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 2016  febbraio 24 Mercoledì calendario

IL SORPASSO (PROVARCI SEMPRE)


[Andrea Iannone]

L’intervista comincia col piede sbagliato. Domanda: come si riparte dopo Sepang, lo scontro fra Valentino Rossi e Marc Márquez, le accuse di Vale a Valencia eccetera? Risposta: «Non torniamo su questa cosa. È un discorso finito, ha stufato». Ma... «Non mi esprimo su cose che non mi riguardano. Non sono Rossi né Márquez, sono Iannone». Però... «Parliamo delle cose positive, delle ultime gare che sono state le più belle nella storia della MotoGp. Se dobbiamo affrontare questo argomento, preferisco non farla proprio l’intervista». Andrea è così: schietto, uno che dice quello che pensa. Prendere o lasciare.
Abruzzese di Vasto (Ch), classe 1989, Andrea Iannone lo riconosci per l’inconfondibile erre moscia e gli atteggiamenti da bad boy. Ha una passione viscerale per i motori e colleziona motociclette, macchine, tatuaggi, anelli e scarpe (ne ha una cinquantina di paia). Ha cominciato a correre da piccolo con le minimoto e a 15 anni gareggiava già nel Mondiale 125: «All’inizio va tutto bene. Riesco spesso a stare col secondo gruppo, che non è scontato per un ragazzino all’esordio» racconta.
«La stagione successiva, però, mi rompo quattro vertebre e sono costretto a stare fermo tanto tempo. Ripartire da zero non è semplice, ma dopo un anno e mezzo vinco la mia prima gara. Riesco a rialzarmi e a tornare più forte di prima: un’esperienza che mi è servita molto per crescere». Sembra di sentire Champion Sound, la canzone che gli ha dedicato il suo amico rapper Guè Pequeno. Il ritornello fa così: «È con le lacrime, il sudore ed il sangue che puoi spaccare, diventare gigante...».
Dal 2013 Iannone corre in MotoGp, la Formula Uno delle due ruote. L’anno scorso con la Ducati ufficiale, nonostante un infortunio alla spalla non ancora risolto, ha raccolto ottimi risultati: tre podi, pole position al Mugello e quinto posto nella classifica finale (in pratica il primo degli «umani», visto che Honda e Yamaha erano su un altro pianeta). A Phillip Island, in Australia, ha pure sfiorato la vittoria. Il suo doppio sorpasso a Márquez e Rossi è stato il più bello della stagione, ma quel Gran Premio è rimasto impresso soprattutto per via del gabbiano (a cui ha dedicato la grafica del nuovo casco). Secondo giro. Andrea è in testa, all’improvviso gli compare davanti un grosso uccello bianco. E lui che fa: inchioda? Scarta per evitare l’impatto? Macché, gli dà una bella testata. Perché Iannone non aspetta l’ostacolo, lo anticipa: «Quando c’è un problema devi reagire subito, se stai lì a guardarlo la situazione peggiora... No, no. Io mi rimbocco le maniche e vado avanti».

