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 2016  febbraio 21 Domenica calendario

L’Arena, domenica 21 febbraio 2016 Il consesso delle nazioni civili piange sdegnato sulla salma martoriata di Giulio Regeni, eppure dalla bocca del più ciarliero presidente del Consiglio mai apparso nella storia repubblicana sono uscite soltanto otto flebili paroline: «Trovare i responsabili dell’orribile crimine» e «assicurarli alla giustizia» (Ansa, 4 febbraio, ore 17

L’Arena, domenica 21 febbraio 2016 Il consesso delle nazioni civili piange sdegnato sulla salma martoriata di Giulio Regeni, eppure dalla bocca del più ciarliero presidente del Consiglio mai apparso nella storia repubblicana sono uscite soltanto otto flebili paroline: «Trovare i responsabili dell’orribile crimine» e «assicurarli alla giustizia» (Ansa, 4 febbraio, ore 17.19). Ma come? Gli aguzzini dei servizi segreti egiziani sequestrano al Cairo uno studente italiano di 28 anni, lo torturano per giorni, gli scarnificano il corpo con una lama affilata, gli bruciano i testicoli con scosse elettriche, gli spezzano sette costole e poi l’osso del collo, nascondono il cadavere, infine lo gettano nudo per strada, inquinano le indagini, mentono, depistano e tutto ciò che Matteo Renzi ha da dire sulla tragedia è che vanno arrestati i colpevoli? Un’ovvietà oltraggiosa. Forse che a qualcuno era passato per la mente di non scovare gli assassini e di non farli processare? Ma per favore. Orbene, mentre non sempre esiste un motivo degno di nota allorché il premier parla, ve n’è spesso uno inconfessabile quando tace o diventa reticente. Nella fattispecie, eccolo qua: come mi ha raccontato Barbara Serra, che nel luglio scorso lo ha intervistato per Al Jazeera, Renzi è un fan scatenato del presidente Abdel Fattah Al Sisi, un despota assai più feroce del predecessore Hosni Mubarak (in soli 11 mesi, secondo Human rights watch, 47 detenuti politici sono stati uccisi, 465 torturati, 163 maltrattati e i tribunali militari ne hanno condannati almeno 3.000 alla pena di morte). Infatti durante il colloquio televisivo l’inquilino di Palazzo Chigi si è lasciato andare a lodi sperticate per il rais: «In questo momento l’Egitto sarà salvato solo con la leadership di Al Sisi. Questa è la mia posizione personale, e sono fiero della mia amicizia con lui. Penso che Al Sisi sia un grande leader». Clap clap. Il preambolo serve per dire che, se fossi un egiziano, non ci penserei su due volte a fare fagotto e a trasferirmi (nonostante Al Renzi) in Italia. Non solo per ragioni ideologiche: la considererei una scelta di sopravvivenza. Perché emigrare proprio nel Belpaese? Spiego subito. Dopo aver visto per anni gli spot di «pranzetti», «ghiottonerie» e «délices du jour» per cani e gatti sui canali satellitari della Rai, mi sarei arciconvinto che in una nazione dove il cibo Hill’s science plan per mici adulti, a base di pollame, è in vendita a 23,96 euro il chilo, dovrebbero senz’altro avanzare delle ali di pollo per me, visto che al supermercato vengono appena 21 centesimi l’etto. Certo, mi porrei qualche interrogativo su una civiltà in cui il nutrimento per gli animali è arrivato a costare il 1.040 per cento in più di quello per gli uomini. Ma subito mi darei la seguente risposta: dipenderà dal fatto che i primi sono diventati molto più intelligenti dei secondi, visto che, in cambio di un miao, hanno diritto almeno tre volte al giorno a un alimento che non contiene «conservanti, aromi e coloranti artificiali», contempla «la riduzione clinicamente provata di placca e tartaro», fornisce «un preciso equilibrio nutrizionale di energia, proteine, vitamine e minerali» nonché «livelli di magnesio controllati» e in più garantisce nientemeno che «la Formula Antiossidante Superiore» per favorire «la corretta attività del sistema immunitario», senza contare che, a differenza del kebab, «rinfresca l’alito» e assicura «il peso corporeo ideale». Come tutti coloro che aspirano a diventare richiedenti asilo, dovrei preoccuparmi d’individuare il mezzo più idoneo per raggiungere l’Italia. Confesso che i «mercanti di uomini», con i loro «barconi della morte», susciterebbero in me una più che giustificata diffidenza. Non ha alcun senso consegnarsi a scafisti criminali che, dopo essersi fatti pagare migliaia di dollari, si prefiggono come unico obiettivo quello di affogarti nelle profondità del Mediterraneo. No, meglio andare in uno dei negozietti di Khan Al Khalili dove abili sarti ti confezionano in giornata un vestito per uomo. Non avrà il taglio di Caraceni però te la cavi con 30-40 dollari. Oppure, avendo fretta, entrerei in un emporio H&M (al Cairo ce ne sono ben dieci) e con l’equivalente di 115 dollari in lire egiziane indosserei subito un abito scuro. Dopodiché acquisterei un biglietto Cairo-Roma dell’Egyptair (313,64 euro) e mi presenterei, diciamo giovedì prossimo, ai banchi di accettazione dell’aeroporto. Partenza del volo MS791 alle 10.10, arrivo a Fiumicino alle 12.40. Naturalmente dovrei avere con me un documento d’identità, un visto turistico per l’ingresso in Italia (60 euro la tassa per il rilascio) e 269,60 euro in