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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

L’ORA DEI GIORNALI GLOBALI LA GREY LADY MOSTRA LA VIA


«Bienvenidos a The New York Times eri Español» recita il titolo dell’editoriale che saluta i primi lettori del sito in spagnolo lanciato dalla grey lady newyorkese lo scorso 7 febbraio. La firma è della giornalista Lydia Polgreen che guida il team appositamente creato dalla testata per sviluppare progetti editoriali internazionali. Per il momento la sezione online produrrà una decina di articoli al giorno (in parte originali, in parte traduzioni dalla testata principale) niente di trascendentale quindi. Ma i responsabili del giornale sembrano tenere davvero molto a questo progetto, visto che già nel febbraio dello scorso anno è stato lanciato online NYT América che in questi mesi è stato fatto crescere con articoli sempre di maggiore respiro. Poi un lungo lavoro preparatorio sul campo a Città del Messico, da dove opera lo staff e la redazione del sito, durato circa un anno prima del lancio definitivo del progetto.
Un lavoro accurato che servirà da modello per lanciare nuove operazioni editoriali simili in altri Paesi già entro la fine del 2016. Un importante banco di prova quindi per quella internazionalizzazione che al New York Times hanno posto come uno dei principali obiettivi strategici della testata. In questi anni il Times, ha scritto la Nieman Lab, la prestigiosa rivista di giornalismo dell’Università di Harvard, sta sempre più impegnando energie e risorse per diventare un’azienda globale e multilingue. In scala ancora più grande, la dinamica di mercato potrebbe essere quella che anni fa ha trasformato alcuni giornali delle grandi aree metropolitane in importanti testate nazionali. Lo ha fatto capire chiaramente lo stesso direttore del Times Dean Banquet in una nota inviata alla redazione a inizio dello scorso anno: «Proprio come il Times trovò un mercato interamente nuovo quando divenne una pubblicazione veramente nazionale, adesso crediamo esista la possibilità concreta di far crescere il nostro pubblico internazionale».
Il New York Times non è l’unico grande gruppo editoriale a guardare con interesse all’enorme potenziale rappresentato da un mercato composto da circa 560 milioni di persone che al mondo parlano spagnolo (di cui 470 milioni madrelingua). Ad esempio Cnn en Español rete televisiva in spagnolo del network americano ha iniziato a trasmettere già dal 1997 e poi Bbc Mundo e il Wall Street Journal che ha già una sua versione online in spagnolo. Anche da noi, almeno sulla carta, ci si sta muovendo in questa direzione: Rcs nel suo nuovo piano industriale ha messo proprio l’audience internazionale di lingua spagnola nel mirino inserendola tra le «iniziative di sviluppo nelle aree ad alta potenzialità di crescita». L’intenzione è di fare leva sui grandi eventi sportivi per mezzo delle proprie testate Marca e Gazzetta dello Sport.
La corsa alla globalizzazione dei giornali è quindi ormai partita. Le testate hanno sempre più bisogno di ampliare la propria audience, soprattutto sul digitale che ha necessità di realizzare grandi numeri per produrre discreti utili. Gli editori ormai hanno capito che non è più possibile crescere limitandosi a coltivare il solo mercato delimitato dai propri confini nazionali. Chi non seguirà questa strada è destinato a scomparire sostiene Wolfgang Blau, oggi a capo dello sviluppo digitale di Condé Nast, in un’intervista rilasciata all’Espresso qualche tempo fa: «Si può già assistere alla nascita di un piccolo insieme di istituzioni giornalistiche globali dominanti che possono sfruttare i loro vantaggi di scala e offrire prodotti giornalistici con cui le testate nazionali europee non possono più competere».
In questo scenario, per esempio, il Guardian sta giocando tutte le sue carte sullo sviluppo del digitale per tentare di riequilibrare un pesante passivo di bilancio che si porta dietro da anni. Il giornale ha redazioni, oltre che a Londra, in Australia e negli Usa che curano tre diverse edizioni del sito del giornale. Il fatturato da digitale è cresciuto dai 37 milioni di sterline del 2011 agli 84 milioni del 2015 grazie soprattutto a un’audience sempre più globale composta oggi per due terzi da lettori fuori dal Regno Unito. La testata si è così guadagnata importanti e remunerative partnership con marchi come Unilever, Ernst & Young o Ups. L’obiettivo è chiaro: proporsi ai grandi investitori pubblicitari come una piattaforma sulla quale promuovere prodotti pensati per un mercato globale.