Il suo motto è: «Sempre meglio chiedere scusa che permesso». Che significa?
«Vuol dire che devi provarci sempre. Nella vita bisogna essere decisi: se non sei sicuro delle cose che fai, poi non ti riescono. È come quando cerchi di fare un sorpasso all’ultima curva. Magari cadi e tiri giù pure l’avversario... Però ci hai provato, hai rischiato. Poi occorre anche avere l’umiltà di chiedere scusa, di capire l’errore per non ripeterlo».
Molti sportivi si rivolgono a uno psicologo per accrescere la fiducia in se stessi. Lei fa da solo?
«Mai stato da uno psicologo. Se ci andassi, poi sarebbe lui ad aver bisogno di cure... (ride, nda)».
La chiamano The Maniac. Come mai?
«Perché sono molto preciso nel fare le cose. Un perfezionista: mi piace l’ordine assoluto. Tutto deve stare al suo posto, il posto che ho deciso io... Solo così sono tranquillo».
All’inizio della sua carriera era molto istintivo. L’esperienza le ha insegnato a controllarsi?
«I primi anni non sono stati semplici. Correvo con team privati e moto non ufficiali, sempre arrancando... Sentivo di avere un buon potenziale ma non riuscivo a esprimerlo. In situazioni così non è facile tenere i nervi saldi. Quando invece le cose funzionano per il meglio, come adesso in Ducati, diventa tutto più facile».
Quindi è maturato...
«Prima ero più “cazzone”, ultimamente mi sto dedicando molto al lavoro. Da certi punti di vista sono cresciuto, da altri sono ancora un bambinone. E forse non cambierò mai».
Alcuni piloti scelgono di vivere a Londra, o a Monte Carlo. Lei è rimasto legato alla sua città.
«Ho un appartamento a Milano ma passo tanto tempo a Vasto. Lì ci sono la mia famiglia e tante persone di cui mi fido. Ho aperto un ristorante, il Ventinove (29 è il suo numero in gara, nda), fra qualche mese si aggiungerà un altro locale».
Non sarà uno di quelli che segue Masterchef in tv...
«Ma sì, quando posso lo guardo. È un mondo che mi piace. Qualche piatto lo so anche cucinare: Carbonara, tortellini con la panna, gnocchi di patate al ragù. Ma il mio preferito in assoluto è la battuta di gamberi del mio ristorante».
Com’è la giornata tipo di Andrea Iannone?
«Tra gare e viaggi, da gennaio a novembre sono sempre in ballo. Quando sono a casa faccio lezione di inglese dalle 10 alle 11,30, poi seduta in palestra, pranzo e ancora allenamenti».
Certo l’inglese è fondamentale nel suo lavoro...
«Purtroppo sì... Le mie conferenze stampa sono comiche, sudo più lì che in gara! Ho un insegnante privato, sto migliorando ma poi, quando devo parlare, uso sempre le stesse parole. Forse sarebbe più utile passare due o tre mesi negli Stati Uniti».
E quando ha bisogno di staccare, che fa?
«Non si può dire... No, dài: guardo tanti film, tutti tranne gli horror. I miei preferiti sono quelli coi boss mafiosi: gli episodi de Il padrino, le serie tv come Il capo dei capi, Gomorra e Romanzo Criminale. Mi piace capire com’erano le loro vite».
L’ultimo libro che ha letto?
«My Way, quello su Berlusconi raccontato da Alan Friedman. Non leggo tanto, vado a periodi».
Torniamo alle moto. Nella prossima stagione ci saranno tante novità. Nuove gomme, vecchia elettronica. Rossi ha detto: «È come ritrovarti con un pc di dieci anni fa dopo esserti abituato al Mac».
«È vero, siamo tornati indietro. Ma forse non è male: le nuove moto sono più divertenti da guidare. Per lei sarà un anno importante, il contratto con la Ducati è in scadenza. Si è dato un obiettivo?
Sul mio casco c’è un mirino perché l’obiettivo è migliorarmi sempre: voglio fare meglio del 2015». Migliorarsi vuol dire vincere, giusto?
«Io guardo la classifica generale, per me è quella che conta. La vittoria fine a se stessa non porta niente di positivo».
La Ducati negli ultimi due anni ha recuperato molto terreno rispetto a Honda e Yamaha. Quest’anno sarete ancora più vicini?
«In teoria dovremmo avere tutte le carte in regola per poter essere competitivi, ma è difficile fare delle valutazioni prima che inizi il campionato».
Casey Stoner è tornato in Ducati da collaudatore e nei primi test è stato molto veloce. Teme che possa sfilarle la moto da sotto il sedere?
«Assolutamente no. In Ducati sto bene, mi sento apprezzato e voluto: non sono preoccupato anche perché sono sicuro dei miei mezzi».
Di lei e del suo compagno di squadra Andrea Dovizioso hanno scritto: «Il calmo e il tamarro». Siete molto diversi, andate d’accordo?
«Non siamo così diversi: ci chiamiamo allo stesso modo, facciamo lo stesso sport e guidiamo la stessa moto... Siamo già a tre cose in comune! No, dai. Le differenze ci sono ma il rapporto è buono, non abbiamo mai discusso, né in pista né fuori. Dovi è un po’ più vecchio di me: magari fra qualche anno sarò più simile a lui».
Da fuori sembra uno attento al suo aspetto fisico. Quanto tempo passa davanti allo specchio?
«Sinceramente, poco: adesso ho i capelli corti, basta asciugarli e sono a posto».
Com’è il suo stile, come le piace vestirsi?
«Coi vestiti (ride, nda)! Negli ultimi tempi metto i pantaloni col cavallo basso e le magliette lunghe. Però indosso anche gli abiti ogni tanto».
Quanti tatuaggi ha?
«Un attimo che li conto: uno, due, tre... Sono sette. Ma quest’anno ne farò sicuramente un altro».
Nel suo garage ci sono una settantina di moto e un bel po’ di auto. Qual è la più potente?
«Ho appena venduto la Lamborghini Gallardo Superleggera, quindi rimane l’Audi RS6: ha 580 cavalli, va a 300 all’ora... Però con la Lambo andavo più forte!».
«Se ti dico quanto spendo di multe ti spaventi» disse qualche anno fa. Ne prende ancora tante?
«No, ora ne prendo meno, sono diventato bravo».
Le hanno appiccicato addosso l’etichetta di «nuovo Valentino». Il paragone le fa piacere?
«Sono cresciuto guardando le vittorie di Vale, ovvio che mi piacerebbe diventare il suo erede. Lui però alla mia età aveva già conquistato tanti Mondiali: la mia storia è completamente diversa».
In effetti, fra i piloti top della MotoGp, Iannone è l’unico che non ha ancora vinto un Mondiale...
«Come dicevo, i primi anni non sono stati facili. Ma è inutile stare qui a interrogarsi sui perché e i percome: ora ho tutte le possibilità per poter vincere, sono in uno dei momenti migliori della mia vita, vedremo cosa sarò capace di fare».
Che rapporto ha con i social network?
«Direi buono: certi giorni ho voglia di scrivere e altri meno. Però non abbiamo mai litigato».
In Australia, dopo che ha tenuto dietro Rossi all’ultimo giro, su Facebook qualcuno l’ha attaccata: «Non sei un italiano vero», «Emigra in Spagna». C’è rimasto male?
«Per fortuna, sono stati molti di più quelli che mi hanno fatto i complimenti... Bisognerebbe viverla, una gara, per capire cosa significa per un pilota: quanta preparazione c’è dietro, quanto lavoro. Corro per me, non per gli altri. E per un podio darei la vita».