dalle nostre parti invece gli addetti ai lavori preferiscono classificare i tipi di fiocchi e poi dare “punteggi” alla neve in base al suo contenuto d’acqua (da asciutta a fradicia) e alla durezza (da quella molto soffice al ghiaccio). E si preoccupano soprattutto quando si sovrappongano più strati con caratteristiche diverse. È così, infatti, quando uno strato debole e instabile si trova sotto uno più compatto e resistente, che si formano le valanghe. Una volta al suolo, il delicato equilibrio che il fiocco di neve aveva raggiunto all’interno della nube, un ambiente saturo di umidità, non vale più. L’aria è molto più secca e il fiocco inizia a evolvere spontaneamente verso la forma più stabile, quella sferica. «Nei cristalli molto ramificati come i dendriti, sulle parti più acuminate l’acqua sublima (cioè passa direttamente da solida a vapore) e poi torna a solidificare sulle parti concave», sottolinea Chiambretti. «Se fa molto freddo, in alcuni giorni questo processo porta a cristalli tondeggianti e di diametro più piccolo». La neve si compatta e diventa più resistente. Se invece le temperature diurne sono vicine allo zero, si alternano cicli di fusione (di giorno) e rigelo (di notte) e si formano cristalli tondeggianti di diametro più grande, perché durante la fusione si forma una pellicola d’acqua liquida attorno al cristallo, che poi gela. Negli Stati Uniti chiamano corn snow (neve del granturco) la neve che ha subito molti cicli di fusione e rigelo. Tipicamente primaverile, è formata da “grappoli” di grandi dimensioni.

STRATI DIVERSI. Quando invece c’è molta differenza di temperatura tra lo strato a contatto con il suolo (più caldo) e quello in superficie, il vapore risale dalla base e ritorna solido sulla parte inferiore dei fiocchi che si trovano nello strato alto. L’aumento di dimensioni e lo sviluppo di nuove “facce” sui cristalli superficiali rompe i legami tra i fiocchi e crea un manto nevoso più friabile.
Anche il vento fa la sua parte, perché trasporta e rideposita la neve, e nel farlo provoca l’abrasione dei cristalli. Questi si riducono di diametro e si saldano tra loro per effetto della bassa temperatura, un processo chiamato sinterizzazione.
In certe condizioni, il vento crea vere dune di neve che, specialmente nelle regioni polari, possono formare bizzarre forme chiamate sastrugi, da una parola russa. Si tratta di campi di neve ondulati, con increspature alte diversi centimetri, appuntite nella direzione del vento.
Una piccola parte della neve che cade sulle montagne in inverno, magari protetta dall’ombra di una valle, resiste alla stagione estiva e diventa firn, una neve compatta che ha subito diversi cicli di fusione e rigelo. E questa a sua volta può diventare ghiaccio, che si differenzia dalla neve perché l’aria presente tra i fiocchi è stata completamente espulsa per effetto della pressione. È così che nascono i ghiacciai. Il resto della neve, invece, è destinato a sciogliersi in primavera e a scendere a valle, alimentando laghi e fiumi.
Quando i fiocchi naturali proprio non si decidono a cadere, ci si può arrangiare con quelli artificiali, prodotti da impianti sparaneve che pescano acqua da fiumi, laghi o bacini artificiali, la pompano fino all’altezza degli impianti, la nebulizzano e la fanno incontrare con un flusso di aria fredda creato da un compressore e un impianto refrigerante.

AL CALDO. Così si riproduce il fenomeno che crea la neve nell’atmosfera, ma in modo più uniforme e prevedibile. «I fiocchi artificiali sono piuttosto diversi da quelli naturali, perché le goccioline d’acqua da cui nascono gelano così bruscamente che acquistano forma sferica e hanno spesso ancora un nucleo di acqua liquida al centro», spiega Chiambretti. Certo, questi impianti possono poco se la temperatura non è almeno di qualche grado sotto lo zero. Ma anche per questo c’è una soluzione, proposta di recente dalla startup italiana NeveXN: un sistema – alimentato a energia solare – che porta l’acqua a un particolare equilibrio di pressione e temperatura, chiamato punto triplo, in cui è contemporaneamente solida, liquida e gassosa: in pratica bolle emettendo vapore e nello stesso tempo ghiaccia producendo neve. In questo modo si riesce a produrre neve artificiale a temperature esterne anche molto alte, in teoria fino a 15 gradi sopra lo zero. Per ora, spiega il responsabile Francesco Besana, si sono fatti vivi per richiedere questa tecnologia i produttori di pneumatici, che hanno bisogno di testare i modelli da neve già a settembre. Se un giorno saranno le località sciistiche a sollecitarla in massa, vorrà dire che il clima sarà davvero nei guai.
Nicola Nosengo