contanti come previsto dalla tabella dei mezzi di sussistenza richiesti dal nostro Stato per un soggiorno di cinque giorni. Appena sbarcato, al controllo passaporti mi dichiarerei oppositore politico di Al Sisi, dunque in imminente pericolo di vita nel malaugurato caso che le autorità italiane mi rispedissero in patria (Regeni docet). Totale delle spese di viaggio: 643,24 euro. Una domanda sorge impellente: perché i profughi accettano di pagare fino a 6.000 dollari, otto volte tanto, per farsi rinchiudere nelle stive delle barche dove spesso muoiono asfissiati, quando non vengono lasciati in balia del mare in burrasca? Che il costo di una traversata illegale arrivi a quella cifra esorbitante lo hanno accertato sia la Guardia di finanza, sia Maurizio Scalia, procuratore aggiunto di Palermo. Nella sola Milano al 31 dicembre 2014 risultavano residenti oltre 35.000 egiziani. I filippini erano 41.000, i cinesi 26.000, i peruviani 20.000, i singalesi 16.000, solo per citare i gruppi etnici più folti. È pensabile che tutti costoro siano arrivati con i barconi? No di certo. Ma allora se dal Paese dei faraoni, o dall’Estremo Oriente, o dall’America Latina, si emigra in Italia senza ricorrere ai «viaggi della speranza» che hanno come approdo l’isola di Lampedusa, le spiagge siciliane, le coste calabresi e pugliesi, chi sono gli altri che ci mettiamo in casa? Come mai espatriano da clandestini? Dove trovano i 6.000 dollari, corrispondenti al reddito che un abitante della Nigeria riuscirebbe a percepire solo in 500 anni? Pietro Martinengo, un anziano pensionato che abita in Francia e ha trascorso la vita nei cantieri per la costruzione di grandi opere nel Terzo mondo, dopo aver letto un mio articolo («Urge il bollettino dei profughi») apparso sull’Arena il 31 gennaio, mi ha inviato una lettera che presenta un punto di vista inedito. «Conosco tutta l’Africa, quasi come le mie tasche», scrive. «La ringrazio perché finalmente ha tolto tutti i veli di buonismo, ipocrisia e ignoranza che avvolgono il problema. Quando vedo il pietismo con il quale alla tv italiana si mostrano i barconi pieni di giovani africani, confondendo questa invasione con il drammatico esodo delle famiglie siriane, mi chiedo se ciò sia fatto volutamente oppure se sia la conseguenza dell’ignoranza dei “giornalai” che affrontano l’argomento». «Lei ha esaminato nel dettaglio il problema dei finanziamenti dei migranti una volta approdati in Italia», continua Martinengo. «Ma non ha affrontato quello della fase precedente allo sbarco. Da dove arrivano le migliaia di dollari che ogni profugo dice di aver pagato per assicurarsi il viaggio dal suo Paese all’Europa? Conoscendo - ripeto - molto bene l’Africa, posso affermare che non arrivano certamente dalle loro tasche né da quelle delle loro famiglie. Il reddito pro capite in quei Paesi è quello descritto da lei nell’articolo: 1 dollaro al mese, quando va bene». «Dunque», prosegue il lettore, «i soldi investiti nella fuga non sono dei profughi, perché non possono esserseli guadagnati. E allora? Qui in Francia si dice che il denaro lo mettano i Paesi che hanno interesse a invaderci con queste masse di giovani, soprattutto musulmani. In ogni caso, se li accettiamo con ogni facilitazione, e praticamente senza controlli, dobbiamo aspettarci che tutti gli africani vogliano lentamente, ma non troppo, trasferirsi da noi. E saranno decine di milioni». «Investire nei loro Paesi?», si chiede Martinengo. «Ma l’Europa negli anni ’70-’80 l’ha fatto, con sostanziosi aiuti per le infrastrutture. Che purtroppo poi non sono state utilizzate (né mantenute) adeguatamente. Il problema è come affrontare il divario culturale tra l’Europa e l’Africa. Ci vorranno anni. E intanto? L’Italia, con il Mediterraneo di mezzo, o blocca le partenze dei barconi, scoraggiando così il flusso verso l’Europa, oppure sarà costretta a salvare e ad accettare le migliaia di migranti. Non c’è alternativa. E purtroppo non mi sembra che vi sia in Italia un governo che voglia infilarsi in un intervento, necessariamente di forza e pericoloso, sulle coste libiche. Sono, come si vede, pessimista, pur avendo per professione sempre affrontato difficoltà e imprevisti e cercato e trovato soluzioni». Spero che il signor Martinengo abbia torto, ma qualcosa mi sussurra in pancia che la ragione penda dalla sua parte. Bravo comunque chi riuscirà a dipanare l’arcano degli esuli che vengono a chiedere asilo politico in Italia imbarcandosi sui costosi e micidiali gommoni anziché sugli economici e comodissimi airbus. LORENZETTO Stefano. 59 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Attualmente in Marsilio come consigliere dell’editore. Scrive per Panorama, Arbiter e L’Arena. Ultimi libri: Buoni e cattivi con Vittorio Feltri e L’Italia che vorrei (entrambi Marsilio). LORENZETTO Stefano. 59 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Attualmente in Marsilio come consigliere dell’editore. Scrive per Panorama, Arbiter e L’Arena. Quindici libri: Buoni e cattivi con Vittorio Feltri e L’Italia che vorrei (entrambi Marsilio) i più recenti. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.