Chi per far crescere il proprio fatturato sta puntando, oltre che sugli investimenti pubblicitari, anche sugli abbonati digitali come il New York Times deve comunque pensare ad incrementare sensibilmente la propria audience internazionale. Il Times ha raggiunto e superato lo storico traguardo di un milione di abbonati al solo digitale ma appena il 12% di loro sono lettori “globali”. Come ha fatto notare l’analista Ken Doctor nella sua rubrica Newsonomics se l’obiettivo dichiarato della testata newyorkese è quello di raddoppiare nei prossimi anni il fatturato da digitale (dai 400 milioni di dollari del 2015 agli 800 milioni da raggiungere nel 2020) i dirigenti della testata devono necessariamente pensare di aumentare anche quella quota parte di abbonati che leggono il giornale fuori dagli Stati Uniti. Insomma fuori dalle mura di casa c’è un mondo ancora da conquistare e ancora molte persone – che non parlano inglese e che conoscono la testata solo di nome – da trasformare in lettori fedeli grazie a nuovi prodotti editoriali pensati per loro.
Nella corsa all’internazionalizzazione uno dei nodi da sciogliere è la lingua da utilizzare. C’è chi come la testata economica online Quartz ad esempio ha optato con successo per un inglese “semplificato”, meno complesso e quindi più accessibile ad un pubblico globale lanciando in questi ultimi anni proprie edizioni in India e Africa. In poco più di tre anni dal suo lancio la testata ha raggiunto circa 15 milioni di utenti unici al mese, il 40% dei quali fuori dagli Stati Uniti, crescendo costantemente di valore e diventando un pericoloso concorrente per una testata storica come l’Economist. La corazzata Huffington Post invece, già dal 2011 sta posizionando le proprie basi in giro per il mondo: una quindicina di edizioni nazionali (tutte nella lingua del luogo) dal Brasile alla Corea del Sud, dall’Italia al Giappone. Anche Politico dopo essersi imposto per il suo modo innovativo e irriverente nel commentare le vicende politiche di Washington, dalla scorsa primavera con la complicità dell’editore tedesco Axel Springer (quello della Bild e Die Welt), ha deciso di lanciare una propria versione europea con l’obiettivo di replicare il suo modello editoriale a Bruxelles pur essendo perfettamente cosciente dell’abissale differenza di appeal tra la capitale europea e quella americana.
La strada dell’internazionalizzazione è però difficile e piena di insidie. Misurarsi con i territori le loro esigenze, il loro tessuto economico e uscirne vincenti è estremamente complicato. Lo ha imparato a proprie spese chi in questi anni ha tentato di avviare progetti internazionali che poi ha dovuto chiudere. Uno su tutti il Financial Times Deutschland: l’avventura tedesca della prestigiosa testata economica era partita con molte ambizioni nel 2000 ma ha chiuso definitivamente i battenti nel 2012 senza mai riuscire a generare profitti e con una perdita complessiva, nei suoi dodici anni di vita, di 250 milioni di euro. Lo stesso New York Times ha conosciuto battute di arresto nel suo tentativo di espansione globale. Di un sito in lingua portoghese gestito da una redazione con sede in Brasile, annunciato ufficialmente nel 2012, non si sa praticamente più niente; e in Cina il Times ha subito una pesante sconfitta nel suo tentativo di espandersi in un mercato ricco e pieno di promesse. La testata americana è sbarcata a Pechino in grande stile nel 2012 coinvolgendo grandi marchi del lusso come Ferragamo, Cartier e Omega. Ma poi una serie di reportage sui beni accumulati dalla famiglia dell’allora primo ministro Wen Jiabao hanno fatto scattare la censura cinese. Sito e account social sono stati bloccati e resi irraggiungibili in tutto il Paese. Problemi simili ha incontrato l’agenzia Bloomberg, rea di aver fatto i conti in tasca ad alcuni esponenti politici cinesi. Di fronte ai primi attriti con le autorità però l’agenzia ha preferito sospenderne la pubblicazione di articoli politici sui monitor cinesi e limitarsi alle sole notizie di finanza per non perdere i suoi molti abbonati tra i dirigenti governativi di Pechino.
L’esperienza cinese suggerirà una linea editoriale più cauta al New York Times in questa nuova esperienza latinoamericana? Cosa significa il suo sbarco in Messico, un Paese dove negli ultimi 15 anni sono stati assassinati 103 giornalisti che denunciavano connivenze tra politica e crimine organizzato? Per il momento sul NYT en Español tra articoli su primarie Usa e ritratti di Beyoncé c’è spazio anche per un pezzo sui 43 studenti messicani desaparecidos dal settembre 2014. una domanda è ancora lecito farsi: nella loro espansione globale i grandi gruppi editoriali avranno la capacità, e la forza, di raccontare anche nei loro aspetti più complessi e scomodi, i luoghi dove per necessità economiche si stanno espandendo o a prevalere sarà la sola logica commerciale e dei grandi sponsor?