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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

MOLESTATORE E BUGIARDO (MA EROE PERCHÉ BIANCO)


Il 29 febbraio 1996, quando a 19 anni è già una stella del football alla University of Tennessee, Peyton Manning si toglie i pantaloncini e appoggia “i testicoli e il retto sulla faccia” del dottor Jamie Naughright, all’epoca 27enne, mentre lei gli controlla una possibile frattura da stress a un piede. Direttore sanitario del programma sportivo maschile alla UT, la Naughright denuncia le molestie al Sexual Assault Crisis Center di Knoxville.
Secondo i “Fatti del caso”, un documento processuale lungo 74 pagine dal quale è tratto l’esplicito virgolettato, in un primo momento Manning nega di essersi comportato in maniera inappropriata. Mike Rollo, uno dello staff di allenatori, racconta che effettivamente Manning si era tirato giù i pantaloncini, ma per “mostrare le chiappe” a un altro studente-atleta, Malcolm Saxon. Ma in una dichiarazione giurata, Saxon afferma che le cose non sono affatto andate così.
Manning mantiene la versione di Rollo. La UT chiede alla Naughright di incolpare un altro studente, un afro-americano. Lei rifiuta. Allora cerca e trova una soluzione extragiudiziale: la Naughright non prosegue l’azione legale (mettere i genitali sulla faccia di uno non consenziente è un reato penale), riceve un indennizzo monetario (mai specificato, anche se è stata ipotizzata una cifra di 300 mila dollari, poco più di 266 mila euro), si dimette e lascia il campus di Knoxville. Inoltre, le parti si impegnano a non tornare pubblicamente sulla faccenda. Cinque anni dopo, nel 2001, esce un’autobiografia firmata da Peyton e suo padre Archie, intitolata The Mannings, scritta dal giornalista John Underwood e pubblicata da Harper & Collins. I Manning descrivono la Naughright più o meno come una prostituta. Appena viene a conoscenza del libro, il Florida Southern College, dove la Naughright era andata come direttore dell’Athletic Education Training Program, la licenzia. Lei fa causa. Gli avvocati dei Manning chiedono al giudice Harvey A. Kornstein, presso il quale è fissato il dibattimento, il non luogo a procedere. Kornstein non lo concede e anzi scrive che, “sulla base delle prove portate a conoscenza della corte”, i Manning mentono – e consapevolmente. La causa per diffamazione non va a giudizio ed è di nuovo mediata nel 2003 in sede extragiudiziale per una somma mai resa pubblica. Neanche i particolari della faccenda erano noti fino alla settimana scorsa. USA Today era entrato in possesso delle 74 pagine nel 2003, ma aveva pubblicato un solo articolo, senza dare dettagli. E lo scandalo era morto prima ancora di esplodere. Nel frattempo, Manning è diventato uno dei migliori quarterback della storia, il Captain America dello sport e la faccia pubblicitaria di molte grandi aziende.
È stato tirato fuori da Shaun King, un giornalista del New York Daily News, nel più improbabile dei modi. Subito dopo il Super Bowl, posta su Facebook una foto di Cam Newton che congratula Manning e si chiede perché tutti si fissino sul (sgradevole) comportamento di Newton nel post-partita. Fra i commenti ricevuti, uno ricorda che “Peyton all’università aveva molestato sessualmente una ragazza”. Poi scrive un articolo sul doppio standard usato con Newton e Manning, che dopo la sconfitta nel SB2010 si era comportato anche peggio, uscendone indenne. Di passaggio, dopo una ricerca su Google in cui era riemerso l’articolo di USA Today, accenna alla faccenda Manning-Naughright. Il giorno dopo trova nella sua casella mail le 74 pagine dei “Fatti del caso”. Allora si pone una domanda banale: se l’immacolata fama di Peyton Manning
non sia per caso dovuta al fatto che è bianco. Non che è pulito.