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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

RAIN MEN


Negli occhi di tutti c’è ancora quel primo giro di Ayrton Senna a Donington nell’aprile del 1993, clamoroso e indimenticabile. Pioggia battente, vento, pista allagata. In prima fila le due Williams di Alain Prost e Damon Hill, poi la Benetton di Michael Schumacher e la McLaren del brasiliano. Si spegne il semaforo, i primi scattano bene mentre il tedesco blocca Ayrton e la Sauber di Karl Wendlinger gli salta davanti. Quello che succede, da lì in poi, è entrato da tempo nella leggenda della F.1. Schumi è la prima vittima, all’uscita della curva Redgate. Poi tocca a Wendlinger, tra le Craner Curves. Dopo l’Old Hairpin, mentre i leader si arrampicano sulla collina, Senna affianca Hill e lo scavalca alla Coppice. Il tempo di arrivare al tornante Melbourne e Ayrton è in scia a Prost, suo rivale storico, che infila senza pietà. Incredibilmente, alla fine di un primo giro lungo 4 chilometri e 23 metri, Senna è al comando della corsa. L’acqua va e viene, si perde il conto dei pit-stop, ma il brasiliano gli altri lo rivedono solo sul podio: secondo è Hill a 1’23”199, terzo Prost a un giro. Quasi dieci anni prima Ayrton si era rivelato al mondo della F.1 arrivando a un passo dalla vittoria a Montecarlo, con una Toleman addirittura. Fermato al secondo posto dalla bandiera rossa mentre stava rimontando su Prost.
Questa è arte, d’accordo. Ma è innegabile che i GP bagnati – dall’inizio dell’avventura della F.1 nel 1950 – abbiano regalato grandi imprese. E soprattutto che la pioggia consenta di livellare i valori, offrire possibilità a monoposto che di solito vincenti non sono. Jean-Pierre Beltoise con una Brm a Montecarlo nel 1972, il nostro Vittorio Brambilla con una March a Zeltweg nel 1975, Sebastian Vettel con la Toro Rosso a Monza nel 2008: sono tutte sorprese e per questo giornate felici, per i protagonisti ma anche un po’ per gli appassionati e i romantici che sognano la gloria anche per chi di solito se la passa male.

Al contrario di quanto succede negli Stati Uniti, in cui se piove le gare vengono sospese o spostate al giorno successivo, la F.1 non si è mai tirata indietro. Con tutto ciò che comporta anche a livello di sicurezza e incidenti. Perché non bastano pneumatici da bagnato appositi: la situazione può essere molto differente a seconda del tipo di asfalto, della quantità d’acqua sul tracciato, del tempismo nel montare gomme intermedie o slick, del momento in cui le nuvole si scatenano e scaricano il loro contenuto sul circuito. E magari solo su una parte del circuito. Condizioni difficili con una berlina in autostrada, figurarsi mentre si va a tutta in pista.

Come accadde a Prost, al comando del Gran Premio di Monaco 1982 con la sua Renault quando una spruzzata d’acqua sul circuito lo spedì contro il guard-rail prima delle Piscine e regalò al gruppo un ultimo giro con testacoda vari, gente senza benzina, ordini d’arrivo ribaltati più volte fino al successo della Brabham di Riccardo Patrese, che non immaginava assolutamente di aver vinto…

Quand’era a inizio carriera Prost, sul bagnato, stava nella media. Poi, nelle prove del GP di Germania di quel 1982, mentre viaggiava lento in una nuvola d’acqua nel bosco di Hockenheim, venne tamponato dalla Ferrari di Didier Pironi che decollò e, atterrando, portò il suo pilota a sfiorare la morte e comunque a chiudere lì la carriera. Da quel giorno Alain iniziò a soffrire, se non odiare, la pioggia in pista. Limitò sempre i danni, e in un caso o due entrò ai box perché non voleva proseguire. Come successe a Lauda nella sfida decisiva del Mondiale 1976, al Fuji, contro Hunt. All’estremo opposto ci sono i maghi della pioggia, che non la temevano affatto. O quantomeno la controllavano con maestria. Anzi, hanno sfruttato spesso le occasioni che si presentavano. Le statistiche dei migliori di loro le trovate schematizzate nella tabella qui a destra. Con Alberto Ascari in cima alla lista per la percentuale delle vittorie “bagnate” sul totale dei GP disputati. La sua corsa simbolo, in materia, fu quella di Spa nel 1952 al volante della Ferrari: finì con quasi due minuti di vantaggio sul compagno Farina.

Un conto però sono i numeri, un altro la poesia. I tanti show di Senna, che conquistò il suo primo GP a Estoril nel 1985 in mezzo al diluvio. Gli exploit di Schumacher, che provò la prima gioia in rosso vincendo con la Ferrari in Spagna al Montmelò. La straordinaria impresa nel 1968 di Jackie Stewart con la Matra del team Tyrrell al Nürburgring vecchio, la pista più impressionante e pericolosa del Mondiale anche da asciutta: sul traguardo oltre quattro minuti di vantaggio sulla Lotus di Graham Hill.

Ai romantici piace l’asfalto bagnato. Perché regala numeri, sorpassi, equilibrismi, risultati imprevisti anche tra chi alla fine non vince ma lotta per un posto a punti o anche solo nelle retrovie. Exploit pregevoli, che pochissimi ricordano e che in tanti casi non sono nemmeno inquadrati dalle telecamere. Gesti che fanno alzare in piedi un sacco di appassionati in tribuna. Un sorpasso in controsterzo, con le ruote che sollevano spruzzi d’acqua e visibilità quasi inesistente, merita sempre di essere applaudito. In attesa della prossima “magata”.
(ha collaborato Giovanni Cortinovis)